CINEMA – “L’insulto” – Un film del libanese Ziad Doueiri

L’insulto (Ziad Doueiri, Libano 2017)

di Pierpaolo De Pazzi

Valutazione 3/5

Un futile litigio tra un libanese cristiano, Toni (Adel Karam) e un profugo paleINSULTOstinese, Yasser, degenera, finendo in tribunale e sfocia in un caso nazionale, una resa dei conti tra culture diverse, in una Beirut sul punto di scoppiare.

Film a suo modo autobiografico, affonda lo sguardo su una situazione complicatissima come quella del Libano e della difficile pace che il paese ora mantiene, oscillando pericolosamente sul baratro di un passato, rispetto a cui non si riesce a voltare pagina.

Doueiri ha raccontato in un’intervista che gli è capitato di vivere un episodio molto simile a quello che innesca la dinamica processuale del film. Il regista, libanese di una famiglia di sinistra e filopalestinese, e l’operaio palestinese con cui discuteva hanno però saputo fermarsi prima di arrivare all’insulto. Il regista ha scritto la sceneggiatura immaginando cosa sarebbe potuto succedere se avessero invece superato il punto di non ritorno. Un limite che in Medio Oriente è troppo facile valicare, rischiando di riaprire conflitti che hanno origini vecchie come la storia di Caino e Abele.

Doueiri aveva girato il film precedente, The Attack, in Israele: i paesi arabi boicottano Israele e per questo quel film è stato vietato e addirittura il regista ha fatto qualche giorno di carcere in Libano. Doueiri, sposato con una libanese di famiglia cristiana falangista, ha scritto L’insulto anche in risposta a questo boicottaggio.

Per il suo film Doueiri, che è stato assistente di tarantino in America, paese dove ha imparato a fare cinema (e si vede), sceglie lo schema del Legal Drama, adattissimo a rappresentare contrapposizioni, ricerche di mediazione e dilemmi etici. Lo fa con una serie di attori molto bravi, su tutti Kamel El Basha, premiato con la Coppa Volpi a Venezia.

Il limite più grosso di questo film, a mio modo di vedere, è di essere eccessivamente didascalico, un po’ troppo parlato e spiegato, mentre il cinema deve privilegiare la visione, deve trasmettere i propri contenuti emotivi soprattutto mostrando. Qui lo spettatore finisce per sentirsi a scuola, indottrinato con un sussidiario sul Libano.

Per situazioni come questa, ci dice Doueiri, non ci sono soluzioni facili, i popoli non chiedono scusa, l’ONU non è un tribunale delle nazioni e tutti hanno i loro gravi torti. Ci vorrebbe una nebbia magica che doni l’oblio, e con esso la pace, a tutti quelli che sono in conflitto. Come l’alito del Drago descritto ne Il gigante sepolto del nobel Kazuo Ishiguro.