ADDIO A DUE ARTISTE TRIESTINE

| |

A poche settimane dalla scomparsa di Livio Rosignano, altri due luttuosi eventi hanno ridisegnato il panorama artistico di Trieste, con la perdita di due personalità femminili che hanno segnato la storia del Novecento triestino, anche in considerazione della loro assai prolungata attività.

Mirella Shott Sbisà, nata a Trieste nel 1921, fu profondamente legata anche dal punto di vista creativo alla figura del marito, Carlo Sbisà, di cui fu modella, allieva e quindi compagna di vita e di lavoro. Carlo, con cui si sposò nel 1943, le consentì di entrare in contatto con gli esponenti più rilevanti della vita artistica locale e nazionale, e di vivere al suo fianco e sotto la sua guida i primi anni dell’attività artistica, tra l’altro anche producendo assieme ceramiche d’arte (crearono con le iniziali di entrambi il marchio CMS per tali loro opere) e condividendo l’esperienza della Scuola Libera dell’Incisione che dopo la scomparsa del coniuge, intervenuta nel 1964, la vedova avrebbe continuato per decenni a gestire, formando generazioni intere di artisti cui fornì le cognizioni tecniche ed estetiche per la produzione di opere calcografiche.

Certo condizionata nei primi anni dalla straordinaria figura di artista di Carlo, in seguito Mirella perseguì e conseguì un suo originale ambito creativo, allontanandosi dalle suggestioni post cubiste della sua pittura per trovare ispirazione in un vedutismo molto personale, ovvero in simbologie tratte dall’osservazione realistica, utilizzando il disegno e l’incisione e in particolare l’acquaforte e l’acquatinta come strumento espressivo privilegiato. Partecipò alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale romana, e poi a tutte le più significative rassegne regionali, ottenendo sempre significativi successi di critica e di pubblico.

Nora Carella, nata a Parenzo nel 1918, compì regolari studi frequentando l’Accademia di Venezia e stabilendo proficui contatti con i maestri triestini di pittura dell’epoca dei suoi anni giovanili, quali Giuseppe Barison e Glauco Cambon, stabilitasi per un lungo periodo a Roma, iniziò presto una luminosa carriera di ritrattista che la porterà ad essere ricercata per tale sua specializzazione, anche a livello internazionale.

Dotata naturalmente di una grande facilità di intendere le caratteristiche psicologiche del personaggio rappresentato, traspose sulla tela i volti di una grande quantità di personalità anche pubbliche, al punto di venir chiamata in Persia (come allora si chiamava l’attuale Iran) per ritrarre l’imperatrice Farah Diba, coniuge dello scià e altri personaggi della famiglia imperiale. Alludendo sullo sfondo dei suoi ritratti a richiami simbolici alla condizione o all’attività del personaggio ritratto, amplificava con tale artificio la verosimiglianza nella resa del soggetto.

Abbandonando quasi del tutto alla fine degli anni Novanta la ritrattistica, nell’ultimo periodo della sua attività si dedicò al paesaggio e alla natura morta, dimostrando anche in questi ambiti una non comune perizia interpretativa e una sapienza coloristica che richiamava nel gusto ardimenti fauve, giocati tuttavia su velature e trasparenze che, in particolare nella rappresentazione di vetri e cristalli, ne rendono inconfondibile lo stile.

Attiva fino agli ultimi anni, continuò con successo una defatigante attività espositiva che si concretò anche in esposizioni in ambiti di assoluto prestigio, quali Castel Sant’Angelo a Roma e altre importanti gallerie, in Italia e all’estero. Sue opere sono presenti in musei e in importanti collezioni pubbliche e private.