Arianna per filo e per segno

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Era nato a Trieste Mario Tempesti, un illustratore tutto da riscoprire

di Roberto Curci

Pare sia andata così, o almeno così la raccontano. Un certo giorno del 1932 un distinto signore accompagnato dal figlioletto quattordicenne, con i pantaloni alla zuava allora in voga, chiede e ottiene udienza dal direttore del Corriere dei Piccoli, Franco Bianchi. Gli sottopone una cartella di schizzi e chiede se sia possibile avviare una collaborazione. Bianchi guarda, apprezza, ma nicchia: «Sì, non male, se ne può parlare. Però qui e però là, qualche suggerimento, qualche consiglio…». A quel punto il ragazzino s’impermalosisce e sbotta: «Ma guardi che quei disegni non sono mica di mio padre, sono miei!».

Pare sia andata così. Fatto sta che quel marmocchio dalla mano agile cominciò davvero a collaborare al mitico Corrierino, dove regnava fior di talenti dell’illustrazione: Mussino, Bisi, Angoletta, Terzi, Sergio Tofano alias Sto… Si chiamava Mario Tempesti il ragazzo, ed era nato a Trieste nel 1918. Sì, un altro dei tanti ottimi illustratori triestini o giuliani, noti e meno noti (e a Tempesti solo un recentissimo libro ha reso giustizia), votati all’arte del manifesto, dell’illustrazione editoriale, del fumetto, in una parola alla grafica ad alto livello.

Alle “strisce” si sarebbe inizialmente dedicato il giovanissimo Tempesti: collaborando appunto al Corrierino ma realizzando le storie più stuzzicanti per un altro editore a sua volta mitico, il Nerbini di Firenze, primo importatore in Italia (tra accanite diatribe legali) del Micky Mouse disneyano. Ma il cavallo vincente di Nerbini fu il settimanale L’Avventuroso, risposta autarchica nel campo del fumetto allo strapotere del “made in Usa”: Gordon, X-9, L’Uomo Mascherato, Mandrake…

E fu appunto sulle pagine dell’Avventuroso che, col suo tratto veloce e sbrigativo, talora un tantino rozzo ma sempre molto efficace, Tempesti produsse le proprie storie migliori, nell’arco degli anni Trenta e anche un po’ oltre: racconti per definizione avventurosi, talora ambientati in quella che il regime considerava la nuova terra promessa (Il fortino assediato si svolge nell’Etiopia sanguinosamente italianizzata; Due casi nel deserto s’immergerà già nelle vicende belliche, coinvolgendo drammaticamente due ragazzini, Dino e Sandro, chiaramente esemplati sulla più famosa e collaudata coppia di Cino e Franco).

Tutto cambia, ovviamente, dopo il conflitto. Tempesti passa alla corte di Mondadori e col prestigioso marchio continuerà a collaborare fino alla morte, nel 1988. Per una dozzina d’anni realizzerà le copertine di un gran numero dei Libri del Pavone, una delle collane storiche mondadoriane, e molte altre copertine sfornerà per i fortunatissimi Oscar. Lavora, poi, per varie testate di settimanali, soprattutto femminili.

Scippiamo qualche frase a uno studioso dell’illustrazione, Piero Zanotto, della cui amplissima cultura visiva si avverte oggi una gran mancanza. Scriveva Zanotto in morte di Tempesti: «Negli anni Cinquanta e Sessanta crea una dopo l’altra le espressioni femminili delle copertine di Arianna. Tempere dolci, espressioni sublimate, sull’onda d’una moda inaugurata dal primo Grand Hotel (vedi Bertoletti, Molino e altri). E anche a questo settimanale fornirà la propria opera, così come a Successo e a varie altre testate».

Mario Tempesti s’inserisce dunque nella pattuglia dei migliori “copertinisti” attivi in Italia nel dopoguerra e negli anni che preludono al boom dei Favolosi Sessanta: un boom che riguarda anche la carta stampata, con una fioritura di periodici destinati a un pubblico di donne ansiose di uscire dal recinto domestico. Ad Arianna inizia a dedicarsi dall’anno di nascita della rivista, il 1957, e vi trova un collega-rivale stilisticamente a lui affine in misura addirittura sconcertante, il romano Rinaldo Geleng: tanto che molte copertine del settimanale sono attribuibili all’uno o all’altro soltanto in virtù della firma talora apposta in calce.

Geleng esce dalla scuola del manifesto cinematografico: grande amico di Fellini (agli esordi vignettista egli stesso), saranno suoi i cartelloni promozionali di Roma, Casanova, La città delle donne, E la nave va, Ginger e Fred. Ne guadagnerà in notorietà e reputazione, mentre Tempesti, tutto sommato, non riuscirà a uscire dalla penombra di un onesto praticantato di illustratore eclettico e di sicuro mestiere. Ne ha riscattato da poco la figura e l’opera, come già accennato, un corposo volume monografico edito dalla Fondazione Rosellini per la letteratura popolare, benemerita istituzione (troppo poco nota anch’essa) di Senigallia: Le penne del Pavone. Mario Tempesti e i Libri del Pavone (1953-1965), con testi di Gianni Brunoro, Giuseppe Festino e Anna Pia Giansanti.

L’ex ragazzo triestino con i pantaloni alla Tintin merita dunque di riguadagnare qualche posizione nella classifica degli illustratori che, nella seconda metà del Novecento, riuscirono a insinuarsi nell’immaginario popolare grazie alla quasi automatica identificazione tra una certa testata e una seriale copertina realizzata “su misura”: Walter Molino e Giulio Bertoletti per Grand Hotel; Geleng e Tempesti per Arianna, i Libri del Pavone e gli Oscar; Carlo Jacono per i Gialli Mondadori; Karel Thole per Urania; Ferenc Pinter per gli Omnibus e varie altre collane mondadoriane.

P. S. Per spirito di campanile va ricordato che la scoperta e il reclutamento dell’olandese Thole e dell’italiano Pinter (era nato ad Alassio da padre ungherese) furono uno dei molti meriti di una designer e art director editoriale dall’infallibile fiuto, alla quale si dovette a lungo l’immagine globale delle collane di Mondadori, prima, e del Saggiatore, poi. Si chiamava Anita Klinz (1923-2013) e, guarda un po’, era nata pure lei dalle nostre parti: ad Abbazia…

Mario Tempesti

Copertina di Arianna

Anno III, giugno 1959

Mario Tempesti

Copertina de La nausea

Oscar Mondadori, anni ‘60

Mario Tempesti

Copertina del romanzo giallo Il falco

Nerbini Editore, 1940