Esilio

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di Giuseppe O. Longo

 

Si può immaginare un uomo accanto a un telefono, probabilmente di notte. Da questo telefono, che è nero e pesante come i telefoni di una volta, potrebbe giungergli da un momento all’altro una chiamata, una chiamata di lei, da un luogo molto lontano, da Brisbane, per esempio, o meglio ancora da Seattle, dove l’inverno è molto freddo e ci sono per strada alti cumuli di neve, soprattutto dove la città sembra dirigersi infinitamente verso l’oceano. Anche se l’uomo ha perso da tempo le sue tracce, sa che in questo momento lei è in una stanza piccola, molto calda, illuminata da una lampadina nuda e forte che pende sopra il tavolo sfiorando il telefono, lo stesso telefono che da un momento all’altro lei potrebbe prendere in mano per chiamare l’uomo in attesa all’altro capo del mondo. L’uomo aspetta questa chiamata con tanta impazienza che a volte gli sembra di sentire dentro le orecchie lo squillo forte della soneria, sente uno squillo che ancora non c’è e che forse non ci sarà mai.

 

Naturalmente l’uomo a volte non resiste a quest’attesa così snervante e solleva il telefono, cercando di fare lui quella telefonata che non gli arriva mai. Ma i numeri che prova sono tutti sbagliati, lo mettono in comunicazione con una rete telefonica inesistente, una rete telefonica piena di echi e di battimenti, di lente voci beffarde, le lontane risate della galassia. Ogni tanto, dopo questi tentativi, il telefono squilla debolmente, ma sono sempre gli effetti postumi di quei collegamenti sbagliati, l’uomo sente le fioche voci riverberanti e ha strane visioni, sogna un gran fiume tropicale, l’abbaiare dei cani, qualcuno che spara con un fucile contro il cielo della notte. Poi sogna l’unità e la frammentazione del mondo. Poi il telefono tace di nuovo per mesi e per anni, il nero tremendo del telefono significa divieti.

 

Il recinto è protetto da baluardi altissimi, dentro c’è la felicità, una felicità delicata che bisogna difendere dalle minacce esterne. Queste minacce si precipitano volando con grande stridore da tutti i punti dell’orizzonte infinito. Qui, dentro il recinto, la felicità è assoluta e suprema, ma grandissima è l’angoscia di perdere la felicità. L’idea di una perdita così grande è intollerabile, ecco perché bisogna difendere il recinto dal resto del mondo. Il recinto è il paradiso, nel resto del mondo si svolge la lotta infinita tra il bene e il male. Dicono che paradiso derivi dal greco e prima ancora dall’avestico. Le sue potenti fortificazioni dovrebbero proteggerci dall’angoscia. L’uomo aspetta vicino al telefono nero, spera di sentire che è stato riammesso dentro il recinto.