Le carte e le tele di Graziana

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Da un volume della Fondazione Maria Corti di Pavia nuove luci sulla biografia e sull’opera dell’artista triestina Graziana Pentich

di Walter Chiereghin

 

«Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna»: in molti casi l’aforisma attribuito a Virginia Woolf può essere capovolto, o almeno rimodellato per parificare i due generi, come certamente è nella vicenda di una straordinaria coppia formata dal poeta salernitano Alfonso Gatto (Salerno, 1909 – Orbetello, 1976) e dalla triestina Graziana Pentich (Trieste, 1920 – Roma, 2013).

Di lei, poetessa, scrittrice e, soprattutto, pittrice, Il Ponte rosso si è già occupato nel numero 62, del novembre 2020, con un informato articolo di Gennaro Rega (https://www.ilponterosso.eu/2020/12/20/trieste-e-una-ragazza/).

Formatasi in una famiglia borghese non aliena a interessi creativi – il padre fotografo, la madre pittrice – Graziana si era laureata in Scienze Politiche a Trieste durante il secondo conflitto mondiale, nel quale aveva perduto il fratello Leone, partigiano caduto per mano di ustascia croati, e, nell’immediato dopoguerra, aveva incontrato Gatto a Milano. Lui era già un intellettuale affermato, aveva pubblicato alcune raccolte di versi improntate all’ermetismo negli anni antecedenti alla guerra, durante la quale aveva partecipato alla Resistenza, militando nelle fila del PCI, dal quale sarebbe poi uscito nel 1951. Il loro incontro, a una conferenza su Paul Valéry, determinò Gatto, reduce da un matrimonio durato una decina d’anni che gli aveva dato due figlie, a stabilire con Graziana un’intensa relazione destinata a durare per oltre vent’anni, dal 1946 fino alla primavera del 1970. Soprattutto nei primi anni, la coppia si trasferì a più riprese tra Milano, Venezia, Torino, Firenze e Roma, seguendo le occasioni di lavoro, prevalentemente giornalistico, di lui e stabilendo ovunque solide relazioni e amicizie con buona parte dei più significativi artisti ed intellettuali dell’epoca, da Guidi a Casorati, da Calvino a Lajolo, da Pavese a Pratolini. La coppia ebbe due figli: Leone, nato nel 1948 e Teodoro, vissuto un solo mese, dall’11 luglio all’11 agosto del ’62; anche per il primogenito la sorte ebbe in serbo un destino straziante, essendo morto suicida nel 1976, tre mesi dopo la morte del padre, causata da un incidente stradale. Nel 1993, la Pentich fece una prima donazione delle carte di Gatto al Centro Manoscritti di Pavia (ne seguirà una seconda nel 2001) mentre sempre il Centro manoscritti pubblicò nel 2000, grazie alla sua donazione, il Catalogo delle lettere a Alfonso Gatto (1942-1970), del quale è lei a firmare l’introduzione. La corrispondenza tra Graziana Pentich e Alfonso Gatto invece viene acquisita dal Ministero dei Beni Culturali nel 1996 ed è conservata presso la Biblioteca dell’Università di Pavia. A ciò si aggiunge un cospicuo lascito testamentario che incluse le parti non ancora assegnate dell’archivio e l’insieme della sua opera pittorica, una collezione in grado di testimoniare di un percorso creativo lungo quanto la carriera della Pentich, dai primi tentativi del 1947 all’ultimo periodo di forte attività negli anni tra il 1983 e il 1988.

La Fondazione Maria Corti di Pavia ha inteso rendere merito alla generosa donatrice pubblicando recentemente Un giorno a ricordare. Per Graziana Pentich, un volume collettaneo di saggi attorno alla sua versatile attività, che si è estrinsecata oltre che in pittura anche in diversi ambiti creativi, dei quali documenti e pubblicazioni forniscono un quadro che il libro di cui parliamo sicuramente rende più completo. Le carte dell’archivio, rileva Nicoletta Leone, esplorate come «la moviola azionata avanti e indietro, ci restituiscono una Pentich tumultuosa, controtempo, presa dentro una morsa di senso del dovere, sospinta dall’imperativo di conoscere l’arte, se stessa, gli altri, in un rimuginìo sofferente ma estremamente produttivo» (p. 66).

Oscillando alternativamente tra biografia e analisi delle opere – principalmente pittura, dunque, ma anche molto d’altro – il libro della Fondazione, curato da Angelo Stella, si propone come un documentato riassunto di quanto si può attingere dalle collezioni e dagli archivi di Pavia allo scopo di fornire un’immagine quanto più possibile completa dell’artista, della intellettuale e della donna.

Così ci s’imbatte fin dalle prime pagine in un’insospettata Pentich traduttrice dal francese, di un testo di Paul Valéry, Le Cimetière marin, nella sua versione in italiano, dal 1950 rimasta finora confinata in un quaderno manoscritto.

Alla sua opera di pittrice sono dedicati due saggi. Il primo, opera di Paolo Campiglio, concentra la sua analisi su una essenziale mostra antologica allestita con una quarantina di opere  nelle sale del Collegio Nuovo di Pavia, ma è in effetti un pretesto per esplorare ad uso del lettore la parabola della intera produzione artistica della pittrice, a partire dagli esordi veneziani del ’47, sotto l’implicita esortazione di Virgilio Guidi, dipinti che si qualificano come appunti visivi per avviarsi a una lunga ricerca formale, attenta alle suggestioni che le provennero nel tempo da maestri quali Matisse, Mondrian, Nicolas De Staël, De Pisis, ma anche, nei suoi anni fiorentini, Tiziano o, più tardi, Vermeer. Del maestro olandese e del rapporto che con la sua opera ebbe la Pentich si occupa l’altro dei due saggi che si soffermano sulla sua pittura, dovuto a Mara Affinito, che analizza la lettura attenta della pittrice della Veduta di Delft, davanti la quale fu testualmente «rapita» in occasione di un suo viaggio in Belgio e Olanda nell’agosto del 1968. Spaziando tra ambiti diversi, dai diari all’attività giornalistica e radiofonica alla pittura, la ricerca di Affinito mette in luce l’itinerario di lenta elaborazione interiore che è sotteso al processo creativo della Pentich, che nella fattispecie troverà compimento con due tele intitolate L’ora di Delft 1 (1974-75) e L’ora di Delft 2 (1977), molti anni più tardi, dunque, del rapimento estetico ed emotivo di fronte al capolavoro di Johannes Vermeer.

Non ci rimane che lo spazio sufficiente per citare appena, tra gli altri contributi del volume, due saggi che rimandano in particolare al rapporto dell’artista con Trieste, sua città natale. Nel primo, di Gabriella Norio, si ricostruisce la storia di una pubblicazione mancata, quella presso le edizioni dello Zibaldone di Anita Pittoni del volume di versi Una visita agli anni, che dopo una troppo prolungata gestazione vide invece la luce presso Arnoldo Mondadori nel 1968, determinando nei fatti una rottura nel rapporto di amicizia tra la coppia di Gatto e Pentich e quella triestina di Stuparich e Pittoni.

L’altro dei due saggi per così dire “triestini”, opera di Gennaro Rega, dopo un’accurata introduzione biografica, si dipana in un’analisi acuta, basata sui testi pubblicati – in prosa e in versi – dalla Pentich, a ricostruire i problematici rapporti tra l’autrice e la sua città natale, dalla quale i casi della vita l’hanno tenuta lontana e la distrazione della città l’ha relegata in un immeritato oblio. Eppure, come osserva Rega, nonostante i lunghi anni trascorsi altrove, per Graziana «non si cancellò mai la sua triestinità, nutrita di cosmopolitismo, accoglienza dell’altro, curiosità verso le più diverse forme artistiche, propensione a un autobiografismo introspettivo» (p. 115).

Si distende per oltre un centinaio di pagine, infine, il carteggio tra Gatto e Pentich negli anni 1946-49, curato e introdotto da Anna Modena, quasi un libro a parte che ovviamente mette a fuoco gli anni della loro relazione, che non fu soltanto una vicenda sentimentale e privata, ma si strutturò come «il carteggio di un tempo che sembra accantonare i sentimenti, perché c’è un paese da ricostruire, vite da avviare o da riprendere, il lavoro da trovare o da incanalare nei binari giusti» (p. 119).

Anche solo le ultime tre parti del libro della Fondazione Maria Corti meriterebbero un articolo ciascuno su queste pagine, e credo che prima o poi ciò avverrà, confidando, nell’attesa, di aver sollecitato la curiosità di qualcuno almeno tra i nostri lettori.

 

 

Un giorno, a ricordare.

Per Graziana Pentich

a cura di Angelo Stella

Fondazione Maria Corti

Università di Pavia, 2021

  1. 246, euro 30,00