Incontri difficili

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La comune, di Thomas Vinterberg e Un bacio, di Ivan Cotroneo

di Gianfranco Sodomaco

 

Gli anni ’70 non sono stati solo gli anni drammatici delle stragi (a partire da dicembre ’69, da Piazza Fontana a Milano) ma anche, soprattutto nell’Europa del nord, figlie in qualche modo del ’68, delle Comuni. A Copenaghen, nel ’75, Erik, professore universitario di Architettura e sua moglie, Anna (Trine Dyrholm, Orso d’Argento, migliore interpretazione femminile al Festival di Berlino), speaker del telegiornale nazionale, assieme alla figlia adolescente Freja, decidono, anziché di vendere un grande villa, di mettere su una grande Comune, di condividere con alcuni amici e conoscenti quella abitazione. Tutti mettono in comune tutto e, se necessario, votare democraticamente. Per un certo periodo funziona, poi… scontato, qualcuno tradisce il patto e, scontato, questo è proprio il padrone di casa, Erik, che si invaghisce di una sua giovane studentessa. Erik confessa il fatto alla moglie e, in nome dell’ideale comunardo, le chiede di ‘restare’ e costei, in nome dell’ideale, accetta. Poi, poco dopo, la cosa non regge, Anna decide di lasciare la casa e la figlia Freja (che già da un po’ ha iniziato una relazione erotica con un ragazzo), cara, solidarizza: “mamma, vedrai che ce la farai!” Non solo, c’è il nipotino di Freja che, sofferente di cuore, muore e, in breve, quella che era sembrata una bella esperienza social-familiare, si trasforma in tragedia. Piangono tutti, piange anche Erik che, un po’ ipocrita, non lascia l’avvenente amante e alla fine, quando tutti brindano alla vita per ricordare il bambino, si associa alla bevuta.

Thomas Strindberg, il regista (da ricordare il suo Il sospetto, piccolo capolavoro sul tema della pedofilia, 2012) potrebbe farlo ma non vuole calcare la mano, non vuole mettersi a fare il moralista anche perché Thomas, per quasi un decennio, quella esperienza l’ha vissuta pure lui. E questa sincerità, la cosa più bella del film, non stride e comunica l’autenticità con cui, tutte quelle persone, hanno voluto vivere quella esperienza, provare l’impossibile. La comune, film sicuramente da vedere, soprattutto per spettatori di una certa età che quella strada, bene o male, l’hanno attraversata.

Un bacio, di Ivan Cotroneo, napoletano (1968) una produzione smisurata di romanzi (cinque), sceneggiature cinematografiche e televisive a non finire, e tre film che cito, La kriptonite nella borsa (2011), Il Natale della mamma imperfetta (2013) e, appunto, Un bacio, 2016), invece, mi ha lasciato piuttosto perplesso. E non è tanto difficile da capire. Cotroneo ha lavorato tantissimo sulla quantità, ma forse doveva prendersi una pausa, se voleva tentare il ‘colpaccio’ qualitativo. Il fatto stesso che abbia voluto portare sullo schermo uno dei tre romanzi la dice lunga a tal proposito. Ma andiamo pure alla storia.

Che è quella di tre amici adolescenti, che s’incontrano a scuola (film girato a Udine e verrà presento in questo periodo al ‘Visionario’), e subito simpatizzano perché, intelligentemente, capiscono le loro diversità individuali, ma anche la presa di distanza dai conformismi di massa. E questo non è un problema da poco: oggi, generalizzando ma mica tanto, i ragazzi fanno una gran fatica, per i tanti motivi che conosciamo, a trovare una taratura, l’equilibrio psicologico necessario per affrontare la vita, per maturare. Entrando nello specifico, eccoci di fronte a Lorenzo, Blu (al femminile) e Antonio: per i ‘carissimi’ amici di scuola “il frocio”, “la troia” e “l’idiota”.

Lorenzo, fiero della propria omosessualità, si è appena trasferito e vive la doppia alienazione dell’estraneità e della diversità. Blu scrive con talento, figlia di scrittrice, con cui vive l’ovvio conflitto ma senza remore, pudori né imbarazzi. Antonio ha un ritardo cognitivo forse amplificato dalla scomparsa prematura del fratello. I tre simpatizzano per le loro peculiarità ma, inevitabilmente, la pagheranno cara. Partiamo da Blu: che ha un ragazzo, di cui è davvero innamorata ma che subito subisce l’incidente. Gli amici del ragazzo, forse perché Blu è troppa autonoma, gliela fanno pagare: c’è sempre il branco da qualche parte e gliela fanno pagare violentandola. Blu non resiste e parla con la madre che subito va dalla polizia per fare denuncia. È solo l’inizio: il branco allargato, scolastico questa volta, non perdona l’omosessualità di Lorenzo che viene picchiato ma che, sensibile, non cerca vendetta, anzi. Lorenzo è naturalmente innamorato di Antonio e, in occasione, del suo compleanno, gli fa un regalo. Antonio, scontato, reagisce malamente, poi si pente e, per farsi perdonare in qualche modo, lo va a baciare sulla bocca. Non è la nascita di un amore ma nemmeno la vittoria di un’amicizia. Ad Antonio piace la caccia, come a suo padre. Finalmente, un giorno, riesce ad impallinare la volpe e questo innesta l’atroce pensiero. Lorenzo, per Antonio, è diventato un pericolo, può bastare una delle tante scritte ‘cattive’ sui muri della scuola “Newton”. Qualche giorno dopo Antonio va ad impallinare Lorenzo: morto stecchito. Scene di un funerale scolastico e i superstiti, tutti, a cercare di capire che cosa ha significato quella storia.

Che dire? Ma ciò a cui ho semplicemente accennato all’inizio: Cotroneo si è lasciato prendere la mano, il film (commentato da molta musica “yankee”) sembra quasi cercare il dramma a tutti i costi: certo la morte a volte si presenta in modo oscuro, e la psicologia adolescenziale spesso e volentieri è una faccenda complicata, ma da qui alla connessione dell’ammazzamento della volpe a quella di un umano… beh, ce ne corre! Sicché, alla fine, il film risulta astratto, quasi che l’autore volesse dimostrare a tutti costi quella tesi e anche noi, il pubblico, siamo rimasti non convinti della linearità e nello stesso tempo della profondità della storia. Peccato, l’idea poteva essere buona ma poi si è persa per strada. Cotroneo, dispiace dirlo, resta un regista a metà.