Alle spalle delle cose

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di Fulvio Senardi

 

Un doppio e contrastante movimento nella snella raccolta di poesie che Sandro Pecchiari dà alle stampe in questo funesto e interminabile ’22 (Alle spalle delle cose, con foto di Paolo Ugolini e Daniela Alpi, postfazione di Monica Guerra e nota di Giuseppe Vetromile, Vita Activa Nuova editore).

Movimento di cose che fermentano nel variare dei luoghi, testimonianza di un vagabondare curioso che cerca il diverso come occasione di un rimbaudiano “changer la vie”, e alle quali si chiede di trovare parole proprie, prendendo la rivincita su quel Soggetto che da sempre fa la parte del leone nella periclitante ma inscalfibile metafisica dell’Occidente, spossessandolo dei suoi privilegi; e, in controtendenza, sussulti dell’Io che non si rassegna a tacere, soprattutto se interpreta la voce traboccante di auto-ironia di chi «in dubbio di mio stato or piango or canto». È l’antico sogno di una parola iscritta nel reale, ventriloqua della res extensa e così “cosificata” (sunt lacrime rerum) che ha tormentato gli scrittori europei nella stagione della Krisis, portandoli, attraverso la tempesta degli -ismi, quasi sull’orlo del silenzio, consapevoli che il mondo era prossimo a sfuggire alla presa precaria di una lingua atrofizzata per il troppo uso: Hofmannstahl, Rilke, il primo D’Annunzio, perfino il nostro bonario Svevo, che esalta, di contro al menzognero orizzonte degli umani, il «mondo sincero degli odori», prerogativa incomunicabile della caninità.

Siamo al Racconto della sabbia, per dire di una poesia che vale per tutte le consimili, irridente testimone di un’umanità di bagnanti, ma sensibile, più che al loro chiaccherio, alla voce forte del libeccio. O in prossimità del canale di Trieste, che inganna con le sue visioni multiple e raddoppiate la nostra limitata intelligenza percettiva. Ma se incombe una «frazione di paura una di pianto» e «nel sangue si spande l’abbandono / al niente» (Sala operatoria) ecco l’Io rifluire nella sua propria consistenza, barattare il genius loci – sempre evocato con puntigliosi rimandi in calce nella maggior parte delle liriche – con la forza trascinante dell’habitus introspettivo, prerogativa da sempre (con l’endecasillabo) della nostra civiltà letteraria.

Un conflitto di singolarità che non si risolve, ma si auto-alimenta, consustanziale all’universo “poesia” e che parrebbe sfociare nell’illusoria sintesi dell’ultima lirica, la numero 40 (Pecchiari ama i rovelli pitagorici, oltre alla saggezza orientale e all’essenzialità degli haiku, e organizza il suo spazio espressivo in quattro gruppi di dieci liriche), che celebra «lo specchio», capace di materializzare la luce in figura e rinviare allo sguardo l’immagine di corpi, ma fatti di niente.

Del percorso che Pecchiari propone sono scelti a garanti e testimoni quattro poeti, credo, a lui più cari: Philip Larkin, Antonella Anedda, Jolanda Insana e William D. Snowdgrass, quasi a tracciare una linea di confine nel tempo stesso di appartenenza e di opposizione (questo forse soprattutto, se richiamiamo alla mente la tendenza soggettivante ed escapista del confessional poetry).

Incongruo ma rivelatore un verso di Carducci, ironico rimando a quell’Antico verso il quale Pecchiari non nutre alcuna adorazione, ma che pure respira nel suo stile se non altro in termini di grazia.

Scandiscono i quattro blocchi poetici fotografie pienamente partecipi del clima della raccolta, di condensata pensosità che vira sui toni del grigio verso un’oggettualità “metafisica” «un mondo altro / scolpito dalle ombre» (Cattedrale).

 

 

Sandro Pecchiari

Alle spalle delle cose

con foto di Paolo Ugolini

e Daniela Alpi

Vita Activa Nuova, Trieste 2022

  1. 105, euro 15,00