Artisti a Cividale

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Al Mittelfest l’empatia dell’arte contemporanea

di Enzo Santese

 

L’edizione 2020 di Mittelfest – festival di musica, teatro, danza di riferimento per l’area Centro-europea e balcanica – è intitolato quest’anno al tema dell’“Empatia”. L’arte visiva è entrata nel clima della kermesse con una rassegna, in svolgimento fino alla metà di ottobre, che ha segnato questo esordio della manifestazione cividalese: una grande mostra internazionale negli splendidi spazi della suggestiva Villa de Claricini Dornpacher di Bottenicco di Moimacco, a pochi chilometri dal centro longobardo. Simbiosi di colore empatico è la sintesi concettuale che unifica le diverse presenze in un solo grande mosaico di sentimenti, legati all’’interrogativo problematico del momento: “Potrà l’empatia, la capacità di essere più vicini al sentire dell’altro, divenire la rampa su cui far decollare un futuro comune?” Si ritrovano a confronto su questa piattaforma di pensiero le opere di artisti provenienti da Austria, Croazia, Italia e Slovenia in un mosaico di sensazioni e stati d’animo affidati in gran parte alla pittura. Partecipano all’incontro gli artisti Adam Valter Casotto, Massimo Clemente, Silvano Di Bin, Diego Finassi, Jernej Forbici, Alfred de Locatelli, Simon Kajtna, Paolo Cervi Kervischer, Monika Lazar, Mira Lićen, Ina Loitzl, Zdravko Milić, Bruno Paladin, Lorenzo Palumbo (ideatore e curatore dell’evento), Tania Prušnik, Rudi Skočir, Larissa Tomassetti, Chiara Trentin, Etko Tutta. Ogni presenza apre delle “finestre” di sensibilità che inquadrano fisionomie creative e visioni della realtà molto diverse tra loro.

Adam Valter Casotto preleva dalla sua esperienza di truccatore cinematografico le suggestioni creative che poi fa confluire in una scultura capace di racchiudere nel suo tratto iperrealistico il senso del “qui e ora”, protratto in una sorta di sospensione, dove il tempo è perno essenziale di una riflessione sulle modificazioni interne ed esterne dell’individuo. Visionario nelle battute d’avvio, spettacolare negli esiti della sua ricerca dove il vero assumere le fattezze dell’artificio e il finto quelle del reale.

Massimo Clemente, viaggiando con disinvoltura dall’azione di superficie alla realizzazione tridimensionale, connota la sua opera con l’idea del movimento, leggibile in natura sia nei termini spaziali che temporali. Il privilegio accordato alla sinuosità delle forme colloca il lavoro in un ambito dove la geometria, che sembra dominare gli altri elementi costitutivi dell’opera, non si presenta come fredda razionalità del costrutto, ma salda evocazione del senso di ordine e armonia.

La pittura di Silvano Di Bin si fonda sulla sostanza simbologica dei suoi elementi costitutivi che, anche quando paiono dislocati sulla superficie lignea o sul cartoncino con assoluta casualità, rispondono a una strategia che esce dalla sintesi tra capacità progettuale e slancio fantastico. Il repertorio di motivi che costellano gli schermi pittorici si moltiplica, mostrando microscopiche presenze, sgocciolature, collages, che conferiscono alla pittura il tratto di una realtà morfologica in continua modificazione.

Diego Finassi, in questo trittico disposto in linea verticale, propone una sua visione della realtà addensando presenze che scandiscono uno spazio in maniera armonica dentro un contesto che reclama ritmi di vivibilità diversa. La tecnica è quella di assemblare in una sintesi la regola classica con gli apporti del nuovo creando una composizione dalle evidenze labirintiche, nella quale l’occhio del fruitore è portato a seguire vie d’osservazione ogni volta differenti.

Jernej Forbici esprime la profonda sensibilità per il cortocircuito tra il rispetto dell’ambiente e la spinta al profitto, prevalente su qualsiasi altra considerazione di prospettiva delle sorti del pianeta. Consegna la sua inquietudine a una figurazione in cui il paesaggio si offre alla considerazione dell’osservatore con la seduzione delle proprie forme, ma soprattutto con l’indicazione di segni, atmosfere e colori fortemente rappresentativi di uno stato interiore sommosso dalla preoccupazione per il presente e ansia per il futuro.

Alfred de Locatelli assume da un repertorio personale di realtà vegetali le figure che costellano il suo territorio concettuale e attiva una frequenza per lui abituale: l’ironia, con cui scarnifica la realtà mettendone a nudo le carenze e le contraddizioni. Alfred De Locatelli ricorre alla sua tipica modalità compositiva, portata a reiterare gli stilemi formali che veicolano un carico simbolico. La superficie è attraversata da tante striature cromatiche, anche appena percettibili, in paesaggi che vivono una dimensione “altra” (rispetto alla concezione diffusa) anche in virtù di una ridotta gamma cromatica che ne raggela gli elementi interni.

Simon Kajtna trova nei colori del mondo circostante le tonalità con cui dare anima a racconti sempre diversi, dove i protagonisti assoluti sono le persone e la natura. Il colore si distende in superfici che brulicano di segni e gesti in composizioni caratterizzate dalla trasparenza cromatica, dalla quale emergono spesso rilievi e corrugamenti capaci di dare movimento a un quadro mosso a volte dall’esaltazione della luce.

La poetica di Paolo Cervi Kervischer è orientata da tempo a cercare sempre il punto di contatto tra la realtà riconoscibile e il mondo impalpabile e sfuggente degli affetti, delle emozioni, dei moti della mente, spinta a percepire l’essenza fisica dell’esistente. Nella sua opera le stratificazioni delle velature e la fluidità del colore, fatto colare in verticale, creano molteplici effetti anche di straniamento che aumentano la spettralità del volto, volutamente tenuto su una tensione da parvenza fantasmatica ed evanescente.

Monika Lazar è attenta a comporre scene rispondenti perfettamente all’esigenza classica di armonia, dove le componenti strutturali sono disposte in maniera da lasciare la luce nella parte centrale in cui solitamente la natura crea un avvallamento come un bozzolo di protezione per le figure rappresentate. Queste si propongono all’occhio dell’osservatore con i tratti fisionomici appena accennati e con una fisicità che sembra completamente alleggerita dal carattere di sacralità dell’evento pittorico. In effetti la sua riflessione si nutre di contenuti spirituali tratti a volte dalle Sacre Scritture.

Mira Lićen trova nel colore la ragione primaria della sua appartenenza all’esistente; le cromie calde di intonazione prettamente mediterranea conferiscono alla pittura un tratto gioioso, di piena adesione alle magie metamorfiche della natura. La logica compositiva è piuttosto complessa, anche se riconducibile sostanzialmente a due fattori portanti, il segno e il gesto, portati talora a combinarsi in una sintesi evocatrice di paesaggi fantastici, in cui peraltro è riconoscibile una pur minima matrice di realtà.

Ina Loitzl nella sua ricerca ha una lunga consuetudine con l’utilizzo di materiali plastici ritagliati a volte in un progetto di costruzione dell’immagine per sottrazione; in questo intervento che esce plasticamente dalla parete si confrontano due realtà, radici vegetali naturali e artificiali, i cui filamenti in sospensione disegnano percorsi differenziati nello spazio dell’evento.

Zdravko Milić è artista attento alle vicende della contemporaneità tra le quali sceglie di volta in volta un tema (solitamente legato alle problematiche dell’ambiente, delle regole spietate del mercato e del profitto, della relazione tra gli uomini e i gruppi sociali) per installarlo all’interno dell’opera dipinta; questa si presenta come uno schermo, con l’indicazione segnica di tanti punti su file parallele, rappresentanti i pixel televisivi. Il riferimento è quasi sempre all’importanza della comunicazione nell’era attuale, con i suoi pregi e le sue storture.

Lorenzo Palumbo ricarica la sua figurazione di una serie ricca di riflessi significanti, per cui la superficie da lui dipinta è una piattaforma di decolli verso approdi del pensiero più diversi; in possesso di una tecnica sopraffina, arricchita anche dagli apporti di una sua attività di restauratore e miniaturista, sa perfettamente equilibrare la ricerca estetica con l’affermazione di una filosofia portata a centrare l’essenza delle cose, qualche volta a scapito del comune sentire improntato secondo lui al vezzo dell’ipocrisia. Anche quando le presenze paiono ridotte alla loro struttura scheletrica, mantengono quel grado apprezzabile di monito ad andare oltre il velo delle cose per una conoscenza più profonda.

Tania Prušnik propone in questa occasione una minima porzione di un lavoro dipinto che, alla fine, misurerà alcuni chilometri. L’opera ha un rilevante riflesso sulla realtà biografica dell’artista che vuol congiungere i poli di una distanza grazie al potere unificante della pittura. La superficie evidenzia il rapporto tra il pieno e il vuoto con larghe pennellate di materia cromatica grassa intervallate dal fondo della tela.

Nella ricerca recente di Bruno Paladin è in atto una de-costruzione della realtà, che viene poi riproposta nell’opera secondo un progetto arbitrario di pura scansione dello spazio, con un’aggregazione di componenti geometriche nelle combinazioni più varie e questa “evaporazione” della forma conosciuta alimenta un continuo acquisto dell’immaginario. Qui si sviluppa un confronto serrato fra modalità pittoriche diverse che dalla stesura a macchia vanno fino agli addensamenti materici, con l’intervento di segni alfabetici allusivi di una complessità problematica nella comunicazione contemporanea.

Rudi Skočir è un poetico cantore di storie dove ironia, simbolo e visione critica del mondo si amalgamano in una sintesi figurale estremamente variegata: l’opera lascia trapelare il gusto dell’artista per l’indugio nel dettaglio, ma anche il piacere per la pennellata libera che percorre lo spazio inglobandolo in un reticolo impercettibile di gesti. La pittura mostra una relazione stretta fra stesura piatta – fatta di una pellicola finissima di colore – e il rilievo prodotto anche con l’applicazione a collage di un brano di stoffa o carta.

Larissa Tomassetti conduce da tempo uno studio serrato sui problemi della percezione, con particolare riferimento alla dicotomia tra realtà e finzione, tra quello che è e quello che si vede molte volte diverso dalla sua consistenza effettiva. Lo fa affidandosi a una pittura che, pur avvalendosi a tratti da inserimenti differenti, al colore e al segno assegna il compito di quantificare visivamente le sue emozioni e stati d’animo di fronte a fatti, persone e cose del mondo attuale.

Chiara Trentin propone un’installazione con una precisa finalità d’uso: racchiude in una “campana” trasparente (chiamata non a caso “violoncellula”) la possibilità di suonare all’interno il violoncello, con cui si è esibita già in significative manifestazioni musicali. Il colore bianco sembra trasferire il manufatto in un’atmosfera di rarefazione, determinata anche dalla separazione parziale del contenuto dall’esterno.

Etko Tutta nei suoi fondi rosso-fuoco immerge minimi elementi figurali disposti in una logica di lettura che può suggerire un volo fantastico dentro una miriade di storie. La pittura è fatta di piacere puro per rapporti cromatici forti e alfabeto di tracce iconiche, ottenute a volte con una cura miniaturistica. Sulla superficie la realtà si rivela attraverso i dettagli che la caratterizzano, segni-simboli di un mondo analizzato nelle sue strutture essenziali. Queste, nell’opera finita, divengono meccanismi di un processo, capace di trasformare l’esistente in una landa dell’immaginazione pura.

Nel giorno dell’inaugurazione della rassegna (venerdì 21 agosto) è stato presentato anche il libro di Angelo Bacci, La mia Biennale sottosopra, edizioni Segno; l’autore, per quarant’anni dirigente della Biennale di Venezia, sviluppa un’approfondita analisi della manifestazione lagunare, inquadrando problemi, pregi, difetti e disegnando la fisionomia di importanti personaggi conosciuti durante il suo lavoro.