Appunti da una società divisa

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La cronaca italiana di questi giorni sembra – ed in effetti è – modellata su un sistema elettorale maggioritario, nonostante che in molti si affannino a blaterare di una destra e una sinistra che non esisterebbero più, residui fantasmatici di una visione del mondo non più corrispondente alla realtà contemporanea. Tuttavia si percepisce palpabilmente nel succedersi dei fatti sociali una frattura verticale della comunità nella quale viviamo, su ogni argomento divisa in due fronti opposti, ciascuno impermeabile alle idee dell’altro. Questa visione così manichea della società italiana sarà magari un’impressione, dettata dalle recenti elezioni amministrative, nelle quali proprio la struttura della legge elettorale ha visto una suddivisione drastica dell’elettorato, che deve ovviamente assegnare la vittoria a uno solo dei contendenti, finendo quindi per disegnare una semplificazione grossolana del corpo elettorale, che non corrisponde affatto alla sua articolazione, tanto più in presenza di un vistoso astensionismo.

Le modalità con cui si manifesta questa rappresentazione schematica duale di una società complessa come la nostra, inoltre, contribuiscono a marcare ulteriormente una netta contrapposizione in bianco e nero delle forze in campo, che finiscono invece per essere il risultato di sintesi che annulla tutte le sfumature, costringendo il giudizio di chi osserva a un continuo ballottaggio tra posizioni differenti e antagoniste. Si pensi ad esempio alle reazioni dei senatori al voto a scrutinio segreto con cui si è allontanata nel tempo la votazione sul disegno di legge Zan, all’applauso fragoroso e al tifo degno di una curva di stadio esagitata da parte dei cosiddetti “vincitori” di quel discutibile percorso parlamentare. Oppure, altro esempio ancor più disgustoso, ai manifestanti contro le disposizioni sul lasciapassare verde che sfilavano a Novara reggendo un filo spinato e indossando improvvisate casacche zebrate che richiamano le uniformi dei deportati nei Lager nazisti, quasi che Mario Draghi sia paragonabile ad Adolf Hitler o Roberto Speranza a Hermann Göring. O ancora alla criminale devastazione della sede romana della CGIL ad opera della teppaglia neofascista che irrobustiva la manifestazione di dissenso – magari in sé legittimo – contro le disposizioni di legge per contrastare il diffondersi del virus.

A Trieste, assurta al ruolo che non le competerebbe di capitale italiana delle contestazioni grazie alle massicce dimostrazioni no-vax e no green-pass, peraltro contrastate dalle decine di migliaia di adesioni a un appello di senso contrario, si assiste una volta di più alla rappresentazione di una società irrimediabilmente divisa.

In un clima di questo genere risultano evidenti le radici culturali delle contrapposizioni tra una minoranza che rifiuta l’apporto di una visione scientifica, attribuendosi un ruolo di difesa dei valori costituzionali e una maggioritaria frazione della società che difende i valori di solidarietà e di salvaguardia della salute come principio ispiratore delle regole dettate dall’emergenza. Una volta di più, è riconducibile a un divario di cultura, di conoscenze e di capacità critica tra le formazioni che si confrontano anche su questi argomenti.

Sarà difficile uscirne, o forse impossibile, senza riconoscere che un sistema di informazione che nei dibattiti televisivi e negli interventi sui social – per definizione aperti a tutti, dai Nobel agli imbecilli, dagli statisti ai politicanti – si propongono senza mediazioni di sorta a chiunque si rivolga in via esclusiva a tali fonti per formarsi un’idea, tralasciando di informarsi in maniera più esauriente, cosa che ovviamente implica un maggiore impegno e discernimento critico.

Andando avanti di questo passo, manifesteremo tutti, da una parte e dall’altra, al grido di «Libertà, libertà!», senza comprendere che stiamo parlando di due cose radicalmente diverse, attribuendo ad esse il medesimo nome.