Canaletto e Venezia

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Il Settecento in mostra a Palazzo Ducale

di Nadia Danelon

 

Allestita nelle sale dell’appartamento del Doge di Palazzo Ducale, la mostra “Canaletto & Venezia” riassume i fasti di un’epoca d’oro, l’ultima nella storia gloriosa della repubblica veneta. È così che nel saggio introduttivo del curatore Alberto Craievich viene motivata la scelta di un argomento tanto complesso quanto affascinante: il nome di Canaletto, il più celebre tra i vedutisti veneziani, costituisce un pretesto per affrontare in modo accurato le vicende culturali e sociali dell’ultimo periodo di gloria di una città unica al mondo. In seno al dominio della repubblica veneta, si sviluppano le esperienze di molti autori di pregio, destinati ad avere un enorme successo tanto in Italia quanto nel resto dell’Europa: ed è così che lungo l’esposizione si possono ammirare le opere di pittori e scultori di larga fama, insieme a manufatti artigianali e bozzetti di varia natura che nel corso del Settecento hanno incontrato l’approvazione tanto del patriziato veneziano quanto della nobiltà internazionale. Viene da pensare, ad esempio, ai magnifici ritratti a pastello di Rosalba Carriera, di carattere intimo e dallo straordinario successo in ambito italiano e internazionale: ricordiamoci che il Settecento è anche il secolo del “Grand Tour” che vede l’approdo di molti rampolli delle più importanti famiglie aristocratiche nelle città d’arte della nostra penisola. Così, come ricordato da Craievich, anche solo il possesso di un ritratto commissionato in giovane età costituisce motivo di vanto e nostalgia per il nobile che a inizio Settecento ha visitato Venezia. Nel corso della sua carriera, inoltre, la Carriera soggiorna a Parigi dove produce un gran numero di opere in poco tempo.

Discorso a parte, oltre che molto interessante, è quello affrontato da Pavanello nel suo saggio Immaginazione / osservazione, sempre nel catalogo della mostra, che evidenzia un aspetto chiave dell’esposizione: l’arte del Settecento veneziano si fonda sulle contraddizioni di un’epoca complessa dove, con uno spartiacque, la dimensione allegorica viene divisa da quella della realtà. Tuttavia, non sempre questa distinzione emerge nella produzione artistica del periodo: tra gli esempi ricordati dallo studioso, può essere giudicato significativo quello della Sala di Musica dell’Ospedaletto di Venezia, affrescata nel 1776 da Jacopo Guarana e dal quadraturista Agostino Mengozzi Colonna. La parete di fondo dell’ambiente è decorata da una inconsueta rappresentazione del Parnaso, che ci mostra Apollo intento a dirigere l’orchestra formata dalle fanciulle iscritte a quel conservatorio. Altro elemento di quotidianità (“di genere”) presente nello stesso ciclo è quello delle figure affacciate alle grate, fittizie spettatrici dell’eterno concerto.

Questa contraddizione, in seno al Settecento veneziano, è accuratamente illustrata già nella prima sala della mostra. Craievich motiva con attenzione, nel saggio introduttivo al catalogo, la scelta delle opere esposte in questo primo ambiente: Nettuno offre a Venezia i doni del mare di G. B. Tiepolo, Il Ridotto di Francesco Guardi e infine il modello ricostruttivo del Bucintoro (1727-29). Vengono esemplificati gli aspetti chiave del Settecento: quello allegorico (l’immaginazione) e quello “di genere” (l’osservazione) coadiuvati dalla simbolica presenza del Bucintoro (imbarcazione dogale, ma solo di rappresentanza). Craievich evidenzia la presenza, nella prima sala, della Venezia trionfale del Tiepolo: altezzosa e signorile, molto diversa da quella dolente del bozzetto di Canova che chiude l’esposizione, le cui lacrime sanciscono idealmente la fine della gloriosa epoca descritta.

Curiosamente, per un aspetto particolarmente noto agli esperti, lo stesso Canaletto si pone sulla soglia tra il mondo dell’osservazione e quello dell’immaginazione. Se è vero che le sue vedute rispondono, nell’immaginario generale, alla concezione dell’aspetto urbano della città di Venezia nel Settecento, risulta necessario e opportuno ricordare che questi scorci spesso e volentieri non corrispondono al vero. Canaletto si diverte a modificare le sue vedute, personalizzando da sé il risultato ottenuto inizialmente con l’ausilio della potente camera ottica. Ecco la differenza con il suo illustre predecessore: Carlevarijs, inizialmente riconosciuto tra i pochi pittori locali di paesaggio in mezzo ai tanti stranieri dediti allo stesso genere attivi contemporaneamente a Venezia, sapiente maestro nell’uso della camera ottica e dotato di un’estrema precisione nella realizzazione degli scorci cittadini, vero padre del vedutismo veneziano con la famosa raccolta d’incisioni Fabriche, e vedute di Venetia, disegnate, poste in prospettiva et intagliate (1703) e specializzato nella rappresentazione degli ingressi solenni di personaggi di spicco a Palazzo Ducale.

Canaletto prende il posto del friulano Carlevarijs dimostrando un’abilità esecutiva e una freschezza di stile in grado (almeno inizialmente) di sostenere anche i momenti di crisi dovuti all’eccessivo lavoro. Anche nel corso degli anni ’30 del Settecento, durante i quali Joseph Smith lo riempie di commissioni, Canaletto non smette di produrre opere di qualità.

Nello stesso decennio (1737), Francesco Algarotti pubblica il Newtonianismo per le dame: spunti di riflessione sulla luce e i colori, introducendo così nell’ambiente culturale le novità derivanti dalle scoperte di Newton. La rappresentazione delle bellezze architettoniche di Venezia conosce, come si è ricordato, anche una diffusione attraverso la stampa. Anche in quel caso, il “Grand Tour” la fa da protagonista: le stampe degli scorci urbani della città lagunare, come evidenziato nel catalogo, giungono all’estero sia come ricordi di viaggio che come “cataloghi” utili alla commissione di specifiche vedute ad artisti del calibro di Canaletto.

Da segnalare la presenza di alcune interessanti sculture: tra queste, una delle celebri Velate del Corradini, un autore che si distingue per la sua fama locale e internazionale (in particolare, le sue opere risaltano nel contesto della commissione da parte dello zar di Russia Pietro il Grande). Se la scultura si dimostra ancora una volta funzionale anche all’architettura degli edifici sparsi lungo il territorio della Serenissima Repubblica Veneta, la produzione degli oggetti di lusso con l’ausilio della porcellana contribuisce a rendere preziosi gli abbellimenti conservati all’interno dei palazzi del patriziato veneziano. In tal senso, è determinante la presenza in città della manifattura Vezzi, che però rimane attiva per poco tempo (pochi e preziosi sono gli oggetti prodotti all’epoca e conservati fino ad oggi).

Infine, come ulteriore contributo per la descrizione di quest’epoca d’oro, vanno ricordati i dipinti “di genere” realizzati da Pietro Longhi ed esposti in mostra: tra questi risalta Il rinoceronte, come esempio degli episodi di vita patrizia immortalati dal pittore. Suo figlio Alessandro, ricordato a sua volta nel contesto dell’esposizione, si discosta invece dal padre divenendo uno dei maggiori ritrattisti della sua epoca. Merita di essere ricordato perché, come evidenziato nel saggio di D’Anza, i suoi ritratti “contestualizzati” costituiscono la risposta alla precedente dimensione intima/immediata dei pastelli di Rosalba Carriera. Per concludere, si può dire che la mostra (aperta al pubblico fino al 9 giugno) è una scommessa vinta: adeguatamente suddivisa allo scopo di guidare il visitatore attraverso la complessità dell’epoca analizzata, ricca nella scelta delle opere e corredata da un eccellente catalogo. Da visitare!