Il Sacro Monte di Varallo

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La teatrale drammaticità di uno straordinario complesso artistico generato da esigenze devozionali e pedagogiche

di Nadia Danelon

 

Nell’ambito della possente area alpina lombardo-piemontese, sorge il Sacro Monte di Varallo: un esempio celebre di architettura devozionale, dove 44 cappelle illustrano principalmente e nel dettaglio la vita di Gesù e quella di Maria. Non molto lontano, sono presenti altri sette luoghi simili a questo, ma quello di Varallo ne costituisce l’esempio più antico e suggestivo: tanto da essere definito, su ispirazione di Giovanni Testori, “Gran teatro montano”. Inoltre, il 4 luglio 2003 a Parigi, il complesso degli otto “Sacri Monti” presenti nel Piemonte e nella Lombardia è stato dichiarato patrimonio mondiale dell’umanità.

La storia del Sacro Monte di Varallo inizia nel 1481, grazie all’intuizione del frate francescano Bernardino Caimi: ispirato da un viaggio in Terra Santa, che ipotizza la possibilità di riprodurre i luoghi visitati sfruttando la parete rocciosa nei pressi del paese di Varallo. Tale iniziativa è motivata da un duplice scopo: innanzitutto, proprio in quel periodo, i pellegrinaggi in Terra Santa iniziano a diventare pericolosi a causa dei Turchi. Inoltre, come da prassi tenendo conto dell’approccio legato alla spiritualità francescana, il progetto per la realizzazione del complesso di Varallo manifesta subito il suo grande valore pedagogico. Cinque anni dopo la proposta iniziale, nel 1486, l’iniziativa di padre Bernardino Caimi inizia a prendere piede: il religioso ha infatti ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie alla partenza del progetto, finanziato soprattutto da generose donazioni ottenute grazie all’appoggio di Ludovico il Moro Sforza.

Inizia così la costruzione delle prime cappelle, in questa prima fase che termina nel 1491. I documenti di quel periodo confermano l’avvenuta realizzazione delle cappelle del Santo Sepolcro, dell’Ascensione e della Deposizione. Bernardino Caimi sceglie di progettare il percorso del Sacro Monte sulla base di un’impronta strettamente topografica: ovvero, identificando i singoli “luoghi-chiave” del pellegrinaggio in Terra Santa. Tale intenzione viene sacrificata nel corso del secolo successivo, dopo la morte del frate, con la volontà di creare un percorso che racconti in ordine cronologico i principali avvenimenti inerenti all’esistenza terrena di Gesù. La cappella XLVII, che si distingue rispetto alle altre per la tematica scelta, sorge nel luogo dove Bernardino Caimi ha celebrato la prima messa nel contesto del Sacro Monte: sette oppure otto anni dopo (quindi, tra il 1498 e il 1499), il religioso passa a miglior vita. L’avvenimento non scoraggia la volontà di proseguire con la costruzione del complesso sacro di Varallo, divenuto ormai meta di costanti pellegrinaggi influenzati dall’appoggio del Ducato di Milano.

Proprio a questo punto, nei primi anni del XVI secolo, l’impresa assume un impatto storico-artistico tale da influenzare per secoli qualsiasi intervento eseguito nell’ambito del Sacro Monte: il pittore, scultore ed architetto Gaudenzio Ferrari prende le redini dell’iniziativa, supervisionando i lavori dell’intero complesso fino al 1528. Instancabile, l’artista valsesiano si cimenta in una serie di opere che comprendono alcune tra le più belle scenografie realizzate nel contesto del complesso devozionale di Varallo: gli studiosi hanno osservato come il suo percorso artistico nell’ambito del Sacro Monte non abbia conosciuto alcun momento di bassa qualità espressiva, restituendo all’occhio del visitatore un impatto stilistico brioso e mai mediocre. Tuttavia, è sempre necessario ricordare che queste opere (realizzate non solo dal Ferrari, ma anche dai suoi allievi), nonostante il loro aspetto interessante e il particolare approccio artistico-scenografico proposto in seno all’epoca rinascimentale, tradiscono un messaggio legato al sentimento umano nell’ambito della produzione artistica che si distingue nettamente rispetto agli ideali umanistici tipici degli stessi anni.

Ogni cappella del Sacro Monte di Varallo ha, come caratteristica tipica, un gruppo statuario ed un ciclo di affreschi: il tutto è concepito in chiave teatrale che, se si vuole dare seguito all’opinione espressa dal Testori, rappresenta qualcosa di simile ad una laude medievale che coinvolge un gran numero di persone. Le statue sono in legno, oppure in terracotta policroma plastificata: alcune hanno dei capelli veri, che contribuiscono a rendere ancora più realistiche le figure, coadiuvati dalle espressioni eloquenti dei singoli personaggi.

Al Ferrari, importante regista della grande impresa, si devono le statue e i dipinti delle cappelle V, VII, XXXVIII, XL (rispettivamente, i soggetti sono: I Magi a Betlemme, La Presentazione al Tempio, La Crocifissione e La Pietà). Sono sue anche le statue delle cappelle II, VI, VII, XXXII che rappresentano L’Annunciazione, La Natività, L’adorazione dei pastori e Gesù che sale la scala del Pretorio. Nonostante l’evidente influenza stilistica dovuta a un cantiere prolungatosi per diversi secoli, come si è detto, dopo la partenza del Ferrari la produzione artistica legata al contesto del Sacro Monte di Varallo è stata sempre ispirata alle opere di questo primo e grande maestro: le testimonianze rendono noto che i committenti stessi, supervisionando il lavoro dei singoli artisti, hanno sempre vincolato l’impatto compositivo delle nuove opere all’esempio delle realizzazioni di epoca rinascimentale.

Tuttavia, naturalmente, l’interesse storico-artistico nei confronti del Sacro Monte di Varallo non è motivato solo dalla presenza delle opere di Gaudenzio Ferrari: a succedergli nel ruolo di direttore dei lavori, alcuni decenni dopo la sua partenza, è l’architetto Galeazzo Alessi. Tra il 1565 e il 1568, quest’ultimo promuove quel radicale cambiamento nella disposizione dei soggetti attraverso le cappelle che oltre a creare un effettivo percorso cronologico influenza anche l’aspetto definitivo del Sacro Monte. Il complesso si divide in due aree ben distinte: la prima parte del percorso si snoda attraverso il bosco, dove le cappelle sorgono isolate oppure collegate da apposite logge; passando dalla cosiddetta Porta aurea si giunge alla seconda zona, caratterizzata da un assetto urbano che vuole in qualche modo rievocare la Gerusalemme dell’epoca di Gesù. Riferendosi soprattutto a quest’ultima parte del percorso, san Carlo Borromeo (grande promotore dell’impresa nella seconda metà del XVI secolo, memore del pellegrinaggio presso il Sacro Monte effettuato in gioventù da sua madre) definisce il complesso Nuova Gerusalemme.

Dopo un periodo piuttosto deludente dal punto di vista dei progressi nella realizzazione dell’impresa (fine XVI sec.), il cantiere del Sacro Monte di Varallo riprende vigore all’inizio del XVII secolo. Proprio in quegli anni, infatti, emergono le figure dei tre fratelli D’Enrico (Giovanni, Melchiorre e Antonio). Nell’arco di tempo in cui viene realizzata per il Palazzo di Pilato la riproduzione della Scala Santa di San Giovanni in Laterano, Antonio d’Enrico dipinge alcuni importanti affreschi nelle cappelle della Passione (influenzati dal suo periodo di apprendistato svolto nell’Italia centro-meridionale). Tra il 1614 e il 1713 viene realizzata anche la Basilica dell’Assunta, che costituisce la tappa finale del percorso: i suoi progettisti sono Bartolomeo Rivelli e Giovanni d’Enrico. La suggestiva, solenne e allo stesso tempo drammatica realtà espressa attraverso le cappelle del Sacro Monte di Varallo è stata egregiamente descritta dalle parole di Giovanni Testori: “[in queste cappelle] tutto viene da un’urgenza di vita in atto, di rappresentazione colta nel suo massimo movimento e perciò tutto sta perennemente aperto sul palcoscenico di un teatro che abbia la forza di trascinare continuamente a sé nuova vita e nuova morte” (G. Testori, Tanzio da Varallo, 1959, p. 29).