Un vademecum per capire Dante

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Alberto Casadei, nel suo saggio, accompagna il lettore in un itinerario che segue tutta intera la parabola creativa di Dante, dalla Vita nova all’ultimo canto del Paradiso

di Walter Chiereghin

 

Ci accingiamo ad affrontare un’overdose di pubblicazioni, di rassegne espositive, probabilmente di opere teatrali, cinematografiche o televisive legate al settimo centenario della morte di Dante Alighieri, celebrazioni da cui per la verità non si asterrà nemmeno Il Ponte rosso. Tutta salute, non c’è dubbio, anche se fatalmente l’alluvionale sovraesposizione mediatica di un autore di sette secoli or sono conterrà in molti casi, di sicuro, abborracciate imprecisioni, vistose lacune, insidiosi depistaggi e tante noiose ripetizioni, fatali, queste ultime, in una bibliografia internazionale costituita da molte migliaia di volumi e contributi accademici e divulgativi, di ogni tipo di livello, in grado di occupare, con altalenante autorevolezza, centinaia di scaffali. Per smussare i rischi di eutrofizzazione del mare magnum della dantistica, ci piace segnalare un saggio fresco di stampa, opera di Alberto Casadei, ordinario di Letteratura italiana a Pisa, Dante. Storia avventurosa della Divina commedia dalla selva oscura alla realtà aumentata, per le sue doti di precisione, di leggibilità, e soprattutto di sintesi, nel tratteggiare con efficacia il ritratto di una personalità così poliedrica, di un contesto storico tanto complesso e di un’opera letteraria così straordinaria, concentrando il tutto in meno di duecento pagine.

Parte, la lezione di Casadei, da una domanda, se cioè l’opera di Dante sia ancora attuale, se abbia ancora qualcosa da dirci un autore complesso, scomparso da settecento anni, che nonostante ciò viene celebrato con studi e ritratti, con statue monumentali, con busti in marmo o in bronzo, e con biblioteche intere di saggi, sia in Europa che in America, in Cina, in Africa. Già quest’universalità di riconoscimenti fornisce una prima risposta all’interrogativo iniziale, tanto più che accostarsi all’opera letteraria dantesca nel suo complesso, e non limitandosi al solo capolavoro che chiamiamo Divina commedia, richiede un impegno non da poco, considerando che essa «non risponde alla nostra condizione socioculturale, difende e addirittura impone verità che non ci sembrano più tali, e certamente spesso non è di facile decifrazione» (p. 9).

Per fronteggiare queste obiezioni, Casadei si impone di accompagnare il lettore in un itinerario che segue tutta intera la parabola creativa di Dante, dalla Vita nova all’ultimo canto del Paradiso, e quindi, necessariamente, che ripercorre pure la sua vicenda biografica, senza nascondersi che quest’ultima ci perviene, da un passato così remoto, priva di completezza e ricostruibile su tracce documentali lacunose e di dubbia veridicità, spesso collegate tra loro sulla base di esili ipotesi. Per questa ragione, appoggiandosi sui pochi dati certi, si cerca di trovare all’interno della produzione letteraria di Dante stesso, oltre che in quella esegetica dei più antichi commentatori, alcuni riferimenti che consentano di organizzare una cronologia quanto più possibile articolata e precisa, tanto della biografia quanto della creazione delle singole opere o di parte di esse. A questo proposito, è da segnalare la presenza, in calce al volume, di una Cronologia delle opere, che affianca una Bibliografia essenziale, entrambe appendici funzionali a dar conto, con acuto spirito critico, dei più recenti sviluppi della ricerca, come del resto avviene per ogni altra parte del volume.

Ridotte all’osso, ma necessarie per lo sviluppo di un ragionamento critico sul suo agire letterario, risultano le informazioni sulla vita del poeta e sul contesto storico. Collocare il poeta all’interno di un disegno sia pure schematico delle vicende sociali e politiche della sua epoca appare particolarmente importante non solo per la sua partecipazione alla vita politica fiorentina, ma anche perché da tale suo impegno derivò quello snodo drammatico nella sua esistenza che fu il bando da Firenze degli inizi del 1302 e il duro esilio in cui fu relegato fino alla fine dei suoi giorni.

Tratteggiando appena nelle sue linee essenziali la trama dell’arazzo storico in cui si muove Dante, Casadei si sofferma in particolare sull’analisi della sua opera letteraria, cominciando dalla poetica degli anni giovanili e quindi necessariamente da un primo capolavoro, il “libello” della Vita nova, «organismo di grande complessità: contiene infatti trenta componimenti e l’inizio di un altro, volutamente lasciato interrotto in un punto fondamentale, inseriti in un discorso narrativo in prosa» (p. 25). Diamo per nota la storia narrata, gli incontri con la donna coetanea del poeta a nove, poi a diciotto anni, il saluto, la morte di lei… «Un racconto talmente privo di riferimenti precisi da assomigliare a un lungo sogno ad occhi aperti; un poeta che dichiara di non aver compreso quanto gli è accaduto, ma poi è attentissimo a giustificare le sue immagini, che pure gli sarebbero giunte attraverso un’ispirazione superiore; una donna che si manifesta sempre più come un vero angelo (non somigliante a un angelo, come in tanti poeti precedenti) intenerisce persino gli animi più duri e dona salvezza, ma è pronta a punire anche la più minima infrazione…» (pp. 30-31). La conclusione dell’opera, con la “mirabile visione” di Beatrice nell’empireo, nel paragrafo 42, induce Dante ad abbandonare l’impresa «infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei» e quindi sembra profetizzare un’altra più complessa visione in cui, a Dio piacendo «che la mia vita duri alquanti anni, io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna». Cosa che, incredibilmente, sarà.

Terminata nel 1292 o ’93 la Vita nova, che ebbe larghissimo successo e lo collocò in una posizione di primo piano tanto nello Stil novo quanto, in generale, nella vita culturale italiana, Dante consolidò la sua fama di erudito, approfondendo gli studi di filosofia e dedicandosi a una carriera politica che si apriva a lui soprattutto dopo la scomparsa, nel 1293, di Brunetto Latini, che aveva reso disponibile il ruolo di referente intellettuale nella città.

Fino alla fine del secolo, Dante praticò in ambito poetico percorsi meno informati alle tematiche amorose, sperimentando varie altre formule, la cui cronologia è ora piuttosto incerta, ad iniziare dallo stile comico della contesa con Forese Donati, che si rivelerà importante per l’Inferno, ancora di là da venire. Lo stile popolaresco e scurrile di quella disputa poetica (“comico” appunto, secondo

la dottrina medievale degli stili) ha un antecedente nella versione italiana di 232 sonetti derivati dal francese del Roman de la rose, raccolta sotto il titolo de Il Fiore, di assai problematica attribuzione all’Alighieri, tanto da essere oggi per lo più ritenuta un apocrifo dantesco. Anche altri componimenti in rima, per lo più ballate (forma metrica dunque più popolare, rispetto alla nobiltà della canzone) hanno per oggetto, sempre rimanendo entro il canone del “comico”, come in epoca medievale veniva inteso il tema del trasporto amoroso, non sublimato però in una tensione spirituale e religiosa come nel caso di Beatrice, per una serie di figure femminili identificate con i nomi di Fiammetta, Violetta, Lisetta e, con maggiore intensità, con la misteriosa donna Petra, il cui nome poetico dice subito di una durezza di cuore tale per cui «non esce di faretra / saetta che già mai la colga ignuda»: siamo agli antipodi della vicenda amorosa narrata nella Vita nova: se lì la passione toccava «lo zenit della sublimazione, qui si arriva al nadir dell’ossessione» (p. 49).

Dante, frattanto, proseguiva nel suo impegno politico, senza mai raggiungere posizioni di autentico potere all’interno della fazione guelfa dei bianchi, il che tuttavia lo fece assurgere a diverse cariche di un certo rilievo nella gestione del comune, fino ad arrivare per un bimestre al priorato, nell’estate del 1300. Tale suo impegno lo pose in contrapposizione a Corso Donati, maggiorente di parte nera, che, benché bandito dalla città e condannato a morte, si accordò col papa Bonifacio VIII, il quale alla fine favorì la vittoria dei neri tra i due contrapposti schieramenti di parte guelfa, ponendo così i presupposti perché l’Alighieri, assente da Firenze, venisse condannato in contumacia dapprima all’esilio e successivamente a morte, ove fosse rientrato in città. Spogliato di tutti i suoi beni, dei libri, strumenti essenziali di lavoro e delle sue carte, dalla fine di gennaio del 1302 inizia per il poeta la seconda parte della sua vita, che lo condurrà esule e in cerca di protezione presso una pluralità di influenti famiglie nell’Italia centro-settentrionale.

Tra gli scritti rimasti a Firenze, a detta del Boccaccio che raccolse l’informazione da indiretti testimoni, vi erano i primi canti dell’Inferno – sette secondo lui, più probabilmente quattro secondo la valutazione di Casadei – che tornarono in possesso di Dante nel 1306. Da essi il poeta riprese qualche tempo dopo il lavoro interrotto dalla condanna che lo allontanò per sempre da Firenze.

Questa vicenda dei primi canti del poema può apparire, senza esserlo, un’esercitazione tra eruditi: il fatto che il poeta avesse dato avvio alla redazione della Commedia prima del 1302 anziché cinque anni più tardi può testimoniare di una suggestione derivante dal collimare di alcuni eventi, in primo luogo il trentacinquesimo anno della sua vita – il “mezzo del cammin di nostra vita” – con il primo anno santo istituito da Bonifacio VIII, che probabilmente vide Dante pellegrino a Roma nella primavera o forse in autunno di quel 1300, che fu anche il decimo anniversario della morte di Beatrice. «Il poema sarebbe allora il risultato diretto di una profonda ricognizione sulla propria vita, svolta non a freddo, a distanza di anni (con le ovvie difficoltà in fase di ricostruzione), bensì in un periodo preciso e simbolicamente molto forte» (p. 59).

Il volume, che tutti conosciamo come Divina commedia, non fu intitolato così dall’autore, né altrimenti: la titolazione è invalsa, per quanto attiene all’aggettivo, soltanto dal XVI secolo (riprendendo un suggerimento del Boccaccio), mentre il sostantivo commedia è riferibile con una certa proprietà alle prime due cantiche, che secondo i canoni dell’epoca si indicano appartenenti a un genere “comico”, contrapposto al “tragico” cui ci si riferisce, ad esempio, all’Eneide per indicarne il contenuto epico e lo stile elevato, non riferibile, a causa dell’argomento, alla condizione infernale. La cosa cambiò quando fu completato il Paradiso, dove è Dante stesso che, riferendosi all’opera complessiva, la definisce «sacrato poema» (Par. 23, v. 62) o «poema sacro» (Par. 25, v. 1).

Conducendo il lettore a ripercorrere il cammino ultraterreno narrato dal poeta, Casadei tocca ad una ad una le numerose tematiche circa struttura e poetica della Commedia, evidenziando, sempre con rigore ma anche con un piano argomentare discorsivo, temi quali il rapporto tra allegoria e senso letterale, indicando la perizia della gestione metrica della narrazione, rilevandone gli artifici che, spesso di grande effetto, contribuiscono a rendere emozionante la lettura del testo. Sottolineando che «è importante cogliere i tratti che rendono il testo dantesco moderno, non tanto in riferimento ai meri contenuti, che spesso sono in linea con le convinzioni del suo tempo, bensì ai modi di presentarli, ancora efficacissimi per […] la varietà delle situazioni narrative che Dante riesce a far muovere all’interno di uno schema fisso ma non rigido, con soluzioni linguistiche e stilistiche memorabili per essenzialità e definitezza» (pp. 93-94).

Fino alle ultime pagine del suo lavoro di alta divulgazione Casadei alterna la narrazione della vicenda umana e politica di Dante all’esame del testo letterario, rinvenendo in esso conferme e incongruenze che puntellano, per come si può, l’incertezza delle fonti biografiche esterne all’opera dell’exul immeritus (l’esule senza colpa, come si definisce in alcune epistole), fino all’esplorazione dell’eccezionale sforzo creativo che condusse alla redazione del Paradiso, dove «la materia e lo stile raggiungono vette incomparabili con la poesia precedente, che non aveva mai osato rappresentare i cieli fisici e metafisici nella loro interezza» (p.118).

L’ultimo capitolo di questo affascinante saggio è dedicato alla fortuna dell’opera dantesca, che se da un lato ebbe il conforto di una certa popolarità dopo che furono licenziate le prime due cantiche – ovviamente per l’epoca (ancora privata della stampa a caratteri mobili e quindi affidata a copisti che laboriosamente davano corpo a preziosi manoscritti) – da un altro lato fu criticata per l’uso del volgare al posto del latino, in seno ad ambienti preumanistici, determinando così un relativo calo di popolarità e diffusione, che si protrasse fino al Settecento mentre da allora, al contrario, vi fu un crescendo di interesse che perdura, amplificato ed esteso a una pluralità di ambiti extra-letterari, tuttora e, presumibilmente, in futuro. Le tecniche narrative extra-letterarie che attraverso cinema, teatro, fumetto, realtà virtuale da ogni angolo del pianeta si sono confrontate col “poema sacro” per ricavarne ancora suggestioni nell’epoca della globalizzazione fanno tornare alla domanda con cui si è aperto il volume, se cioè Dante può considerarsi ancora attuale. Un abbozzo di risposta che Casadei ci fornisce quasi in chiusura può essere: «la dimensione del poema dantesco, che resiste persino in tempi e in lingue molto lontani dall’origine, è quella squisitamente narrativa: la forza del racconto è percepita al di là degli aspetti allegorici o delle complessità esegetiche, e genera un’accettazione fiduciosa persino degli aspetti in cui realtà e immaginario si fondono indissolubilmente, come avviene nei grandi romanzi moderni» (p. 185).

 

 

 

 

Alberto Casadei

Dante. Storia avventurosa

della Divina commedia

dalla selva oscura

alla realtà aumentata

Il Saggiatore, Milano 2020

  1. 200, euro 18,00