Al Rossetti Moliere e tre autori americani

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Oltre al grande classico francese, Eugene O’Neil, Andrew Lloyd Webber e Woody Allen si sono divisi il palcoscenico dello Stabile

di Paolo Quazzolo

 

Autore che andrebbe rappresentato più spesso sulle scene italiane, Eugene O’Neil è considerato il maggiore drammaturgo nord-americano. Premio Nobel per la letteratura nel 1936, è autore di opere fondamentali per la storia del teatro occidentale del Novecento, come la trilogia Il lutto si addice a Elettra, Strano interludio, Anna Christie, Desiderio sotto gli olmi o Arriva l’uomo del ghiaccio. Nel 1941 scrisse Lungo viaggio verso la notte o, secondo altre traduzioni, Lunga giornata verso la notte, dramma profondamente autobiografico per il quale l’autore pose il veto alla rappresentazione e alla pubblicazione per i venticinque anni successivi alla sua scomparsa. Deceduto nel 1953, la vedova, trasferendo i diritti all’Università di Yale, riuscì a raggirare il veto posto dal marito, permettendo così che l’opera andasse in scena nel 1956. Il dramma, che è considerato il capolavoro di O’Neill, vinse nel 1957 il prestigioso premio Pulitzer, che fu per la prima volta assegnato postumo. Banco di prova per grandi attori, Lunga giornata verso la notte vede in scena solo quattro personaggi che in qualche modo riflettono drammaticamente il nucleo famigliare dell’autore: un padre e un fratello maggiore falliti e alcoolizzati, una madre morfinomane, un fratello minore malato di tubercolosi. La vicenda, che si svolge in un’unica giornata, racconta il progressivo sprofondare di questa famiglia verso le tenebre della notte e della mente. La messinscena di Tieffe Teatro di Milano per la regia di Arturo Cirillo ha proposto una versione del testo ampiamente tagliata, dove gli originari quattro atti si riducono a un atto unico di circa due ore. Se è vero che nella sua stesura originale il testo di O’Neill è molto lungo, tuttavia la compressione operata da Cirillo è parsa eccessiva, finendo con l’appiattire i risvolti psicologici dei personaggi e semplificando sin troppo lo sviluppo della vicenda. Ciò che è mancato in questa edizione sono stati i grandi interpreti e soprattutto la madre di Milvia Marigliano è parsa troppo debole per un personaggio così disperatamente complesso e articolato.

Spettacolo di punta della stagione del Rossetti è stato l’atteso musical Sunset Boulevard, unica tappa italiana dell’imponente produzione inglese che sta girando per l’Europa. Opera tra le più rappresentate di Andrew Lloyd Webber – ma forse non tra le migliori – questo musical ha visto la luce nel 1993 ed è basato sul celebre film di Billy Wilder del 1950 Viale del tramonto. Vi si racconta la storia di una diva del cinema muto, Norma Desmond, ormai dimenticata da tutti, che crede di poter ritornare al grande schermo e ai fasti di un tempo grazie a un giovane sceneggiatore. Lo spettacolo, uno dei più imponenti e articolati giunti sul palcoscenico del Rossetti, è di grande effetto: costanti movimenti della scenografia, effetti luce che si susseguono a ritmo incalzante, un palcoscenico popolato da un numeroso ensemble. E infine un’ampia orchestra per ospitare la quale è stato aperto il golfo mistico del Rossetti. Tutti bravi gli interpreti a partire da Ria Jones nei panni di Norma la quale, nonostante una voce che talora accusa qualche stanchezza, sa padroneggiare perfettamente la scena dipingendo in modo convincente il suo personaggio. Ottima anche la prova di Danny Mac nei panni dello sceneggiatore e di Adam Pearce in quelli del maggiordomo. Rossetti stranamente non esaurito per questo spettacolo di punta: segno forse di qualche stanchezza del pubblico verso il genere musical, che andrebbe ponderato in vista delle scelte future.

Alla Sala Bartoli è andata in scena una bella edizione del Misantropo di Molière. Opera scritta nel 1666 mantiene ancora oggi una straordinaria carica di attualità sulla quale ha giocato le sue carte la regista Monica Conti, che ha curato anche l’adattamento – perfettamente riuscito – della commedia a atto unico. Il tema affrontato da Molière è quello dell’ipocrisia della società aristocratica seicentesca nella quale non è difficile vedere riflessi gli atteggiamenti, altrettanto falsi, della nostra società contemporanea. Da qui la scelta di recitare la pièce in abiti moderni, pigiando spesso il pedale su ritmi infuocati che ben rendono la schizofrenia della vita attuale. Incapace a condividere il conformismo dei suoi simili, Alceste, il misantropo, alla fine della commedia preferirà scegliere la solitudine e l’isolamento. Scelta difficile che se da un lato lo rende l’eroe anticonformista della vicenda, dall’altro fa riflettere lo spettatore quanto, nella realtà dei fatti, sia impossibile abbracciare completamente tale filosofia di vita: per sua natura l’uomo, animale sociale, non è capace di vivere lontano dai suoi simili e per quanto ne contesti le abitudini, dovrà inevitabilmente condividerle. Bravo Roberto Trifirò nei panni di Alceste e brave Flaminia Cuzzoli e Stefania Medri artefici di una riuscitissima e pirotecnica scena a due. Unica osservazione: forse inutile la presenza della regista sulla scena nei panni di una pianista, che nulla toglie e nulla aggiunge alla vicenda.

Mariti e mogli è lo spettacolo che in questi mesi Monica Guerritore sta portano in tournée per i teatri italiani. Si tratta di un adattamento scenico dall’omonimo celebre film di Woody Allen del 1992. Come tutte le operazioni di questo tipo, di cui non sempre si scorge l’utilità, anche per Mariti e mogli il problema principale è quello di dover sostenere il confronto con un modello di partenza estremamente solido e ben presente nell’immaginario collettivo del pubblico. Il linguaggio cinematografico e quello teatrale non sono così facilmente sovrapponibili e ciò che funziona sul grande schermo non è detto che possa fare altrettanto anche sul palcoscenico teatrale. Nonostante tutto, la riduzione tentata dalla stessa Monica Guerritore funziona abbastanza bene e la forzata ambientazione in un unico spazio che di volta in volta cambia ruolo – sala da ballo, bar, ristorante, dormitorio – risulta adeguata. Ma il merito è soprattutto di una compagnia affiatata che riesce a ben sostenere i ritmi scenici e soprattutto a mantenere viva la carica sarcastica e provocatrice del film di Allen. Bravi e ironici Francesca Reggiani, Monica Guerritore, Cristian Giammarini, Ferdinando Maddaloni e via via tutti gli interpreti della compagnia. Unico neo: assolvere contemporaneamente al ruolo di adattatrice del testo, regista e interprete, ha privato Monica Guerritore di quel distacco critico necessario per poter controllare gli equilibri della messinscena. E infatti lo spettacolo, un atto unico di quasi due ore, risulta piuttosto stiracchiato soprattutto nella parte finale, dove più volte viene meno la tensione scenica. Qualche sforbiciata e la riduzione di una mezz’oretta, avrebbe certamente giovato.