Astrazioni a colori di Franco Fontana

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Sessant’ anni di carriera in una mostra della Fondazione Arti Visive di Modena

di Michele De Luca

 

“Il colore è un mezzo che consente di esercitare un influsso diretto sull’anima. Il colore è il tasto, l’occhio il martelletto, l’anima è il pianoforte dalle molte corde”. Così scriveva nel 1910 Wassily Kandinsky nel suo Lo spirituale nell’arte, un libro che – si è detto – insegna il suono interiore dei singoli colori, molto utile per tradurre le proprie necessità interiori con l’uso del colore; nella pittura come in altre forme d’arte, prima – forse – fra tutte la fotografia. A questo aforisma, scritto oltre un secolo fa dal grande maestro dell’astrattismo (secondo il quale l’effetto psichico del colore è determinato dalle sue qualità sensibili: il colore ha un odore, un sapore, un suono), ci richiama la ormai ricca e coerente ricerca fotografica di Franco Fontana (Modena, 1933), dedicata, fin dagli esordi nel 1961, all’espressione astratta del colore, svolta in un periodo in cui l’astrattismo in fotografia era da ricercarsi esclusivamente nel bianco e nero, e protrattasi fino ad oggi in una inedita e originale analisi, utilmente “provocatoria”, del paesaggio, sia naturale che artificiale, alla caccia di nuovi segni, strutture, superfici cromatiche corrispondenti alla sua fantasia creativa.

I suoi sono colori accesi, brillanti, talmente vibranti da apparire irreali (o meglio, surreali); composizioni ritmate da linee e piani sovrapposti, geometrie costruite sulla luce, paesaggi e scorci urbani iperreali, sospesi in una dimensione atemporale, “astratti” da ogni contesto storico, avulsi da ogni riferimento concreto e riconoscibile a quella che si chiama “realtà”; infatti ha detto: “Io credo che la fotografia non debba documentare la realtà, ma interpretarla. La realtà ce l’abbiamo tutti intorno, ma è chi fa la foto che decide cosa vuole esprimere. La realtà è un po’ come un blocco di marmo. Ci puoi tirar fuori un posacenere o la Pietà di Michelangelo”.

Modena rende ora omaggio a Franco Fontana, uno dei suoi artisti più importanti e tra i più conosciuti a livello internazionale. La Fondazione Modena Arti Visive, nelle tre sedi della Palazzina dei Giardini, del MATA – Ex Manifattura Tabacchi e della Sala Grande di Palazzo Santa Margherita, ospita la mostra, dal titolo “Sintesi, che ripercorre oltre sessant’anni di carriera dell’artista modenese e traccia i suoi rapporti con alcuni dei più autorevoli autori della fotografia del Novecento. L’esposizione è suddivisa in due sezioni.

La prima, curata da Diana Baldon, direttrice della Fondazione, allestita nella Sala Grande di Palazzo Santa Margherita e nella Palazzina dei Giardini, rappresenta la vera sintesi – come recita il titolo – del percorso artistico di Franco Fontana, attraverso trenta opere, la maggior parte delle quali inedite, realizzate tra il 1961 e il 2017, selezionate dal vasto archivio fotografico dell’artista. Questo nucleo si concentra su quei lavori che costituiscono la vera cifra espressiva di Fontana. Sono paesaggi urbani e naturali, che conducono il visitatore in un ideale viaggio che lega Modena a Cuba, alla Cina, agli Stati Uniti e al Kuwait. La seconda sezione, curata dallo stesso Franco Fontana, ospitata dal MATA – Ex Manifattura Tabacchi, propone una selezione di circa cento fotografie che Franco Fontana ha donato nel 1991

al Comune di Modena e Galleria Civica che costituisce un’importante costola del patrimonio collezionistico ora gestito da Fondazione Modena Arti Visive. Tale collezione delinea i rapporti intrecciati dall’artista con i grandi protagonisti della fotografia internazionale.

Il lavoro di Fontana, tra surrealismo e iperrealismo, parte ed è mosso dal bisogno di rinnovamento e di messa in discussione dei codici di rappresentazione ereditati, in campo fotografico, dal Neorealismo, ma pone particolare attenzione e cura anche agli esiti visivi e alla componente estetica della sua ricerca. Nel 1963 avviene il suo esordio internazionale, alla 3a Biennale Internazionale del Colore di Vienna. Già nelle fotografie di quel primo periodo si vedono in nuce alcuni di quelli che diverranno i suoi tratti distintivi. Soprattutto, c’è una scelta di campo decisamente controcorrente rispetto alla maggioranza dei suoi colleghi: è stato tra i primi in Italia a schierarsi con tanta convinzione e fermezza per il colore e lo rende protagonista, non come mezzo, ma come messaggio, non come fatto accidentale, ma come attore. È attratto dalla superficie materica del tessuto urbano, da porzioni di muri, stratificazioni della storia, dettagli di vita scolpiti dalla luce. Come fosse un ritrattista, Fontana mette in posa il paesaggio. Il suo occhio fotografico ne sceglie il lato migliore con la consapevolezza che la fotografia, con il suo tempo di posa, gli obiettivi e i diaframmi, vede il mondo diversamente dall’occhio umano.

Guardando le foto di Fontana, viene spontaneo un interrogativo, che ci portiamo dietro da quando lo abbiamo letto in un libro dello studioso americano dei problemi del colore Faber Birren (Colore, Idealibri 1982): “Ma cos’è il colore? Pervadendo tutto, è dato per scontato e stranamente poco studiato. Eppure esso coinvolge sul piano delle emozioni, rendendo le cose calde o fredde, eccitanti o indifferenti. Il colore arricchisce il nostro mondo, e la nostra percezione di ciò che ci circonda: un mondo privo di colore non è quasi immaginabile”. E le immagini di Fontana ce ne danno un’autorevole e appassionata testimonianza; come dimostra anche la fortuna critica che lo ha sempre accompagnato fin dalla sua mostra nel 1978 alla Galleria Il Diaframma di Milano di Lanfranco Colombo, presentato da Ando Gilardi, il quale non esitò a definirlo un “caposcuola”. Di lui ha scritto Arturo Carlo Quintavalle: “(Fontana) ha saputo meglio di tutti inventare il colore fotografico pur senza trasferirne il segno sul piano dell’ideologia, con un’operazione ben precisa che fa conciliare macrocosmo e microcosmo”.