Palcoscenici diversi, la stessa passione

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Una girandola di testi che spazia dal teatro internazionale a quello italiano ormai consolidato come classico, al sempre gradito locale

di Paolo Quazzolo

 

Personaggio di riferimento della scuola verista italiana, Giovanni Verga oltre a essere stato autore di importanti opere narrative si è occupato anche di teatro, scrivendo alcune pièce quali Cavalleria rusticana, La lupa, Dal tuo al mio, La caccia al lupo, La caccia alla volpe, un tempo molto rappresentate, ma oggi cadute nell’oblio. Interessante quindi la riproposizione, a opera di Progetto Teatro, del dramma La roba, andato in scena sul palcoscenico del Teatro Bobbio. In verità si tratta di un adattamento drammaturgico di una delle più celebri novelle dell’autore siciliano, in cui viene affrontato uno dei temi portanti della sua poetica, ossia il possesso dei beni in un mondo di emarginati, i famosi vinti, piegati sotto i colpi del destino che riserva loro un’esistenza di miseria e senza prospettive. In tale contesto, l’astuto e imbroglione bracciante Mazzarò riesce ad appropriarsi delle terre del suo padrone, divenendo così molto ricco ma allo stesso tempo avaro e severo con i suoi mezzadri, incapaci a emanciparsi. Scopo del protagonista è quello di riuscire a possedere così tante terre da eguagliare quelle del re. Divenuto vecchio, sentendo che la morte si avvicina, Mazzarò, disperato di non poter portare con sé le ricchezze accumulate nel corso di una vita, distrugge ogni cosa, rifiutandosi di lasciare la propria eredità a qualcuno. L’adattamento teatrale a cura di Micaela Milano, ideato in occasione del centenario della morte di Verga (scomparso nel 1922), ha mescolato tra loro alcune tra le novelle più celebri dell’autore siciliano, riuscendo a ricostruire così il mondo disperato e senza speranza dei vinti. Bella la regia di Guglielmo Ferro e significativa l’interpretazione di Enrico Guarnieri, convincente Mazzarò attorniato da una compagnia affiatata.

Testo di segno completamente diverso è La madre, dramma di Florian Zeller proposto sempre al Teatro Bobbio, con protagonista Lunetta Savino, uno dei volti televisivi più amati degli ultimi anni. In verità la Savino ha alle spalle una solida carriera teatrale che l’ha portata a confrontarsi con autori quali Shakespeare, Ibsen e i classici: nessuna meraviglia quindi se – al contrario di molti suoi colleghi esclusivamente televisivi che spesso falliscono la prova del palcoscenico – l’attrice barese abbia offerto una convincente prova teatrale, tratteggiando un ruolo che ondeggia da sfumature comiche a tratti di grande drammaticità. Il testo indaga il sentimento materno e le sue possibili degenerazioni, quando la protagonista vede allontanarsi da casa il suo unico figlio maschio, ormai adulto. Una perdita che viene vissuta come un tradimento e un doloroso strappo e che solo la malattia della donna riuscirà al termine a ricucire. Bravi tutti gli interpreti dello spettacolo proposto dalla Compagnia Molière / Teatro Nazionale di Napoli in collaborazione con Accademia Perduta / Romagna Teatri.

Al Politeama Rossetti è stata la volta dell’immancabile appuntamento con il teatro di Luigi Pirandello, autore pressoché immancabile nei cartelloni di prosa. La scelta è caduta su un testo della maturità pirandelliana, ma poco rappresentato: Come tu mi vuoi. Si tratta di una commedia del 1930, in cui vengono riproposti alcuni dei temi cari all’autore siciliano, quali il concetto sfuggente dell’identità e il contrasto insanabile tra l’opera d’arte (rappresentata dal quadro della protagonista che troneggia sulla scena) sempre uguale a se stessa, e la vita (ossia il caso della misteriosa donna di cui non si riesce ad afferrare la vera identità), che cambia in continuazione. Un testo sicuramente non semplice, che Pirandello aveva voluto terminare con una sorta di finale aperto, lasciando lo spettatore nel dubbio. La versione proposta dal regista Luca De Fusco con la compagnia del Teatro Stabile di Catania, ha ridotto il testo a un atto unico, sfrondando numerosi aspetti collaterali e, soprattutto, scegliendo di dare una precisa direzione interpretativa, rispondendo in modo molto chiaro alla domanda drammatica del testo, ossia: chi è veramente la misteriosa protagonista? Uno spettacolo che ha inserito, molto giustamente, il testo pirandelliano in un’atmosfera espressionista, facendo uso di proiezioni e giochi di specchi che esaltano l’idea della frammentazione interiore della protagonista. Il ruolo fortemente protagonistico dell’Ignota è stato sostenuto dalla brava Lucia Lavia, figlia d’arte (di Gabriele e di Monica Guerritore) che ha dimostrato assoluta padronanza della scena e grandi qualità interpretative assieme a una compagnia affiatata.

Al Teatro Bobbio viene infine proposto in queste settimane un “Tris Trieste”, una serie di tre spettacoli che spaziano su repertori differenti: Il barbiere di Trieste, Stracapirse e Sghiribiz. Il primo dei tre spettacoli, Il barbiere di Trieste, è un grazioso adattamento del celebre melodramma rossiniano Il barbiere di Sivigila, a opera dell’attore-cantante Giacomo Segulia che ha mescolato tecniche teatrali differenti, dalla commedia dell’arte al teatro settecentesco, dal melodramma alla commedia brillante. Una originale commistione, molto gradita dalla platea, che ha ricambiato con sinceri applausi il gruppo di attori costituito, oltre che da Segulia, da Enza De Rose, Simone Debenedetti, Daniele Molino, Davide Rossi e i musicisti Giacomo Cozzi, Mitja Tull e Alessio Venier. Stracapirse, testo in dialetto triestino di Luciano Santin, ha visto protagonisti sul palcoscenico del Bobbio tre attori molto amati dal pubblico: Marzia Postogna, Valentino Pagliei e, soprattutto, Ariella Reggio, beniamina delle nostre platee, che ha la capacità, in ogni sua apparizione, di richiamare numerosi spettatori. Di fronte a un teatro quasi esaurito, è stato proposto un divertente testo basato – come suggerisce il titolo – su una serie di equivoci linguistici che occorrono a un “foresto” giunto in città al termine della prima guerra mondiale: il malcapitato deve infatti destreggiarsi con una serie di terminologie che vengono costantemente fraintese, generando così situazioni esilaranti. I momenti musicali, eseguiti con la consueta bravura da Marzia Postogna, sono stati accompagnati alla fisarmonica da Aleksander Ipavec. Tante risate e successo pieno.

 

 

Marzia Postogna, Ariella Reggio

e Valentino Pagliei

in Stracapirse di L. Santin