Sorprendersi a chilometri zero

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Dignitosa umiltà in casa propria e dintorni. L’Utopia può attendere

di Roberto Curci

 

“Abbassare i toni”. Qualcuno me lo manda a dire. Ma perché, caro R. C., quando scrivi la tua rubrichetta, sei sempre così acido e polemico? Non ti va proprio bene niente? Think pink. Guarda che rischi di passare per un palloso laudator temporis acti. Ci sarà pure qualcosa che funziona, qualcosa che val la pena di segnalare in positivo, e non con la bava alla bocca, come – scusa! – capita sempre a te.

È vero. Ho già sparlato di troppe cose nei pochi mesi di collaborazione col Ponte rosso. Dovrei invece parlar bene o benino di certe faccende o faccenduole culturali che in effetti se lo meriterebbero, ma che spesso sfuggono all’attenzione di troppi. Dunque, contrordine compagno: ti inquieterai daccapo quando ce ne sarà (oh, se ce ne sarà!) l’occasione giusta. Ma, intanto, guardati attorno e rifletti sul tanto di discreto, buono, perfino ottimo che si fa, in campo storico-artistico, senza tanti colpi di grancassa e senza budget da coccolone.

Chapeau, per iniziare, alle iniziative dei Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste, le mostre presunte “minori” che, nell’ambito della Sala Selva di Palazzo Gopcevich, si snocciolano puntualmente, riservando sorprese e curiosità, e dunque svolgendo un lodevole compito informativo-didattico che consente ai volonterosi (e, si spera, non solo ai nostalgici) istruttive escursioni à rebours nella storia di Trieste e nella sua vita vissuta.

Merito, soprattutto, delle tante iniziative del conservatore Stefano Bianchi e in particolare, a parer nostro, delle rassegne curate dalla Fototeca diretta da Claudia Colecchia: “Il cinema in posa”, godibilissima, è stata preceduta nel biennio precedente – ricordiamolo – da “Teatri di guerra, teatri di pace: figure e memorie. Trieste 1918/1919”, dall’omaggio alla “Triestina e Trieste” (nell’anno del centenario dell’Unione, del resto santificata nel massimo tempio espositivo locale, l’ex Pescheria) e da “Trieste in bianco e nero nelle fotografie di Adriano de Rota”, occasione preziosa per la rivisitazione di una città che sapeva “vivere” il teatro con autentica passione.

A costo di dispiacere a qualcuno o a tanti, ci si lasci dire, ancora, che nelle proposte più precisamente artistiche un ruolo trainante sul versante grafico (e storico) lo svolge, ormai da anni, l’Istituto regionale per la cultura istriano, fiumano e dalmata, per volontà del suo presidente Franco Degrassi e per cura del suo infaticabile direttore Piero Delbello. Mostre umili, messe su – spesso – in fretta e furia, ma più che dignitose, sempre molto curiose e puntualmente corredate da cataloghi agili ed esaustivi (anch’essi pensati, impaginati e stampati a tempo di primato). E va detto che, assieme alle varie rassegne dedicate alla grafica pubblicitaria, un picco di eccellenza è stato rappresentato dalla mostra su Carlo Wostry, nome illustre dell’arte triestina sfuggito sorprendentemente, nei decenni, alle attenzioni di quasi tutti gli esperti nonché ai curatori di collane specialistiche. Ci ha pensato l’Irci con una mostra esemplare e ricca di inediti (“Carlo Wostry tra sacro e profano 1865-1943”, catalogo Edizioni Mosetti, 2019), con un vivido focus – a cura di Teresita Barbo – sul lungo e fruttuoso soggiorno americano dell’artista, fin qui sostanzialmente ignorato. Una scoperta, una sorpresa, la conferma che talvolta basta dare un’occhiata acuta e non prevenuta in casa propria o nei suoi dintorni per localizzare chicche imprevedibili e di imprevedibile fascino.

Guardarsi attorno, dunque. Guardare oltre i confini mentali e fisici. Scavalcare steccati geopolitici e perfino ideologici. Accorgersi, ad esempio, di quale sconcertante ricchezza sia offerta da tante piccole chiese-scrigno disseminate a cavallo del confine (o ex confine) italo-sloveno, in cui lasciarono loro tracce artisti quali August Cernigoj, Tone Kralj, Gino De Finetti, e ancora Lannes, Mascherini, Sbisà, Spacal, Carà. Tanto per non inanellare troppi chilometri, ai più neghittosi basterebbe un’escursione di un’ora, tra Cattinara e Trebiciano, per stupefarsi dinanzi alle pitture murali di Tone Kralj, nelle rispettive chiese parrocchiali: puro espressionismo al servizio di una sofferta professione di fede. (Occhio, però, agli orari di apertura e alle condizioni di visibilità interna. Chi poi volesse allargare la prospettiva faccia riferimento al prezioso libro-guida bilingue Arte e natura a colloquio, edito da LINT nel 1999, con scritti di Nadia Bassanese, Fabio Amodeo, Giulio Montenero e foto di Elio e Stefano Ciol).

Guardarsi attorno, e neppure lontano. E allora – ci sia concessa una diversione nel magico Regno di Utopia – perché non immaginare che, ad esempio nell’inevitabile appuntamento annuale con la Barcolana e nel gran battage che ormai le fa da cassa di risonanza, si possa dedicare al mare di Trieste, ma soprattutto al suo porto e a tutto ciò che in anni lontani lo rese vivo e pulsante, un’ambiziosa (e assai costosa, certamente) rassegna che inglobi le opere ad esso dedicate da gente niente affatto qualunque quale Egon Schiele, Rudolf Kalvach, Vittorio Bolaffio (e magari i “minori” Barison, Kircher, Zangrando, ecc. ecc.)? Troppa grazia? Utopia, appunto? Probabile. Eppure – credeteci – talvolta fa bene al cuore, se non al portafoglio, pensare in grande, su maxischermo. Magari illudersi, magari sognare.

Ecco dunque accontentati i sostenitori dell’”abbassare i toni”. Come si sarà capito, l’autore si è ingegnato di pensare positivo, e propositivo: qualche doveroso complimento, qualche flebile suggerimento (tanti altri ce ne sarebbero). Soddisfatti? Speriamo. Ma occhio!, alla prima occasione si ricomincia a sparare a vista. Uomini avvisati…