Trieste e il Carso metafore di vita

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La poetica di Aleksij Pregarc nell’antologia per gli ottant’anni

di Marina Silvestri

 

«La poesia di Aleksij Pregarc è a volte surrealista, a volte satirica, a volte sarcastica, egli affronta il problema del paradosso dell’esistenza» – scrisse nel 1987 l’autorevole critico Bogdan Pogačnik sulla rivista letteraria Slovenija edita a Lubiana in inglese. «Pregarc parla d’amore e di pazzia, dei sofferti assilli della coscienza; di Dio, di natura, di morte, i temi della poesia in ogni tempo e in ogni luogo; scrive emozionalmente coinvolto, ma senza sentimentalismo. La forza della sua poesia è il sapersi esprimere facendo uso di immagini nuove e straordinariamente significanti: illuminazioni come in Rimbaud o epifanie come in Joyce.»

Lo incontro in un caffè di Trieste per l’uscita del libro antologico Trieste e le sue fronde pubblicato in occasione del suo ottantesimo compleanno. Nativo di Ricmanje/San Giuseppe della Chiusa in comune di Dolina/San Dorligo della Valle nel 1936 Aleksij Pregarc è poeta, attore di teatro e di cinema, drammaturgo, critico teatrale, traduttore e regista; una lunga carriera sui palcoscenici dei teatri di Trieste e Lubiana, e negli studi radiofonici della Rai di Trieste, della Radio Televizija Ljubljana e di Radio Capodistria.

Tutto è iniziato dal teatro mi racconta: «Mio padre lavorava al Politeama Rossetti, mia zia di Kranj era attrice radiofonica, un nostro lontano parente è il notissimo regista Rade Pregarc che si era formato in Russia.» La sua prima silloge è uscita nel 1974, Poesie-Pesmi, in versione bilingue, introdotta da Gianni Anglisani ed edita dal Circolo culturale G. Salvemini di Gorizia. «Componevo di sera, anzi di notte, terminato lo spettacolo, a volte mi mettevo a scrivere di getto, senza ancora essermi tolto il trucco», ricorda, rispondendo ad una mia osservazione sulla forza evocativa dei suoi versi, dietro ai quali si percepisce, quando è lui a leggere il testo, il ‘lavoro’ sul significato delle parole che la voce scolpisce e la musicalità del verso derivante da una passione per il bel canto – nato con il timbro profondo del baritono naturale – a cui dovette rinunciare a causa della salute. Pregarc, dopo avere studiato recitazione e dizione al Teatro Sloveno di Trieste, all’inizio degli anni Sessanta lavorò al teatro sperimentale di Lubliana; poi venne invitato a Trieste da Fulvio Tomizza, Demetrio Volcic e Guido Botteri, che lo vollero allo Stabile, dove negli anni successivi lavorò anche con Francesco Macedonio per la messa in scena di L’Austria era un Paese ordinato di Carpinteri e Faraguna, in cui ricoprì diversi ruoli, dall’ufficiale al marinaio bosniaco. Una pagina bella della carriera, che ricorda con emozione. Tradusse poi in sloveno per la radio testi di teatro come A casa tra un poco di Damiani e Grisancich che era stata la commedia inaugurale del Teatro La Contrada; successivamente il Teatro sloveno di Trieste nel 1992 rappresentò la sua commedia Gabbiani neri/Crni galebi, per la regia di Jože Babic.

Nel corso degli anni ha pubblicato articoli di critica teatrale e di cultura per diverse riviste slovene di Idria e Maribor, per il Primorske Novice, Primorski Dnevnik e Novi List, chiamato a collaborare da Dragomir Legjisa, ed è stato consulente e traduttore dall’italiano per la casa editrice Mladinska Knjiga di Lubiana; tra le opere in catalogo da lui curate, Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati.

Poeta di confine, poeta civile, che parte dall’esperienza individuale, della condizione umana vissuta come carcere e dalla memoria che si fa collettiva e generazionale con uno sguardo penetrante che coglie del particolare di episodi anche banali l’universalità della condizione umana; profondamente legato al terra d’origine da cui trae forza per dare valore morale al suo pensiero. È stato tradotto in dodici lingue.

Pregarc ha pubblicato tredici libri di poesia; tra questi Moja pot do tebe, 1982, Jedra/Nuclei, 1987, tradotto in sei lingue, serbo-croato, italiano, tedesco, ungherese, inglese e francese, Samohodec/Il viandante solitario,1992, Moj veliki mali svet/Il mio piccolo grande mondo, 1999 con l’introduzione di Manlio Cecovini; Zemlja-zemljica del 2001,con l’introduzione di Milan Rakovac, Solitudini, 2003 a cui vanno ad aggiungersi due libri con le illustrazioni di Edi Žerial, Zlahtnost/Preziosità, nel 2006 in occasione del settantesimo compleanno contenente cinque acqueforti colorate e Zavratna usoda/Subdola sorte, 2009 (per la prestigiosa collana ‘Il Timavo’, Hammerle Editori); ha curato nel 2004 (con Marina Moretti e Gerard Parks) la miscellanea Trieste European poetry, e inciso due dischi il primo Enakonočja/Equinozi sempre con la poetessa italiana Marina Moretti e le voci di Ornella Serafini e Irene Pelihan, prodotto dall’Associazione culturale ‘Iniziativa europea’ con le musiche di Alfredo Lacosegliaz, mentre nel secondo Poeti del Friuli Venezia Giulia e sempre con le musiche di Lacosegliaz, eseguite dall’Orchestra di Poesia del Friuli Venezia Giulia, ha dato voce alla poesia di Srečko Kosovel. Numerose sue poesie sono state messe in musica dal Kraška ohcet ed altre formazioni e presentate ai festival.

Molti i riconoscimenti e i premi ricevuti, specialmente nell’ambito multiculturale: tra questi: Vstajenje (2006), Europa 2000 (1982,1984) American Biographic Institute (2000), Leon d’oro (1987), Scritture di Frontiera (1999, 2001, e 2002 ex aequo con Gerard Parks). Presente come voce del mondo sloveno in diversi incontri internazionali, come in Turchia ad un simposio sulla poesia mediterranea, all’Istituto italiano di Cultura di Parigi nel 1993 con Celso Macor per parlare della poesia del Friuli Venezia Giulia, della lingua friulana e ricordare Biagio Marin; ed ancora portavoce della poetica triestina con Park nel 1995 per una rivista praghese; tre volte invitato agli incontri di poesia fra regioni di Marina di Carrara, nonché agli incontri ‘Poeti dell’Euroregione’; nel 1999 a Macao in Cina scelto quale unico rappresentante del mondo slavo dall’Organizzazione mondiale dei poeti assieme ad una trentina di poeti di fama mondiale.

Le poesie di Aleksij Pregarc sono state pubblicate su alcune note riviste, come NE-Europa (Quarterly Review, Arts – Letters- Science, stampata in Lussemburgo) il cui direttore Mimmo Morina ebbe a scrivergli: «Il tuo itinerario è sublime e doloroso allo stesso tempo; è il destino di tutti gli uomini che vivono il quotidiano con angoscia. La coscienza del poeta riscatta, dal più profondo del suo istinto il diritto di sentirsi libero anche se imprigionato dal sistema. Capisco molto bene il tuo stato d’animo per gli attuali avvenimenti che stanno profondamente cambiando la faccia di quella parte del mondo che non osava manifestare la propria natura. Unica boa di salvataggio è l’Europa degli europei con le infinite sfaccettature dei cristalli che la compongono.» Mai politicamente schierato, sempre e unicamente volto e guardare all’uomo vittima della storia, stritolato dagli ingranaggi della società e del potere; soggetto al fatalismo e perennemente ribelle per elevarsi e così nobilitare il ruolo che il destino gli ha assegnato.

La critica ha speso parole di elogio per l’universalità dei temi trattati pur partendo dalla semplicità della vita, trasfigurati in affreschi di sapore epico e profetico. Basti citare la bellissima Invito/Vabilo: Ah/non calpestate/con gli stivali/l’erba rigogliosa/della mia oasi/indossate/ pantofole di velluto/venite/con un carico di datteri/e con l’uccello della vita/ riposate/Dissetáti/ e paghi proseguite/con la speranza/non è ancora il tempo del diluvio.

Josip Tavčar, già direttore del Teatro Sloveno di Trieste a proposito di Profumo di calcare ebbe a scrivere: «La poesia di Pregarc è astratta e fa parte delle più valide correnti poetiche moderne sia nazionali che europee e serba gelosa sia per le proprie origini mediterranee; ha raccolto gli aspetti positivi dell’ermetismo»; Roberto Damiani, disse che rappresentava «il disorientamento esistenziale con accenti sensualistici e addirittura panici in un verseggiare nervoso, frammentario, franto, probabilmente ispirato alla lezione di Kosovel»; mentre Parks rilevò una « poesia enigmatica e capace di suscitare una luce misteriosa e simbolica per illuminare brevemente il mondo»; per Claudio Martelli, Pregarc si portava dietro « l’anima slava memore di infiniti soprusi, di antiche sconfitte e di nuove delusioni gli fa trarre la conclusione che gli restituisce dignità e identità». Sergio Brossi recensendo Nuclei, sottolineò delle poesie il loro muoversi «sull’eco della nostalgia della Mitteleuropa» e inoltre « la concretezza, vitalità e la felicità inventiva dei versi: il loro profumo lievitato fa giustizia sommaria delle tentazioni ideologiche giocando a rimpiattino con qualche briciolo di dolce follia. Parole e ritmi sono calibrati dal suo mestiere di attore.» Mentre Carlo Milic, introducendo Il Viandante solitario lo considerò un inquieto apostata solitario. «Non esiste per il cercatore di esperienze la convinzione di poter concludere il proprio itinerario – scrive – Si tratta di un modello di comportamento caro ai cultori delle memorie che alla loro radice conservano il segno di incalcolabili catastrofi storiche o di sconvolgenti germinazioni costitutive: a dir poco, i panni del Wanderer senza pace s’addicono al costume dell’uomo di cultura mitteleuropeo. Così l’artista si fa viandante, pellegrino che non reca addosso il saio del penitente cavaliere romantico alla ricerca della salvazione, ma l’odore del maudit che ricusa ogni legittimità e via via s’allontana immergendosi, come nella lontananza, nel futuro. Aleksij Pregarc è poeta sloveno della tempra oscura ed impietosa che ha forgiato Srečko Kosovel: conosce quindi le distanze che lo separano alla città, non beninteso quelle metriche tra Carso e Borgo Teresiano, tra Servola e Borgo Giuseppino, tra S. Giovanni e Borgo Franceschino, fra lo spirito del suo popolo e quel cuore urbano cupido e insolente, che pulsa per rendere indifferenti e omogenee esperienze diverse e farle divenire egualmente e soltanto triestine.»

L’antologia Trieste e le sue fronde, ora nelle librerie, è una volta ancora su un testo bilingue in cui rinnova la collaborazione con le traduttrici Jolka Milič e Daria Betocchi. Il Carso terra di malinconia (Kraška Melanholija) e Chiusa la località dove è nato, la Valle Rosandra e il Breg, l’altopiano più in generale, sono nuovamente contraltare alla città di cui coglie aspetti di solitudine e di malia. Un Carso sconosciuto, percorso da popolazioni pacifiche e in guerra, testimone di eventi che segnano svolte epocali, come del resto tutti i luoghi di confine dove le strade confluiscono. Chiusa Superiore/Gornji Ključ è – scrive l’autore – «un puntino sulla tavoletta», ma vi è passata la storia. La strada che porta a sud-est/è una freccia sul confine a semicerchio dell’Istria e del Carso/ con una biforcazione verso i Balcani/ che da tempi remoti fa rabbrividire i pavidi e i temerari/ soprattutto i facoltosi:/ i più poveri sono rimasti sul ciglio del Carso/ le sue labbra sono invece preda dei ricchi/ da qui proviene la cautela la licantropia e il disprezzo/ creature smidollate e arroganti diavolerie/ l’eco di spade incrociate e lo scalpore di zoccoli si sono spenti/ Trieste per gli Ottomani non era che un’insignificante fortezza/un’orfanella inutile e impossibile da difendere/ la serpentina stradale parallela/alla strada di Cattinara/ prestò il dorso alle schermaglie tra ussari e ussari/ difensori dell’Austria e della Francia:/ Chiusa Superiore trasecolò dallo spavento/ sconvolta fino alle viscere/quando fu invasa da una nube/di polvere da sparo dei barili esplosi/ allora trepidò per la propria sorte/ e più tardi ancora un paio di volte/ il turbolento estetista patì da qui fulmineo per Fiume/ e i partigiani piazzarono gli obici e i cannoni/ per far saltare in aria Punta Sottile e conquistare Trieste/ giurando e spergiurando che tutto sarà “nostro” in eterno/ come può essere la terra proprietà di qualcuno?/ di generazione in generazione si concede ai proprietari/ e i suoi frutti sono multiformi/ differenti per utilità e molteplici fruitori…

Quest’ultima raccolta antologica si presenta come un compendio dell’intera esperienza poetica: una scelta che è un invito a leggere ciascuna raccolta contestualizzando lo sviluppo del percorso poetico e la maturazione degli argomenti. «Ci sono mille modi di essere poeta» – scrisse Anglisani nel 1974, «ma Aleksij Pregarc lo è nell’unico modo che rende possibile d’essere «gente», «popolo» e nel contempo, di conservare intatta la propria individualità.»

 

 

 

Trieste e le sue fronde

Trst in njegove krošnje

Mladika, Trieste 2016

  1. 150, euro 17.00