Bambini nel bosco e nelle storie

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Da Beatrice Masini una favola “per adulti e piccini sulla bellezza delle storie e sulla loro importanza

di Anna Calonico

 

Beatrice Masini è tra le scrittrici italiane per l’infanzia più apprezzate, ha vinto numerosi premi (Premio Pippi, Premio Andersen, Premio Elsa Morante ragazzi) e pubblicato, tra gli altri, La fine del cerchio, Solo con un cane, Sono tossica di te e Tentativi di botanica degli affetti (finalista al Premio Campiello nel 2013). È anche giornalista e traduttrice (suoi gli Harry Potter dal Prigioniero di Azkaban in poi) e nel 2010 è stata tra i candidati al Premio Strega con Bambini nel bosco, prima volta per un libro per ragazzi.

Il romanzo è, come si usa dire, una favola “per adulti e piccini”, ambientata in un mondo distopico che tanto successo ha raggiunto negli ultimi anni, soprattutto tra le storie “young adults”: siamo in un’era post atomica, e moltissimi bambini rimasti orfani o che hanno solo “smarrito” i genitori nella catastrofe seguita alla grande luce della bomba, vengono riuniti alla Base, un fatiscente rifugio per ragazzini dove, per mancanza di mezzi, di personale e di volontà vengono lasciati a vivere allo stato brado, giocando nel fango, azzuffandosi per una radice da mangiare, regrediti ad uno stadio di bestioline selvagge che a malapena sanno comunicare i bisogni fondamentali, riuniti in Grumi sotto l’autorità di un ragazzo più grande o, semplicemente, più manesco. Le regole della Base vengono scandite da un altoparlante (non andare nel bosco, non domandare cosa non puoi sapere) e prima di sera viene distribuita la medicina, una pillola che fa dormire e cancella i cocci, i ricordi che a volte affiorano pungendo l’anima.

I piccoli protagonisti sono divisi in Dischiusi e Avanzi: questi ultimi sono i sopravvissuti, coloro che “avanzano” dal mondo preatomico. I Dischiusi, invece, sono i bambini nati da una bottiglia che è stata aperta: embrioni crioconservati.

Ma nel Grumo 13, capitanato da Hana, una ragazzina sempre pronta ad usare la violenza per farsi ubbidire, c’è Tom, un Avanzo timido e silenzioso, ma segretamente disubbidiente, che di nascosto sputa la medicina e, ignorando le regole, si inoltra nel bosco. Lì, un giorno trova un tesoro.

È una favola sulla bellezza delle storie e sulla loro importanza, perché il tesoro di Tom è un libro di fiabe.

Quando Hana lo scopre, incredibilmente, invece di strapparne le pagine invita il ragazzo a leggere ad alta voce, e così Orla, Ninne, Dudu, Glor, Cranach, Zerosette, si accucciano intorno a Tom ad ascoltarlo esterrefatti. All’inizio è difficile per loro capire il senso: mamma? Cos’è una mamma? E una casetta di marzapane? Un principe? Pian piano, la bellezza della narrazione li fa cambiare, li addolcisce, li fa persino evolvere nella capacità di pensiero e linguaggio. Iniziano ad esprimersi in maniera man mano più complessa, decidono di non prendere la medicina e desiderano un’altra vita. Così, una notte, capitanati ora da Tom, i bambini del Grumo 13 fuggono dalla Base attraverso il bosco. Inizia l’avventura e, come dice Hana, la loro vita: Prima eravamo tutti uguali, uguali agli altri, dico, e non eravamo niente. Adesso siamo noi. (p.79) Tom li aiuta ad andare avanti, a cacciare, persino a costruire una casa, che sarà protetta dal cano, una specie di cane mutante, e si guadagna un nuovo nome, Tom Due Volte: Significa che le parole diventano più forti se le ripeti, perché le conosci meglio e ti convinci di quello che vogliono dire. Significa anche un’altra cosa, più importante: che lui ci ha regalato la nostra seconda volta, la seconda possibilità di avere una vita. Diversa da quella del Campo e della Base. Una vita tutta nostra (p. 86). Il libro parla di un’evoluzione: da miserevoli esserini semiprimitivi, sporchi, rozzi, cattiveriosi, a veri e propri bambini, capaci di voler bene, di volersi bene (si allontaneranno dal compagno morto, ma portandolo “qui e qui”, dice Glor, toccandosi la testa e il cuore), di prendersi cura gli uni degli altri oltre che di se stessi, capaci di pensare e di capire che cosa vogliono. Tutto per merito di un libro. O forse per merito dell’unione amichevole che Tom, impugnando il volume di fiabe e non un bastone, riesce ad infondere in testoline che in realtà non erano vuote (perché qualcuno non era veramente un Dischiuso, e inizia a ricordare!). Tutto comunque parte dalle favole, dalle parole che vi leggono (Zucchero, per esempio. Era bianca, forse appena rosa, e restava a lungo sulla lingua. Era una parola da succhiare. p. 35) e dalle parole che iniziano a diventare la loro realtà e il loro gioco. Giocano a Chiamare: nominano un oggetto e lo descrivono con le parole che hanno imparato, a turno, e nelle scene in cui la Masini descrive lo sbocciare delle menti dei bambini ci sono una tale poesia e un tale entusiasmo che risulta impossibile chiudere il libro e non continuare la lettura.

La storia ricorda vagamente Il signore delle mosche di William Golding, o il più recente Anna di Ammaniti: entrambi romanzi distopici che parlano di una società senza adulti in cui i protagonisti sopravvivono tra pericoli e dolori, difficoltà e miserie, ingenuità e furbizia. I piccoli sono i protagonisti incontrastati, che siano spavaldi e svegli o scemotti imbranati e grassocci, la loro forza è stare insieme (anche Anna decide di farsi accompagnare da Pietro, un ragazzino sbucato fuori all’improvviso, per cercare il suo fratellino) e tutti insieme riescono ad andare avanti, per forza o per fortuna, dimentichi del loro passato, in cerca del loro futuro. Anche qui, in Bambini nel bosco, i ragazzini sono costretti a cavarsela da soli, anche qui ci sono morti accidentali, anche qui, come nel caso del moderno e ben più noioso Maze runner, saga americana che ha inspiegabilmente conquistato il mondo, ci sono uomini che con le telecamere spiano i ragazzi e li osservano vivere, lottare, morire come fossero un esperimento. Due di loro, in particolare, Ruben e Jonas, si trovano a stare dalla parte dei bambini, a sperare che riescano a cavarsela. Si commuovono quando, spinti dalle favole del libro, i ragazzetti vengono a conoscenza del potere tenero e fortissimo di un abbraccio (E da allora cominciarono ad abbracciarsi tutte le sere prima di andare a dormire. p. 106), e ascoltano rapiti le storie di Tom: E Tom Due Volte cominciò a raccontare, per chi c’era e per chi non c’era, per chi era lontano ma poteva sentire, per i bambini e per i grandi, per un compagno morto nel bosco, che era il loro rifugio ma anche un rischio. Raccontò per sé stesso, per consolarsi e dimenticare; perché gli altri, almeno lungo il tempo di una storia, potessero dimenticare. Raccontò perché credeva nelle storie e nel loro potere; perché avevano fatto miracoli, anche se forse non ci sarebbero più riuscite. O forse sì, invece. Raccontò perché si ha sempre bisogno di storie, e in certi momenti di più, e dentro il libro non ce n’erano di adatte. Raccontò una storia lunga e strana, metà inventata metà no, che cominciava come cominciano tutte le storie C’era una volta… (p. 174)

 

 

 

Copertina:

 

Beatrice Masini

Bambini nel bosco

Fanucci, Roma 2010

  1. 200, euro 7,50