CINEMA: BELLO E PERDUTO

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Tre film di recente uscita

di Gianfranco Sodomaco

 

 

Non sono un appassionato del cinema americano ma per parlare di Steven Spielberg varrebbe la pena ricordare qualcuno dei trenta film che ha girato fino ad oggi, da Duel (1971) a Ponte delle spie, il film di cui parleremo. Non tanto perché è un maestro del cinema, ma perché, da grande professionista, ha scritto a suo modo, giocando più sulla varietà di contenuti e generi che sulla profondità, una sua storia del cinema americano contemporaneo. E c’è un valore fondamentale alla base del suo cinema, cui egli è stato sempre fedele: quello della democrazia costituzionale americana che tutela i diritti dell’individuo. Nel suo film precedente, Lincoln, il presidente americano fa ‘carte false’ con democratici e repubblicani pur di difendere l’emendamento che abolisce la schiavitù.

In questo Ponte delle spie, il messaggio è sempre lo stesso: durante la ‘guerra fredda, anche una spia sovietica che rischia la sedia elettrica ha diritto a una difesa giudiziaria integrale, al di là di ogni considerazione politico-ideologica. La storia narra un fatto realmente accaduto che Spielberg ha voluto sceneggiare, credo per ‘alleggerire’, con i fratelli Cohen (famosi per Il grande Lebowsky, Non è un paese per vecchi ecc.). Vediamo. Brooklyn, 1957, viene arrestato, per spionaggio, il pittore Rudolf Abel (Matk Rylance) e l’avvocato che lo difenderà è James Donovan (Tom Hanks). Lo scrupolo con cui Donovan accetta l’incarico infastidisce la pubblica opinione e addirittura la sua famiglia. Ma Donovan va avanti: è fatto così, crede che quella potrebbe diventare una lezione anche per i suoi figli. Quando, nello stesso periodo, un aereo spia americano viene abbattuto dai sovietici e il tenente Powers viene fatto prigioniero, Donovan capisce, avendo tutti contro, a partire dai giudici, che la soluzione del problema è quella: fare uno scambio tra i due prigionieri e quando la Cia, l”Intelligence’ americana, si dimostra favorevole e incarica lo stesso Donovan di gestire, in forma privata, il negoziato con l’autorità sovietica, l’uomo parte con decisione. Perché? Non solo per la sua concezione della giustizia (nessuno deve morire) ma anche perché sta cominciando a conoscere Abel, la spia sovietica, e tra loro due nasce quasi un rapporto di amicizia: anche Abel ha famiglia, ha fatto la spia per bisogno, la cosa che gli interessa di più è la pittura. E qui inizia la parte più bella del film: Donovan va a Berlino Est (una Berlino Est ancora segnata dalle macerie della guerra) per trattare, non solo con i russi, ma anche con i tedeschi che hanno l’incarico di fare da mediatori. È impresa tutt’altro che facile. Anche perché Donovan scopre che a Berlino è stato arrestato ingiustamente un giovane studente americano e s’incaponisce a far entrare nella trattativa anche il ragazzo (e non dimentichiamo che la storia è tutta vera). Il ragazzo è stato bloccato mentre. con la sua fidanzata, cercava di oltrepassare i primi mattoni del muro di Berlino: sì, perché quello è il momento in cui avviene il fatto, non solo simbolico, più liberticida di tutta la ‘guerra fredda’ e Spielberg qui, al centro del film, dà il suo meglio: fa ricostruire mattone per mattone quel muro e fa vedere gli innumerevoli tentativi che la popolazione mette in atto per fuggire nella zona occidentale della città. E qui lo spettatore, finalmente respira e tocca con mano, come se fosse ieri, la drammaticità sociale, di massa, di un periodo storico che è durato, come minimo, quarant’anni. Poi il film si perde un po’ dietro alle trattative, complicate e lunghissime, per decidere le modalità dell’ accordo (anche perché la Germania dell’ Est, ancora in attesa di un aiuto concreto da parte della Russia per la sua ricostruzione, è ‘arrabbiata’) e finalmente arriviamo al ponte sospeso sul lago di Wannsee, a Postdam, a poca distanza dalla villa dove nel 1943 i nazisti si erano riuniti per organizzare la Soluzione Finale, lo sterminio degli ebrei, l’Olocausto. Qui, dopo un tira e molla pazzesco, finalmente si arriva allo scambio e Abel, il pittore, passa il confine solo quando è sicuro che anche il ragazzo, assieme al pilota, è stato rilasciato: è un gesto di riconoscenza che Abel deve a Donovan, a quell’avvocato fuori dal giro dell’apparato giudiziario americano che, di fatto, gli ha salvato la vita. E questi sono i film che piacciono a Spielberg, dove c’è sempre spazio per un lieto fine e dove gli americani, o bene o male, fanno la loro bella sporca figura. Donovan, quando rientra in patria, riconosciuto dalla gente, avrà il suo momento di gloria, si guadagnerà il sorriso della ‘casalinga che qualche mese prima lo aveva guardato, nell’autobus, in cagnesco: e qui, c’è poco da fare, c’è lo zampino dei fratelli Cohen.

Il cinema al cinema. Un cameo doveroso per Life, per il ricordo che il regista olandese Anton Corbijn ha voluto dedicare a un mito (indimenticabile) del cinema americano: James Dean. Il giovane attore riuscì a girare, tra il 1951 e il 1955, cinque film, di cui tre diventati dei ‘classici’: La valle dell’Eden (1955), Gioventù bruciata (1955) e Il Gigante (1956, postumo). Il 24 settembre 1955 Dean morì in un incidente automobilistico. Il film racconta, con toni pacati ai limiti della malinconia, la storia vera dell’amicizia, difficile, tra James (interpretato dall’attore/sosia Robert Pattinson) e il fotografo Dennis Stock: James sta già diventando una star e Dennis vorrebbe sfruttare il fatto per fare dei servizi fotografici su di lui per poi pubblicarli sulla famosa rivista Life (da qui il titolo?). Ma, in realtà, ciò che ne esce è la difficoltà di vivere di entrambi, in particolare di James che ha avuto un’infanzia difficile: persa la madre, ebbe un difficile rapporto col padre e non riuscì a staccarsi dalla sua terra, lo Stato dell’Indiana. Insomma: il destino di questa meteora, di questo grande attore, è già segnato, gli piace il suo lavoro ma non fino al punto da ‘elaborare il lutto’ e anche il rapporto amoroso con Pier Angeli (l’attrice italiana Anna Maria Pierangeli), appena accennato dal film, non gli sarà d’aiuto quando l’attrice preferirà accompagnarsi col cantante Vic Damone. L’incidente automobilistico con la sua Porsche non sarà che il coronamento di una vita travagliata. Bravo il regista a sintetizzare i momenti decisivi della vita (life, a questo si riferisce il titolo) di James Dean e, in definitiva, a far rivivere quel mito e anche quella stagione del cinema americano.

Cinema alternativo? Non ho capito (mi spiace per le buone critiche ricevute) perché sia tanto piaciuto un film come Bella e perduta, di Pietro Marcello: presentato anche ai festival di Locarno e Toronto. Non amo i film ‘fiabeschi’, dove le maschere, ad esempio, giocano un ruolo importante, ma in questo caso… è tutto un mix! Vediamo. Pulcinella è inviato dall’aldilà(?), dalle viscere del Vesuvio(?), per salvare il giovane bufalo orfano Sarchiapone (era il nome dell’animale misterioso della mitica scenetta televisiva con Walter Chiari e Carlo Campanini, 1958) dal macello; l’animale era stato adottato dal pastore Tommaso che per anni si era occupato di ‘salvaguardare’ la reggia del Carditello (un po’ come quella di Caserta – a un certo punto finalmente vedremo normali cittadini che festeggiano i lavori di restauro della reggia) ma che, purtroppo, era morto troppo presto. Pulcinella e il giovane bufalo iniziano un viaggio (verso nord, dicono i trailer), ma a un certo punto, Pulcinella si scoccia, si leva la maschera, e affida l’animale a un altro pastore, una specie di ‘Mangiafuoco’ che (ci) fa conoscere tanti altri bufali e poi mette sul camion Sarchiapone, avviandolo dove era destinato: alla morte. Che la bestia sia il simbolo, come alcune didascalie sembrano suggerire, della ‘bella e perduta’ Natura? O forse della ‘terra dei fuochi’, della ‘bella e perduta’ Campania? Non certo, come suggerito da qualche critico, dell’Italia di oggi. Per me un mistero. Ripeto, sarà che io non capisco i giochi dell’invenzione fantastica (‘poetica’ mi pare davvero eccessivo), sarà che sono un amatore del cinema realistico ma per me il film è presuntuoso, il regista ha voluto confrontarsi con tanti generi ma il risultato è, alla fine, una bolla evanescente.