A volte ritornano

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Bizzarre, a volte, le modalità di attuazione alla volontà popolare, anche quando essa viene espressa in modalità giudicate dai più incontrovertibili. È accaduto spesso in passato, ad esempio in materia oggetto di referendum popolare, come quando il popolo, cui per l’articolo 1 della Costituzione appartiene la sovranità, aveva chiaramente disposto di eliminare il Ministero dell’Agricoltura, che da allora, difatti, ha lasciato il posto al Ministero per le Politiche Agricole. O come quando, sempre nel 1993, il 90,3% degli elettori decretò l’abrogazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti politici, cui fu opposta dal Parlamento, con l’approvazione della legge n. 515 di quello stesso anno, la regolamentazione dei rimborsi elettorali ai partiti, che di fatto incrementava i fondi erogati.

Meno evidente quanto accade ai nostri giorni, con un governo impegnato quant’altri mai nella battaglia referendaria, umiliato alla fine da un verdetto schiacciante uscito dalle urne, che si dimette, ma solo per cedere il posto a un suo clone, dove cambia solo il presidente del Consiglio, e tutto, come da tradizione gattopardesca, rimane identico a prima.

Se tutto ciò avviene alla luce del sole eludendo percorsi determinati dalla legge e dal buon senso, figuriamoci cosa può accadere quando le scelte competono a un’autorità che può – in maniera del tutto legale – arrogarsi il diritto di scegliere collaboratori interni o esterni all’amministrazione che presiede.

Un politico prudente terrà presente il livello di gradimento dei suoi elettori per le persone che sceglierà, evitando di assegnare incarichi a personaggi poco graditi dall’opinione pubblica. Così accadde a Trieste, dove nelle ultime fasi di un’infiammata campagna elettorale quello che sarebbe diventato il sindaco scaricò un suo noto sostenitore, Vittorio Sgarbi, che s’era proposto per affiancare la giunta di centro destra, accarezzando l’ipotesi di un posto di commissario per il Porto Vecchio o di assessore. Le ragioni per cui non ebbe all’epoca né una cosa né l’altra sono da ricercare nel comizio nel quale l’uomo di spettacolo aveva volgarmente offeso gli omosessuali e quanti al primo turno avevano votato per il candidato di centro sinistra. Il clamore suscitato dall’intervento aggressivo e sguaiato costrinse il futuro sindaco a una netta presa di distanza, che lo indusse a dichiarare, qualche giorno prima del ballottaggio: «Abbiamo tante persone qualificate del nostro territorio e con queste persone formeremo la giunta che sarà presentata il primo luglio» (Il Piccolo, 16 giugno 2016).

Valutazione generosa, questa delle persone qualificate: per quanto attiene alla Cultura, la scelta ha determinato sei mesi di assoluta stasi, nei quali l’assessore (per la verità oberato da altre impegnative deleghe) non pare aver spostato altro che uno storico dell’arte, allontanato dal suo incarico al Museo Revoltella per essere sottoutilizzato alla Risiera. Il rientro in scena di Sgarbi avviene ora in pompa magna: si terrà, finalmente, una grande mostra, oggetto della quale sarà la sua cospicua collezione di dipinti, già in precedenza esposti a Osimo e ora a Cortina. Del resto sono passati oltre sei mesi dallo spettacolo elettorale di dubbio gusto inscenato dal personaggio, che ormai, passata la quarantena, può finalmente “coadiuvare” l’assessore sulle scelte di carattere culturale per la città. Che poi tale attività abbia inizio a vantaggio di un’iniziativa espositiva privata promossa dallo stesso personaggio mica vuol dire nulla: solo un maniaco giustizialista potrebbe vedere in una scelta tanto trasparente un conflitto d’interessi, tanto più che l’assessore competente (diciamo così) dichiara seraficamente: “Il mio rapporto con Vittorio è ottimo. Ci sarà sicuramente una consulenza. Sgarbi è una garanzia culturale. Non è che devo chiamare qualcuno a vagliare quello che mi presenta Sgarbi”. Certo: è uno che può vagliarsi da solo, anche se i soldi sono pubblici e i profitti, ovviamente, privati.