Album tra memoria e nostalgia

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Fotografie ed altro in una mostra organizzata dall’Irci

di Walter Chiereghin

 

Per alcuni anziani un amarcord, per qualche altro, più giovane anche di pochi anni, un’occasione per esplorare il microcosmo in cui hanno agito genitori, nonni, o altri più remoti avi relegati, magari da decenni, nell’oblio di un cassetto o di un vecchio album, oppure abbandonati come altri poveri beni al Magazzino 18: si presenta così la mostra “Come eravamo” che è aperta dallo scorso 20 dicembre presso il Civico Museo della Civiltà istriana, fiumana e dalmata di Via Torino, 8 a Trieste.

Curata da Piero Delbello, direttore dell’Irci, la rassegna esibisce una quantità di stampe fotografiche, realizzate tra gli anni Sessanta del XIX secolo e la metà del Novecento, immagini atte a descrivere, nel loro complesso, alcune connotazioni di un’articolata comunità residente e operante tra Istria, Fiume e Dalmazia.

Si tratta per lo più di ritratti, eseguiti, come un tempo usava, nello studio del fotografo, per fissare sulla lastra e poi in positivo sul cartoncino della stampa l’immagine, di norma un po’ impacciata e irrigidita in una postura poco naturale, di giovani ragazze in fiore, di gruppi di famiglia, di militari impettiti nell’uniforme. Rari, soprattutto nelle immagini più antiche, i casi di inquadrature ricercate dal punto di vista compositivo, come qualche immagine che proponiamo in queste pagine: il più delle volte è evidente il mero effetto documentario, quello che spinge a lasciare un segno di sé che sottragga il volto o almeno il nome alla vorace consunzione del tempo, come quando s’incide un banco di scuola o la corteccia di un albero. O, come, assai meglio di chi scrive, dice un grande poeta come Mario Luzi: «… è strano come murare lapidi / su case per memoria d’un passaggio / d’una sosta nel transitare eterno». Risulta difatti di grande impatto emotivo passare in rassegna decine e decine di volti sconosciuti e il più delle volte anonimi, cercando di dedurre dalle fisionomie, dagli abiti, da qualche laconico dettaglio dell’ambiente nel quale sono irrigiditi per sempre, i lacerti di una storia personale, che va a confondersi con quella dell’insieme, di una comunità che s’immagina unitaria e che invece attraversa un territorio vasto e composito, da Capodistria a Cattaro, ma anche dolorosamente esteso, nei documenti più recenti, a campi profughi allestiti in Italia, e si snoda, cronologicamente, attraverso all’incirca un secolo, e non dei più tranquilli.

L’anonimato dei ritratti non è assoluto: sul retro sono appuntate, in alcuni casi, informazioni più o meno complete, almeno un nome di battesimo, una data, in alcuni casi una notazione più esaustiva, che consente di identificare i personaggi fotografati. In altri casi ancora, le dediche, spesso ingenue e sempre cariche di affetto, se apportano poco in termini di informazione, lasciano però intravedere un fitto reticolo di emozioni, che intende aver ragione di ogni distanza, nello spazio e nel tempo.

Come afferma nell’introdurre il bel catalogo il presidente dell’Istituto, Franco Degrassi, la mostra è funzionale al conseguimento di uno dei fini istituzionali dell’Irci: «Recuperare e conservare sono principi salienti del nostro Istituto Regionale per la Cultura Istriano-fiumano-dalmata e sono questi i motivi che ci hanno portato ad avviare già da molto tempo un percorso finalizzato alla costituzione di un grande archivio storico che oggi si amplia di un ulteriore recupero di memoria delle nostre genti giuliane, fiumane e dalmate».

Una mostra di questo genere non può avere scarsa rilevanza per quanti si sentono in qualche misura coinvolti dalle immagini esposte, e difatti – ci racconta Delbello – la mostra, la pubblicazione del catalogo e soprattutto la presenza sulle reti sociali hanno dato la stura a una quantità di riconoscimenti e identificazione delle persone ritratte per iniziativa dei sopravvissuti, discendenti o conoscenti che fossero e anche all’acquisizione, da parte degli archivi dell’Irci, di ulteriori materiali che vanno ad arricchirne le collezioni. La tangibile controprova di un’operazione culturale opportuna e sicuramente riuscita, che per di più farà confluire i materiali esposti, con l’aggiunta di ulteriori informazioni e con una selezione di altri reperti pervenuti grazie alla pubblicità offerta dall’occasione espositiva in una mostra “allargata”, che sarà inaugurata l’11 febbraio, e rimarrà aperta fino al 5 aprile.