Bellini e Mantegna: confronto tra due maestri

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Due dipinti recanti la Presentazione di Gesù al tempio faccia a faccia a Venezia

di Nadia Danelon

La Fondazione Querini Stampalia sta per giungere a un importante traguardo: mancano solo pochi mesi al 2019, ovvero al centocinquantesimo anniversario dalla nascita dell’importante istituto veneziano, tra i più significativi nell’ambiente culturale cittadino. In anticipo sui tempi, la Querini Stampalia propone già quest’anno una piccola ma interessante esposizione, che vede protagonisti due tra i più importanti pittori dell’epoca rinascimentale: Andrea Mantegna e Giovanni Bellini.

Fino al 1 luglio 2018 i visitatori del museo dell’ambiente, presente al secondo piano della sede del celebre istituto veneziano, hanno infatti la possibilità di ammirare la mostra “Capolavori a confronto. Bellini/ Mantegna: Presentazione di Gesù al tempio”. L’esposizione nasce dall’idea di un accostamento tra due opere prodotte in botteghe differenti, ma talmente simili da lasciare sconcertato l’osservatore intento ad ammirarle: non solo si tratta in entrambi i casi del medesimo soggetto, la Presentazione di Gesù al tempio, ma anche la composizione è pressoché identica. Le differenze tra le due opere, nei personaggi comuni ad entrambi i dipinti, quasi non sussistono. La prima impressione, nell’ammirarle accostate l’una all’altra nell’ultima sala della mostra, è legata ad una sensazione strana: sembra quasi di osservare un solo dipinto, riflesso in uno specchio. Naturalmente, non è così, poiché la consapevolezza delle differenze stilistiche tra i due dipinti sopraggiunge grazie a una maggiore attenzione nei confronti dei dettagli: le maniere dei due autori, Mantegna e Bellini, sono profondamente differenti. Tuttavia, le tangibili affinità tra le due opere non sono affatto casuali: è sufficiente ripercorrere una beve ma significativa tappa nella biografia comune ai due artisti per scoprire che, così come in altri casi di famiglie appartenenti allo stesso ambiente, anche i due pittori risultano legati da uno stretto legame di parentela. Nel 1453, infatti, un ancora giovane Andrea Mantegna sposa Nicolosia, sorella e figlia di artisti: i suoi fratelli sono i pittori Giovanni e Gentile, mentre il padre Jacopo Bellini è il titolare della bottega veneziana più importante del suo tempo. Quello tra i due autori affiancati nella mostra allestita presso la Querini Stampalia è quindi un legame solido, che a suo tempo deve aver incoraggiato una sorta di emulazione da parte del Bellini per questa particolare opera del cognato: tanto forte deve essere stata l’ammirazione per la Presentazione al tempio del Mantegna, da spingere il cognato a trarne un disegno da riutilizzare per la sua versione.

L’incontro tra le due opere nel contesto di questa prima mostra è stato incoraggiato dalla preparazione di un’altra esposizione, molto più grande e attesa con impazienza dalle istituzioni destinate ad ospitarla: si tratta della grande mostra dedicata a Bellini e a Mantegna, creata in collaborazione tra le due sedi ospitanti, la National Gallery di Londra e la Gemaldegalerie di Berlino. Il dipinto con la Presentazione al tempio del Mantegna (tempera su tela) appartiene alle collezioni di quest’ultimo museo: vi è giunto al termine di un percorso tortuoso, che dal momento della sua esecuzione l’ha visto passare attraverso collezionisti differenti. L’olio su tavola del Bellini, invece, non ha mai lasciato Venezia: viene ricordato dal 1809 nella collezione della famiglia Querini. Significativamente, considerando che tale riferimento dimostra una volta di più l’affinità tra le due opere ora in mostra, nel registro storico della collezione Querini Stampalia esposto all’ingresso del museo il dipinto del Bellini viene erroneamente indicato come opera del Mantegna. Appurato che l’opera proveniente da Berlino sia stata realizzata per prima, così come viene confermato da alcuni “pentimenti” evidenziati nell’apparato critico riassunto per mezzo dei pannelli presenti nelle sale della mostra, gli studiosi sembrano confermarne la datazione facendolo risalire al biennio 1454-55: tenendo conto del recente matrimonio del Mantegna con Nicolosia Bellini, la critica ritiene che l’opera sia stata realizzata in occasione della probabile nascita del primo figlio della coppia. Questo dipinto diventa quindi una sorta di ex-voto, un ringraziamento per il grande dono ottenuto: infatti, quelli che possono essere considerati come i donatori del dipinto realizzato per la grazia divina appena ricevuta – seppur forzatamente, considerando l’immediato ingresso dell’opera nella collezione di Pietro Bembo – sono gli stessi Andrea e Nicolosia. Eccoli, infatti, collocati alle due estremità dell’opera. Ma, allo stesso tempo, il corpo del neonato stretto nelle bende nasconde anche un terrificante presagio per la Madre che lo stringe tra le braccia: come è stato segnalato dai curatori della mostra (Blass-Simmen, Rowley e Villa), le fasce che avvolgono il corpo del piccolo Gesù ne evocano anche il futuro martirio e la successiva tumulazione. Ecco spiegata l’apprensione chiaramente leggibile sul volto di Maria, il cui destino è stato annunciato dall’anziano Simeone: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti… E anche a te una spada trafiggerà l’anima”. La composizione del Mantegna è racchiusa all’interno di una cornice marmorea, che crea appunto l’illusione di trovarsi di fronte ad una finestra aperta. Allo stesso tempo, gli studiosi attribuiscono una particolare importanza allo sfondo blu che esalta la composizione del dipinto: è stato visto non solo come un tributo agli affreschi padovani di Giotto, ma anche come sfondo ideale per una scena che volutamente si svolge in una dimensione celeste, fuori dal tempo e dallo spazio data l’importanza spirituale di quanto viene rappresentato.

L’opera del Bellini, come ricordato, è stata eseguita in un momento successivo: a quanto pare, i due dipinti sono stati realizzati a circa 15-20 anni di distanza l’uno dall’altro. Bellini ridimensiona lo spazio destinato ad ospitare le figure creando una composizione più ampia e includendo addirittura due nuovi personaggi, che secondo gli studiosi potrebbero essere lui stesso e la sua consorte. A conferma di quanto è stato ipotizzato, nel corso delle analisi propedeutiche alla mostra sono emerse delle tracce riferibili alla tecnica dello spolvero: perciò, da quel disegno realizzato a suo tempo dal giovane Bellini con la volontà di riprodurre minuziosamente l’opera del cognato, è stato poi tratto un cartone in scala 1:1 rispetto alle dimensioni del dipinto originale (che, come visto, fa riferimento solo alle figure centrali della nuova opera date le maggiori dimensioni della tavola di Bellini). La cornice del Mantegna è scomparsa: Giovanni Bellini sceglie di sostituirla con un parapetto di marmo verde.

Naturalmente, ciò che risalta di più è la profonda differenza stilistica tra le opere dei due pittori: Mantegna si esprime attraverso una composizione severa e grave, mentre Bellini non ha alcun bisogno di una costruzione geometrica troppo austera che dissimula ammorbidendo i volumi delle figure. Sono tutte caratteristiche che risaltano nell’ultima sala della mostra, dove le due opere sono affiancate nell’oscurità, sapientemente illuminate al fine di concentrare l’attenzione sul talento di questi due illustri pittori: simili ma allo stesso tempo profondamente differenti, i due dipinti chiedono di essere indagati, ostentando le loro caratteristiche di fronte all’osservatore intento ad ammirarle.