Analfabeti delle emozioni

| | |

Riflessioni e narrazioni messe in scena da Stefano Massini

di Adriana Medeot

 

Ragionare sulle emozioni, un ossimoro che, in questo periodo, durante il quale l’emergenza epidemiologica ci ha, prima costretti a casa per mesi, poi messi di fronte a scelte quasi obbligate – vaccino sì, vaccino no – non sembra soltanto opportuno, ma necessario. Ci siamo confrontati con la paura, con la solitudine, l’invidia, la rabbia, con la gioia per i momenti effimeri di liberazione dal confino dentro le mura domestiche. Insomma abbiamo dovuto fare i conti con quella parte di noi che talvolta ci sfugge, quando siamo indotti a fermarci e guardare dentro noi stessi, dentro il recinto del nostro nome. Anche il significato delle parole è mutato: “positivo” ha assunto una connotazione contraria, “mascherina” non ha più nulla a che fare con la licenziosità del Carnevale, “libertà” è un termine sempre più abusato.

Abbiamo vissuto scenari da film di fantascienza distopica: strade deserte nelle città, medici e infermieri bardati come Dustin Hoffman in Virus letale, la natura che si riappropriava dello spazio urbano ridimensionando l’egemonia antropica. Ebbene tutto questo ha cambiato qualcosa? Abbiamo la percezione che qualcosa sia cambiato dentro di noi?

Stefano Massini, uno dei drammaturghi italiani più in vista sulla scena internazionale, definito da Repubblica «il più popolare racconta storie del momento», parte proprio dalle emozioni per riprendere quel dialogo che il teatro è stato costretto a interrompere con il suo pubblico e per interrogarsi, per indagare sui mutamenti che questo periodo di ottundimento hanno inevitabilmente causato. Lo fa in prima persona, da un palcoscenico, ponendo l’accento sul bisogno di incontrarsi fisicamente, non virtualmente, sull’esigenza sempre più pressante di condivisione sociale, sulla necessità ineludibile di affermare la propria identità nell’unico modo possibile per l’essere umano, ovvero nella relazione con l’altro, con gli altri. Sceglie così di essere non solo autore, ma anche attore nello spettacolo Alfabeto delle emozioni, che ha aperto il 1° ottobre la stagione 2021-2022 del Teatro La Contrada.

Propone un testo aperto, che cambia di serata in serata, attraverso un escamotage: da un baule  che contiene le lettere dell’alfabeto estrae a caso l’iniziale di una parola e così costruisce uno spettacolo ogni volta unico, come unica è sempre la performance in teatro, luogo dove le emozioni si rinnovano di serata in serata, poiché mai uno spettacolo è uguale a se stesso, in quanto cambiano gli spettatori e le condizioni d’animo degli interpreti, pertanto esiste solo in quel momento e in quel luogo, solo con quel pubblico.

C come Coraggio, S come Stupore, V come Vergogna, R come Rabbia, I come Invidia: le emozioni sono la risposta affettiva a uno stimolo dell’ambiente o del ricordo, ma nella società contemporanea, in cui si possono liquidare con la faccina di un emoticon, Massini ci segnala l’urgenza di una riflessione su come risuonino dentro di noi, giacché se anticamente l’immaginario su cui, passando attraverso le emozioni, si costruivano i sentimenti era il mito, e in tempi più recenti la letteratura oggi a costruire il loro significato è la narrazione cine-televisiva. Così il coraggio viene confuso con l’adrenalina di Indiana Jones, la felicità con la spensieratezza, la sincerità con la spudoratezza, come accade nelle trasmissioni TV che rincorrono facile audience, manipolando il vissuto di chi è disposto a esibire il proprio dolore, a denudarsi. E Massini lo fa, com’è solito fare, attraverso il racconto di storie vere, esemplari, paradigmatiche, come quella di Matthias Sindelar, calciatore moravo di origine ebraica, che non accettò le regole imposte dalla Germania alla nazionale austriaca durante una partita e osò, ebbe il Coraggio, quello vero – e gli costò la vita – di sfidare Hitler; o quella di un irrequieto bimbo di colore, che viveva in un orfanotrofio di New Orleans, e a dieci anni si trovò con una tromba ficcata in bocca da un’inserviente per farlo stare zitto: uno dei tanti regali di qualche famiglia abbiente per mettersi a posto la coscienza. S come Stupore: Louis Amstrong ricorda le lacrime che scesero sul suo volto quando si rese conto che sapeva istintivamente su quali tasti mettere le dita, come soffiare. Stupore: l’avvertimento di qualcosa di non noto di sé, spiazzante, forse terrorizzante. O ancora con la testimonianza di una maestra cinquantaduenne che, davanti ai giudici del famoso processo di Salem per stregoneria (1693) si rifiuta di scusarsi per aver potuto per una volta vivere appieno: ridere, amare, piangere, esprimere i propri sentimenti senza proibizioni. F come Frustrazione.

Conobbi il lavoro di Stefano Massini – ma ero in colpevole ritardo rispetto alla sua già avviata carriera – grazie allo spettacolo Donna non rieducabile, interprete Ottavia Piccolo, che intervistai nel 2017 (v. Il Ponte rosso n. 24, aprile 2017). Si trattava dell’adattamento drammaturgico di brani autobiografici e articoli di Anna Politkovskaja, la giornalista che coraggiosamente denunciò le brutalità commesse in Cecenia dal regime di Putin, uccisa nel 2006 da quattro colpi di arma da fuoco nell’androne della sua abitazione.

Fu una folgorazione: il testo era bellissimo.

Così iniziò la mia passione per Massini, che – stando ad Ottavia Piccolo – ragiona sui testi da scrivere andando in bicicletta e registra le sue considerazioni e dissertazioni sul cellulare per poi lavorarci sopra, con passione civile, con l’intento di smuovere le coscienze. Odio gli indifferenti è un suo intervento a Piazza pulita, in cui, citando Gramsci, analizza la situazione politica attuale.

Lessi tutto d’un fiato Qualcosa sui Lehman, romanzo/ballata satirico su ascesa e caduta di una dinastia familiare che, a partire dal 1850, costruì un impero finanziario che tracollerà nel 2008. Il contenuto della narrazione mi sembrò paradigmatico del passaggio dal capitalismo economico a quello finanziario, la forma spiazzante, non iscrivibile a un unico genere, sorprendentemente innovativa. Nel libro, saggio e romanzo coesistono, a ogni capitolo lo stile cambia, la saga si confonde con il trattato, il tutto con incursioni nel cinema, nell’epica, nel teatro e nella matematica.

Massini, fiorentino, nato nel 1975, dal 2001 è stato assistente di Luca Ronconi al Piccolo Teatro di Milano; la Lehman Trilogy, testo teatrale, è stata tradotta in quindici lingue e rappresentata in tutto il mondo. Dalla morte di Ronconi nel 2015,al 2020 è stato consulente artistico del Piccolo di Milano. Il suo testo 7 minuti (Consiglio di fabbrica) è stato  messo in scena da Alessandro Gassman, poi Michele Placido ne ha tratto un film nel 2016.

Assurto recentemente al consenso popolare grazie ai suoi interventi in Piazza Pulita e alla rubrica Parole in corso su Repubblica, Stefano Massini ha trovato la strada per comunicare a un pubblico più vasto. Racconta storie vere e sa drammatizzarle per renderle emblematiche e per toccare il cuore e la mente di chi ascolta.

Questo suo intento si è realizzato appieno nello spettacolo andato in scena al Bobbio: ha saputo commuoverci, farci ridere e farci riflettere, mettendo in scena un meccanismo teatrale pirandelliano, per cui si è resa necessaria la presa di coscienza che in noi albergano tutti quei personaggi che ci sono stati raccontati; siamo stati condotti a prendere o riprendere contatto con le nostre emozioni, assopite, anestetizzate, in un’epoca in cui la globalizzazione e la logica spietata di mercato ci allontana dal nostro ambiente di relazione – la famiglia, il condominio, il quartiere – nel quale ancora sarebbe possibile percepirle e difenderne la vulnerabilità, mentre attraverso il bombardamento delle notizie drammatiche che assorbiamo dai mass media e i diktat imposti da un’economia capitalistica sempre più trionfante, ci troviamo scaraventati in un mondo in cui è difficile provare dolore o piacere, riannodare i fili spezzati del nostro sentire.