I vecchi e i giovani
Editoriale | Il Ponte rosso N° 56 | maggio-giugno 2020
Ora che, con esasperante lentezza, pare svoltare in una fase meno aggressiva la morsa della pandemia che attanaglia il nostro Paese, come il resto del pianeta, con la sua disuguale diffusione, è opportuno iniziare a svolgere qualche considerazione, anche frammentaria, che ci fornisca ragione di quanto è avvenuto nei mesi passati e di riflettere su quanto avverrà invece nel futuro, immediato e più lontano nel tempo.
Statisticamente pare assodato che il virus abbia effetti letali soprattutto su pazienti particolarmente fragili, affetti da gravi patologie o semplicemente di età avanzata. Ricordiamo tutti come, ad ogni telegiornale o notiziario radiofonico il giornalista di turno, completando il suo bollettino di guerra con l’ultimo dei dati quotidiani, quello relativo al numero dei decessi delle precedenti ventiquattr’ore, faceva seguire la cifra, di per sé impressionante, dalla specificazione dell’età media, attestata attorno agli ottant’anni, quasi fosse un’attenuazione della gravità della notizia. Inutile nasconderlo: lo abbiamo pensato tutti, più o meno inconsciamente, con sollievo proporzionale alla distanza che separava la nostra età dal limite di quella indicata dal tragico bollettino. Eppure non avremmo dovuto, se solo avessimo riflettuto sulla tragedia di quelle morti solitarie e disperate nelle case di riposo o nelle terapie intensive, blindate dal rischio del contagio ad ogni vicinanza, ma che pure ci privavano collettivamente di un rilevante patrimonio di affetti e di memorie.
Tale percezione del disastro indurrebbe a ritenere il drammatico risvolto della storia di quest’anno come un accidente che ha colpito in via quasi esclusiva o comunque preponderante i più anziani, mentre è probabilmente vero il contrario, e cioè che a farne le spese sono soprattutto i giovani, addirittura quelli che vivono oggi gli anni della propria infanzia, che saranno chiamati a pagarne, se non altro dal punto di vista economico e della sicurezza sociale, le più prolungate conseguenze.
Se, come sinistramente sembra fin d’ora probabile, la società che si ristrutturerà passata la fase dell’emergenza sanitaria sarà la pedissequa prosecuzione di quella di prima, con le sue disuguaglianze e con l’esaltazione dei disvalori del neoliberismo, saranno le generazioni più giovani che dovranno accollarsi l’onere di un debito pubblico enormemente dilatato, che richiederà non solo di pagarne gli esosi interessi, ma anche di comprimere i margini di sicurezza individualmente garantiti a tutti dallo stato sociale.
Le generazioni più giovani, inoltre, dovranno farsi carico dei problemi di una società che offrirà loro un lavoro sempre più frammentato e precario, in un rapporto che vedrà il singolo confrontarsi individualmente col datore di lavoro, che considererà l’assunzione come un benevolo favore accordato al dipendente e non già come la stipulazione di un preciso contratto.
Come ha osservato in una recentissima intervista Giorgio Benvenuto «L’Italia fino agli anni novanta si è salvata svalutando la Lira; da lì in poi, non potendo svalutare l’Euro, si è svalutato il lavoro. Dare nuovi diritti nell’epoca della globalizzazione e della finanziarizzazione è ancora più difficile. Lo sviluppo tecnologico, l’intelligenza artificiale hanno creato disparità e diseguaglianze spaventose nel campo della conoscenza».
Certo non è detto che sia preclusa ogni altra scelta che consenta uno sviluppo più armonico e una distribuzione di redditi e diritti diversi da quella che, tuttavia, stanno cercando di ripristinare ed estendere i privilegiati di oggi, quelli che si fanno garantire i debiti dallo Stato italiano mentre si spartiscono i dividendi, avendo trasferito altrove le sedi fiscali delle loro società. A tali atteggiamenti si può opporre una resistenza, il che fa dire all’anziano sindacalista socialista, a conclusione del suo ragionamento, che «La pandemia è un dramma e allo stesso tempo un’occasione formidabile per ribaltare il mondo e limitare il potere della finanza, rimettendo al centro la persona». Un epilogo da bramarsi devotamente.