Confini, incroci, scritture

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Una raccolta di saggi di Alberto Brambilla

Graziadio Isaia Ascoli, Alberto Michelstaedter, Italo Svevo, Scipio Slataper, Silvio Benco, Umberto Saba, Giani Stuparich, ma anche Dino Buzzati

di Lorenzo Tommasini

 

 

Per cominciare ad avvicinare il volume che raccoglie le ultime fatiche critiche di Alberto Brambilla, studioso che si è già occupato della cultura giuliana con vari contributi tra cui spiccano quelli su Ascoli e sui rapporti tra letteratura e irredentismo, è utile partire da alcune considerazioni sul titolo che già possono fornirci le prime indicazioni per inquadrare i temi e i criteri interpretativi adottati.

Il titolo recita: Confini, incroci, scritture. Viene dunque proposto un trittico che anticipa la pluralità di argomenti e metodi che troveremo poi. Il primo termine ci proietta subito in una dimensione particolarmente connotata e insieme particolarmente sfuggente e viene declinato al plurale non perché i confini di cui si occupa il libro siano più d’uno – si tratta sempre del confine orientale d’Italia e delle sue vicende –, ma perché questo confine viene analizzato da diversi punti di vista sottolineandone la molteplice possibilità di concezione: politico, geografico, linguistico, storico, antropologico, letterario. Tutto ciò consente gli “incroci” promessi dal secondo momento del titolo che infatti sta ad indicare un libro la cui cifra è data da una varietà di approcci e d’argomenti che invitano a una lettura trasversale, capace di cogliere alcuni fili tematici che, appunto incrociandosi, si dipanano in più capitoli, garantendo una certa unità al volume e permettendo di leggere le parti sia singolarmente che nel loro insieme. A questo proposito va detto che i vari capitoli sono quasi tutti frutto della rielaborazione di precedenti contributi già pubblicati autonomamente, in cui è possibile però cogliere alcuni elementi comuni. Il terzo momento del trittico, le “scritture”, sta invece ad indicare l’oggetto principale degli studi qui raccolti che si concentrano tutti (o quasi) su dei testi scritti.

Una breve nota anche sul sottotitolo: Studi sulla cultura giuliana. Termine d’obbligo in un volume dedicato in molta parte ad Ascoli, l’aggettivo “giuliana” in questo caso appare particolarmente appropriato perché contiene in sé la proposta di un’identità più ampia, complessa e composita di quanto potrebbero fare altri termini a questo in genere considerati affini.

Entriamo ora all’interno del volume. La prima cosa da rilevare a livello strutturale è che è diviso in due parti. La prima, intitolata Scienza, politica e impegno sociale, è dedicata quasi interamente ad Ascoli. Il saggio iniziale, G. Isaia Ascoli, Gorizia e il 1848 – partendo da una descrizione della Gorizia di metà Ottocento, quel «mirabile crogiolo di lingue e culture diverse, coesistenti all’interno di un’armonia sociale comunque garantita dall’Impero» (p. 19) che davanti al sollevamento popolare che sconvolgeva l’Europa nel ’48 rimane piuttosto tranquilla – cerca di approfondire la posizione del giovanissimo Ascoli di fronte alle questioni nazionali che si stavano affermando nel più ampio quadro delle prese di posizione e delle dispute ideologiche degli intellettuali isontini. Ascoli sembra inizialmente auspicare in alcuni appunti di diario il passaggio di Gorizia all’Italia, anche se poi preferisce assumere pubblicamente una posizione più moderata nell’opuscolo Gorizia italiana, tollerante, concorde, in cui si sostiene che «il popolo goriziano è di nazione italiana, ma a causa dell’atteggiamento oppressivo [dell’entità statale di cui fa parte] non ha mai decisamente optato per la nazionalità all’interno dell’Impero» (p. 29). In questo senso Ascoli guardava con favore alle riforme ventilate a Vienna che avrebbero permesso finalmente a Gorizia di godere appieno della propria identità culturale all’interno della compagine austriaca. Il 1848, sottolinea quindi Brambilla, segna un momento importante di svolta nella riflessione ascoliana e nel modo di approcciarsi di Ascoli a tali temi, all’epoca decisamente scottanti.

A questo primo saggio si legano bene, proseguendone in qualche maniera il discorso, il capitolo intitolato Ricerca scientifica e passione politica. Appunti sull’“Archivio storico per Trieste, l’Istria e il Trentino”, che traccia un profilo della rivista fondata da Salomone Morpurgo, Albino Zenatti e Giuseppe Picciòla tesa allo studio delle lingue e della cultura delle cosiddette terre irredente per dimostrarne l’italianità, e il capitolo intitolato Ascoli e l’“Archivio storico per Trieste, l’Istria e il Trentino”. Ipotesi su un incontro mancato, che approfondisce i motivi del «progressivo disimpegno» (p. 100) dell’Ascoli il quale poneva sempre le ragioni della scienza sopra l’opportunità suggerita delle contingenze politiche venendo ad intrattenere un rapporto «complesso» e finanche «ambiguo» (p. 102) con i movimenti irredentistici. Si smentiscono così coloro che, nel corso del tempo, hanno voluto ascrivere Ascoli tra i patrioti italiani fino ad attribuirgli una decisa «volontà secessionista» (p. 32).

L’“Archivio storico” torna poi alla fine della prima parte in Identità e organizzazione della ricerca. Una nota trentina con ulteriori approfondimenti che contribuiscono a mostrare il rigore filologico e documentario del lavoro di Brambilla.

In mezzo a questi troviamo altri due capitoli, che ricostruiscono alcuni momenti della vita di Ascoli e alcuni aspetti della sua figura intellettuale, intitolati rispettivamente Ascoli e la Venezia Giulia. Nuove testimonianze sulla fortuna di una definizione e Ascoli e l’Accademia scientifico-letteraria: appunti per un bilancio. Questo secondo scritto è importante per capire l’atteggiamento del glottologo goriziano che giunge a Milano affamato di riconoscimenti e cerca di affermarsi con un consapevole «progetto di occupazione totale della scena italiana, e dunque milanese» (p. 61). Chiaro che nel perseguire questa sua intenzione, in un percorso che Brambilla ricostruisce efficacemente, pur in parte riuscendoci si faccia vari e non ininfluenti nemici, fino ad essere coinvolto in una serie di beghe che lo inducono a lasciare il ruolo di Preside dell’Accademia. L’altro saggio invece si concentra sulla formula “Venezia Giulia”, parte di quell’insieme definito come le “Tre Venezie” (cioè la Venezia propria, la Venezia tridentina e, appunto, la Venezia Giulia) coniato da Ascoli per «dare un nome sintetico e insieme preciso “alle contrade dell’Italia settentrionale che sono al di là dei confini amministrativi della Venezia”» (p. 43). La questione aveva importanti risvolti politici perché legava alla lingua e alla cultura italiana una serie di territori appartenenti all’Austria, legittimando in qualche modo le rivendicazioni italiane su di esse e costituendo un altro fondamentale tassello di quel rapporto tra Ascoli e i movimenti irredentistici a cui abbiamo appena accennato.

La seconda parte del libro è intitolata Testi, letture, interpretazioni e si compone di otto saggi. Il primo è dedicato ad Alberto Michelstaedter, padre del più noto Carlo, e tratta della conferenza La menzogna tenuta a Trieste nel 1894 e pubblicata in volume poco dopo. Secondo Alberto la menzogna sarebbe consustanziale allo sviluppo umano, poiché il «passaggio da uno stato prettamente naturale […] ad uno […] “culturale”, implica un atteggiamento difensivo di ipocrisia» (p. 118) che pervade necessariamente qualsiasi aspetto della società. Il testo è utile per delineare la personalità intellettuale di Alberto, ma ovviamente assume un interesse ancora maggiore se messo in rapporto con l’idea di “rettorica” e quella della società come “comunella dei malvagi” sviluppate da Carlo, che non poteva non avere cognizione di questo scritto. La tesi di Brambilla infatti è che la Persuasione e la rettorica costituisca una sorta di risposta al testo del padre.

Seguono poi un saggio su Svevo e uno su Slataper. Nel primo si analizza Una vita individuandovi quel «germe pericoloso, ma insieme irresistibile, dell’anti-romanzo» (p. 157) che, quasi in un processo dialettico di opposizione e superamento, porta Svevo dalla forma naturalistica ottocentesca del primo libro a quella moderna e problematica della Coscienza di Zeno. Nel secondo invece si propone, a momenti con tratti paradossali e provocatori, una interpretazione del Mio Carso alla luce del testo biblico che, secondo l’ipotesi che viene avanzata, fornirebbe più di uno spunto letterario ed esistenziale a Slataper.

Il capitolo successivo, Silvio Benco e Vittorio Betteloni (con un’ipotesi su Umberto Saba), analizza la prefazione che Benco dedica ad un’antologia di poesie del Betteloni, poeta veronese della seconda metà dell’Ottocento «colto e difficile da interpretare nonostante l’apparente superficialità» (p. 173), il cui interesse per la cultura giuliana è dato soprattutto dalla probabile influenza che ebbe su Saba dal punto di vista stilistico e per la sua posizione anti-dannunziana. Brambilla descrive il triangolo Saba-Betteloni-Benco come un «fruttuoso rapporto» (p. 174), indicando in esso una delle possibili strade che la critica potrà utilmente approfondire.

Segue un dittico dedicato allo sport e alla “filologia sportiva”, con un saggio sulle Cinque poesie per il gioco del calcio di Saba – che ricostruisce, in maniera magistrale ma senza rinunciare a un pizzico di confessata ironia, le vicende reali che potrebbero aver ispirato la serie di liriche – ed uno sulla cronaca della tappa triestina del Giro d’Italia che nel 1949 Dino Buzzati scrive per il «Corriere della Sera». Brambilla parla in quest’ultimo caso di una «Santa alleanza fra sport e politica» (p. 187) perché il Giro toccava dei territori all’epoca ancora contesi con effetti non neutrali nell’immaginario collettivo. Partendo da queste osservazioni viene analizzato il racconto Trieste nel quale, in un’atmosfera fortemente allegorica, Buzzati descrive il rapporto tra l’Italia e il capoluogo giuliano nel tentativo di «spezzare il clima di indecisione e ipocrisia che si respirava in quei giorni pieni di angoscia» (p. 200).

Gli ultimi due capitoli sono dedicati ai Ricordi istriani di Giani Stuparich. Il primo ricostruisce la storia editoriale dell’opera con utili chiarimenti sul progetto originario, quasi subito “snaturato” dalla fortuna che ebbe l’antologia Il ritorno del padre curata da Quarantotti Gambini che orientò in maniera significativa la ricezione. Il secondo si concentra sulla complessa stratificazione del progetto che aveva animato la composizione dei Ricordi, testo di formazione, storico, elegiaco, autobiografico che disegna una storia e una geografia tutta personale, ma che ha l’ambizione di farsi memoria collettiva e «pubblico testamento» (p. 220).

In questo senso la conclusione del volume si lega bene con l’inizio di un saggio ascoliano compreso nella prima parte dove Brambilla tenta esplicitamente una giustificazione dell’operazione compiuta col suo lavoro. Scrive infatti:

 

Se è vero che ogni tentativo di dare soluzione a qualsivoglia problema è alimentato da domande ed esigenze che muovono dal presente, parlare oggi del glottologo e ancor di più dell’intellettuale Graziadio Isaia Ascoli, significa calarci nella più stretta attualità; e insieme tentare di individuare le linee fondamentali di una lunga e grave questione, ormai ben radicata nel tempo anche se in continua evoluzione. (p. 39)

 

Cioè, specifichiamo noi, la questione della frontiera e dell’identità (linguistico-culturale) di frontiera. In questo passo si parla di Ascoli, ma una considerazione analoga potrebbe senza problemi essere estesa anche agli altri saggi.

Il libro di Brambilla consegna dunque al lettore, contemporaneamente, una variegata indagine storica e una proposta di riflessione sul presente, approfondendo gli avvenimenti che l’hanno determinato e le diverse interpretazioni che questi hanno generato: si tratta di un utile invito ad una riscoperta e ad una rinnovata presa di coscienza della complessità del reale che ci circonda e in cui siamo immersi.

 

 

Copertina:

 

Alberto Brambilla

Confini, incroci, scritture

Studi sulla cultura giuliana

EUT, Trieste 2017

  1. 230, euro 18,00

disponibile gratuitamente

in formato elettronico

sul sito dell’editore