Un nord-est appagato ma scontento

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Un libro di versi del trevigiano Francesco Targhetta

di Gennaro Rega

 

Nel libro di poesie La colpa al capitalismo (La nave di Teseo, 2022) del trevigiano Francesco Targhetta, quarantenne docente al liceo Duca degli Abruzzi della sua città, sarebbe vano cercare delicati orizzonti di colline venete come quelli dipinti dal “divin pitor” Paris Bordon, di cui in questi mesi si tiene a Treviso una grande mostra.

Vite dilavate, fragili, disperate, evocate come anime perse sulla soglia degli Inferi, si muovono in uno scenario urbano dai forti contrasti: «l’aureo abbaglio» di Venezia e delle altre città d’arte venete che le fanno corona e «la sponda cinerea» delle periferie anonime e delle aree industriali dismesse, in attesa di essere riammodernate. Targhetta ora con versi sofferti e coinvolti, ora con tagliente leggerezza delinea l’umanità e i luoghi che il turismo di massa o la sociologia non vede o non vuol vedere. Ecco come li vive un anonimo personaggio nella poesia Amore per l’architettura brutalista: «Si emoziona alle foto di hotel jugoslavi,/ un ufficio postale a Tashkent/ e la sede della radio slovacca-/ entrambi, contro la statica,/ piramidi a gradoni rovesciate./ […] L’autobus nel ricordo passa solo/ tra i palazzi della Gescal quando è sera».

Siamo dunque nel paesaggio mentale, la mindscape, di un appagato, ma scontento Nord-Est. Nella «sotterranea opacità» che pervade questo territorio, Targhetta sollecita voci, altrimenti afone o soffocate, a prendere coraggio, a svelarsi, a tentare di non provare più imbarazzo per quello che sono.

Ad esempio, in Shelf life: «C’è la vita cellulare che perdura/ (per quanto ancora?)/ e la vita da scaffale/ che è finita. /Lo intuisce un sabato di pioggia/ ritornando dopocena dal mare,/ la pelle del colore della merce/ sfiancata dietro una vetrina al sole./ Qual è, si chiede, la fine/ dei cartoni di latte invenduti?/ dei biscotti troppo a lungo esposti/ rimpiazzati da altri più freschi?/ Del vassoio di straccetti di pollo/ scaduti da due settimane?/ Sua madre/ li dava in pasto al cane».

Molti dei personaggi del libro sono come «un fiume in secca che mostra il suo letto/ in un giorno di sole». Rappresentano la morte di una civiltà, l’Occidentale, che per disgusto, per stanchezza di sé, senza seccature, senza pericoli né drammi e con pochissimo spargimento di sangue, come scrive il francese Michel Houellebecq in un suo discusso romanzo, Serotonina, si avvia al collasso.

Sul titolo della raccolta lo stesso Targhetta mi ha dichiarato che ha pensato proprio ad un titolo fuorviante in quanto a genere letterario, ma molto a fuoco in quanto a tema. Sembrerebbe, infatti, a prima vista il titolo di un saggio e non quello di un libro di poesia. Ma dopo averlo riletto, osservando anche attentamente l’emblematica foto in copertina, se ne coglie l’aderenza ai temi centrali della raccolta e anche il suo doppiofondo ironico, forse non percepibile subito. Mi ha poi precisato che, a suo parere, è una tendenza diffusa oggi, direi quasi da “meme”, dare di ogni stortura la colpa all’impianto tardo-capitalistico della società contemporanea. Ma in definitiva non ci si può sentire totalmente esclusi dalla colpa. Anche i personaggi del suo libro sono a loro modo collaborazionisti, come ciascuno di noi.

Mi soffermo sulla complessa e suggestiva struttura del libro. Usando una terminologia musicale, essa alterna parti di “concertato”: La colpa al capitalismo, Vita associata ad alcuni “assolo”: La morte seconda, Tiziano tra le bandiere. Questa disposizione si ripete con il gruppo di poesie intitolato: Individualismo occidentale applicato, che poi lascia spazio a: Nora dei fantasmi, altro lungo poemetto. Infine troviamo: Ad altezza d’uomo, a cui segue l’ampio canto evocativo per un “vinto” di questa contemporanea società, intitolato Per Zero. Il poeta inserisce inoltre un intermezzo visionario e dolente dedicato ad una città a cui è sempre stato legato professionalmente e affettivamente: Marghera. Infatti già nel suo romanzo Le vite potenziali (finalista al Campiello del 2018) aveva scelto di ambientare nel Vega, il Parco scientifico e tecnologico, fulcro del progetto di rilancio urbanistico di Marghera, tra «edifici in vetro e loft riattati,/ banche, start-up e studi di architetti», una parte delle vicende in cui si trovano coinvolti tre amici (Alberto, Luciano e Giorgio) che vi lavorano. Nel romanzo i personaggi, a volte assorti a volte indifferenti, si aggirano fra «il retaggio di ferro e argon» che soffoca ancora i nuovi quartieri, le rampanti start-up, le futuribili aziende della città che sale .

La raccolta si conclude con una sorta di congedo: Nothing left to do list. Suggestivamente l’ultimo testo si intitola: Sparire, di cui riporto l’intensa strofa finale. «C’è dunque, a quanto pare, un momento/ in cui persino sparire finisce:/ è un istante, a viversi, impossibile/ ma che vibrante si può immaginare/ come l’acqua dietro alle navi/ che ritorna ad essere mare».

Nonostante possa sembrare che i testi di Targhetta siano connessi ad uno scenario antropico in rovina, non vi si trovano dichiarazioni nichiliste contro il mondo, contro la vita, per citare ancora una suggestione da Houellebecq. In questa veneta The Waste Land si alimenta ancora la speranza di un passaggio a un’altra dimensione. Infatti non è aliena alla poesia di Targhetta la prospettiva tesa a reinventare questo mondo, che comunque ci appartiene, che osserviamo da consumatori-lettori arrancare tra ruderi e catastrofi ambientali, che è popolato da nostri simili deteriorati ma che in ogni caso meritano di essere abbracciati dalla “social catena”. Come mossi da una misericordiosa utopia tanto quanto da una misericordiosa relazione fra il poeta e i propri personaggi, in alcuni punti i suoi versi tendono perfino a prospettare un altro mondo.

«Solo qui [a Marghera], si sente,/ può succedere qualcosa che smentisca/ la violenza del tutto, e che non sia frattura,/ ferita ulteriore, anche se è questo,/ in fondo, il modo/ in cui si passa ad altri la vita». E nel finale: «il nome/ Marghera è da maceria che deriva,/ ed è, per ricostruire,/ tutto quello che serve».

Traggo dalla recensione al libro di Gilda Policastro, critica e acuta conoscitrice delle più recenti tendenze della poesia contemporanea, una significativa analogia fra Targhetta e la migliore tradizione del romanzo in versi italiano.

«Francesco Targhetta è un Pagliarani con la sordina […] Ma proprio come Pagliarani nel suo poemetto più celebre, La ragazza Carla (’62), sin dai suoi esordi si incarica di ricostruire un’antiepica della working class».

A confermarlo si potrebbero leggere le quattro storie, quelle che ho definito “assolo” e i cui titoli ho già riportato in precedenza, lunghe alcune circa 180 altre circa 300 versi.

Ne La morte seconda è un “tu”, padre quarantenne, che trascorre un lungo pomeriggio convocato dalle maestre della figlia per una riunione di genitori sulla programmazione. I toni sono a volte farseschi, frutto della diretta conoscenza di un certo ambiente scolastico da parte dello scrittore. Ma nel finale il ritorno a casa assume per il personaggio sfumature perturbanti. La morte si può edulcorare ed esorcizzare, oppure è uno stato di necessità con cui dobbiamo saper convivere?

In Tiziano tra le bandiere il protagonista è appagato solamente quando «tropicalizza terrazzi, cortili e balconate». Ma  il movimento delle foglie, l’«animazione delle piante» non gli bastano per riuscire a rendere meno arido il suo cuore. Tiziano sa creare il rigoglio intorno a sé, ma non riesce a  coltivare i suoi sentimenti. Infatti la sopravvivenza mnestica di un rapporto, troncato all’improvviso, con Alessia, la sua compagna, lo spingerebbe a godere della libertà da single («La solitudine non gli fa paura,/ in realtà. Si ritiene figlio del suo tempo,/ e il suo tempo invita a viverla/ come conquista la libertà». Ma questo atteggiamento lo porta anche ad abituarsi a circoscrivere esclusivamente alle “sue” piante le fonti della affettività. Perciò quando scorge affacciata ad un balcone la sua vicina di casa e in silenzio se ne innamora, è incapace di allacciare con lei una vera conoscenza che lo porti a dichiararsi. Assisterà anzi impotente al trasloco della donna.

Nora dei fantasmi racconta la pudica resistenza della giovane con questo nome all’abbandono e a una esistenza senza amore. Non c’è personaggio più di questo a cui Targhetta con sguardo comprensivo rivolga la sua humanitas e ne dettagli la condizione di grigia solitudine impostale dal fatum. Tutto ciò, aggiunge, dimostra che: «è caos,/stare al mondo, a ogni passo,/ e che fare ogni cosa per bene/ solo garantisce il possesso/ di una coscienza che non vuole sporcarsi».

Per Zero, infine, è una ballata triste dedicata a un uomo fragile e trasognato. Penso sarebbe piaciuta a Enzo Ianacci e a Beth Gibbons, la cui musica l’autore trevigiano ama molto. Una vita quella di Zero che «non è servita a niente», un vuoto a perdere nella discarica della società di massa.

In conclusione la poesia di Francesco Targhetta ci sollecita ad una prassi impegnativa. Fedeltà, sentimenti, vincoli umani è necessario che continuino a “stabilizzare” la nostra vita. C’è infatti un aspetto complementare del capitalismo, forse ancor più alienante: l’imperialismo comunicazionale. Come noi tutti, molte delle figure presenti nel libro rischiano con apatia di essere inghiottite da una Realtà di non cose, filtrata solamente attraverso uno schermo digitale, di smettere di vivere nella concretezza del mondo, di essere condizionate da una perenne autoreferenzialità a cui induce l’uso smodato del medium. Sarebbe davvero «una eventualità tragica», con la prospettiva che «l’Altro scompaia», che perda il proprio peso specifico, come osserva il sociologo Byung-Chul Han, nel suo ultimo saggio, Le non cose, pubblicato in italiano da Einaudi (2022). Leggere Francesco Targhetta può risultare un efficace contravveleno a questa preoccupante eventualità.

 

 

 

Francesco Targhetta

La colpa al capitalismo

La nave di Teseo, 2022

  1. 160, euro 18,00