Addio a Fabio Zoratti

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Credeva nella libertà che dà l’arte di strada

di Marina Silvestri

 

 

Era nato nel 1950, aveva creduto nel Sessantotto, ma prima ancora nell’ottobre del ’66 si era schierato con gli operai triestini che erano scesi in piazza contro il piano governativo di accorpamento della cantieristica che segnò la fine dell’Arsenale San Marco, ed era stato fermato e tradotto in carcere. Aveva studiato alla Scuola d’Arte con Miela Reina e Ugo Carà e ricevuto lezioni private di musica.

Sono molte le cose da ricordare perchè plurima è stata la sua attività. Fabio ha suonato con Alfredo Lacosegliaz e Gino d’Eliso, con Moni Ovadia e Goran Bregović, Paolo Paolin e i Rocciosi e infine Juraj Berky Cigansky Trio.

Ha lavorato come scenografo per il cinema e per il teatro fornendo a Sergio d’Osmo soluzioni di carattere scenotecnico e attrezzeria ed è stato attore per il cinema. Come fisarmonicista ha dato vita a gruppi musicali come il Balkan Babau Circus Orkestar dai quali poi si è separato seguendo il richiamo del suo persiero anarchico e individualista.

Era impegnato nel sociale e nell’arte di strada: aveva condotto laboratoti nelle scuole, nei centri di salute mentale, partecipando, fra gli altri al Festival   Santarcangelo dei Teatri. Amava le piante grasse, le succulente, che coltivava nella mansarda di via Madonna del Mare dove ha vissuto e lo portavano con la fantasia in luoghi esotici ma soprattutto autentici e incontaminati. Amava gli animali, il suo ultimo inseparabile compagno è stato il bassotto Prince.

Negli ultimi vent’anni aveva scelto la strada come palcoscenico e Cittavecchia come luogo di elezione. Piazza Cavana, a volte piazza Hortis nelle mattine quando la animano le bancarelle di libri e abiti usati.

“Chi fa un lavoro normale, va in fabbrica o in ufficio, pensa che gli artisti di strada facciano una vita libera. Invece anche loro la mattina aprono bottega. Devono trovarsi sul posto nell’ora giusta”, ha dichiarato nel corso di un intervista. “Qualcuno si ferma e tenta un rapporto: chiede una canzone, si informa su un valzer. Chi pensa che mettere il cappello a terra per raccogliere l’obolo sia chiedere la carità si sbaglia. Qualcuno potrebbe pensare che io sia un fallito ma il giudizio mi lascia indifferente. L’euro uscirà dalle tasche per i motivi più vari: la musica che ricorda un film di anni passati o una canzone che riporta alla gioventù, al tempo degli amori”. Un motivo dimenticato che smuove i ricordi. Il suo repertorio spaziava dai Beatles, a David Bowie, ai Procol Harum, ad Astor Piazzolla alla Premiata Forneria Marconi, ma includeva anche Richard Strauss e il folk balcanico. Il suo concerto in strada lo aveva intitolato “Dagli Appennini  alle Ande passando per l’Oriente”. Aveva girato l’Europa per quasi tre anni con un orchestra di zigani. E aveva nel sangue la stessa libertà.

Aveva scelto la libera offerta offrendo uno spettacolo che lasciava al pubblico un libero giudizio, senza filtri, impresari pubblici o privati. Come un tempo quando non la faceva da padrone la cultura dell’evento e la fruizione passiva, e c’era spazio anche per la cultura tradizionale, per le espressioni artistiche spontanee che coinvolgono il pubblico in un gioco di condivisione e pensiero. Una scelta, la sua, di testimonianza, di rispetto, di saldezza nelle proprie idee, di attenzione per le vite degli altri. Perché fuori o dentro il sistema, la libertà è sempre un esercizio difficile. La musica di Fabio era un regalo inaspettato. La sua vita quello specchio scomodo da cui nessuno può mai sottrarsi.