CUORE DI PIETRA: NARRARE IL VINO

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Incontro con l’autore e sommelier Federico Alessio

di Cosima Grisancich

 

Di tanto in tanto è bello farsi un regalo e una volta comperato è ancora più bello avere il tempo per goderselo. Per le feste natalizie mi sono regalata un libro, intitolato Cuore di pietra, che sono riuscita a leggere appena un mese fa. Racconta di un viaggio nella realtà vinicola triestina illustrata dai suoi interpreti più significativi: i produttori. La scelta delle aziende è stata dettata dai gusti personali dell’autore, Federico Alessio, che ha voluto garantire un campione significativo del panorama vitivinicolo del Carso triestino. Qualcuno di primo acchito potrebbe pensare a questo libro come a una puntigliosa guida di indirizzi o a un’enciclopedia di aziende vitivinicole, posso assicurarvi che non è affatto così: io ne sono rimasta entusiasta, ha una valida impostazione ed è scritto con uno stile sincero e informale. L’autore, diplomato sommelier Ais (Associazione Italiana Sommelier), l’ho conosciuto a una degustazione, ed è nato fra noi fin da subito un buon feeling (di amicizia naturalmente), talvolta ci siamo scritti per aggiornarci sui nostri progetti degustativi (anche io sto frequentando il corso di sommelier e spero di conseguire il diploma entro maggio di quest’anno). Durante la stesura del libro mi aveva invitata ad assistere a un’intervista di un produttore e questo mi ha molto lusingata. È arrivato il momento di ricambiare, l’intervista che leggerete di seguito sarà molto informale, non solo perché io e Federico già ci conosciamo da un po’, ma soprattutto perché tra sommelier e anche tra sommelier e aspiranti sommelier ci si dà del tu. (Nel libro troverete un episodio divertente a tal proposito, raccontato da Adriano Bellini, sommelier Ais e figura di riferimento nell’ambito della cultura enologica triestina e regionale).

Dove potevano incontrarsi due amanti del vino se non in un piccolo e accogliente wine bar? Ordiniamo due bicchieri di vitovska e dopo qualche chiacchiera inizio a “vinisezionarlo”.

Il libro è uscito da quasi due mesi, come procedono le vendite?

Toccando ferro procedono bene, l’editore (Hammerle) lo sta proponendo in molte librerie, enoteche e winebar. Ho riscontrato molti apprezzamenti, tanto che stiamo pensando di fare una seconda edizione, speriamo prima dell’estate, magari ampliata. Tanti hanno chiesto, specialmente i produttori, un’edizione in tedesco per il mercato estero. Inoltre è in programma una presentazione alla Lovat tra febbraio e marzo.

Nel libro hai suddiviso il territorio in tre zone: perché questa scelta?

Ho volutamente fatto una distinzione nel libro, tra le zone, gli stili di vinificazione e gli uomini. I carsolini sono sulla breccia con gli Orange Wine che sono ottimi prodotti ma non so quanto dureranno perché temo sia una questione di mode (da parte dei consumatori) e poi come uomini sono chiusi e introversi, invece sul costone davanti al mare e nella zona del Breg trovi delle persone magari più aperte e simpatiche, ma i loro vini hanno un’impronta più rustica, la “beva” è semplice e appagante, ma sono vini che reggono difficilmente il confronto del vicino Collio e del Friuli.

Ci sono delle eccezioni però, penso al produttore del Breg, Rado Kocjančič.

Sì, è una persona ruvida, un po’rigida ma anche molto generosa, che fa dei vini molto buoni e selezioni ottime, come la Brezanka 2011, un uvaggio molto strutturato in cui vinifica tutte le uve bianche con una perizia enologica notevole e in maniera moderna. Ora sta per uscire l’annata 2013, ancora più piacevole perché più “beverina”, purtroppo è un vino che vende con molta difficoltà e non viene amato perché troppo complesso per consumatori dalla “beva più facile”.

Quale vino rispecchia di più il suo produttore?

Posso farti l’esempio tra Zidarich, che potremmo definirlo la Ragione, infatti i suoi vini sono buoni, puliti e celebrali, ma manca un po’ di emozione e Škerk che rappresenta il Sentimento: vini meno puliti e perfetti ma di gran passione.

Dopo questo libro il tuo rapporto con il vino è cambiato?

Sicuramente, ma a prescindere da questo libro io credo nel metodo di assaggio; ti spiego: mesi fa volevo capire i merlot, e ho assaggiato per due settimane solo merlot, ne avrò bevuti 60-70, poi sono passato ai friulano, alle malvasia, ai cabernet sauvignon… se un anno fa mi avresti chiesto ad esempio un’opinione sul cabernet sauvignon avrei detto che l’adoravo, adesso lo descriverei come quei bei ragazzi palestrati dalla testa vuota, perché vinificato da solo, in purezza, è potente ma non ha finezza, deve sempre esser accompagnato in uvaggio da un cabernet franc o da un merlot.

Vedo – gli dico sorridendo – che proprio non riesci a fare a meno di dare una descrizione antropomorfa dei vini.

Mi piace dare vita alle cose, nel libro chiedo spesso ai produttori che tipo di donna potrebbe rappresentare i loro vini. In un libro devi cercare di non essere monocorde, io scrivo così perché mi piace e perché penso che chi lo legge, deve appassionarsi. Volevo rimanere sempre un po’sullo sfondo, per far emergere i produttori, descriverli in modo genuino con pregi e difetti, obiettivo non sempre facilmente raggiungibile, poiché alcuni sono molto schivi e restii, ma devo dire che aver fatto per anni il venditore mi ha aiutato parecchio, così ho cercato di coinvolgerli, trasmettendo la mia sincerità. E ho avuto anche delle sorprese…

Ad esempio?

Zidarich, nonostante una prima impressione distaccata e quasi disinteressata dopo solo quindici minuti ha cambiato totalmente atteggiamento, parlandoci si capisce che prima dei suoi vini lui ama il Carso. Ho scoperto un Benjamin Zidarich diverso, adesso comprendo perché è tanto amato dai colleghi!

Se tu fossi produttore che vino ti piacerebbe produrre e quali i tuoi modelli di riferimento?

Per un vino bianco punterei sull’eleganza e prenderei come riferimento Kante, ma anche Zidarich per la pulizia e finezza, oppure seguirei le orme di due produttori come Lupinc e Bole, che creano vini con anima e nervo. Per i rossi, invece, dobbiamo spostarci in Toscana o Piemonte. La vera differenza la fanno la complessità e l’eleganza, il grande vino deve farti scoprire e suggerire qualcosa di diverso in ogni bicchiere che degusti.

Come vitigno a bacca bianca del territorio so che apprezzi di più la vitovska.

Sì, ho trovato delle analogie anche con la Passerina del Frusinate e con la Falangina del Sannio, vitigni con i quali si producono vini molto secchi, minerali, floreali. Devo dire che ultimamente ho riscoperto la malvasia.

Non hai pensato di proporre degli abbinamenti con i vini che hai degustato? Nella Carso Top Class proponi un solo abbinamento con la Brezanka 2011 di Rado Kocjančič.

L’abbinamento è una cosa molto personale, ci sono delle leggi, ma quando fai degustazione per appassionati e non per addetti ai lavori (i sommelier) le difficoltà aumentano in modo spropositato, anche un grande personaggio come Andrea Scanzi non parla mai di abbinamento. Secondo me l’importante è proporre vini che facciano pensare, riflettere, emozionare; come organizzatore di degustazioni e quindi comunicatore, importante è non proporre mai soluzioni o scelte banali, far provare sensazioni alle quali normalmente non si accede e dare un input iniziale e basta.

Progetti per il futuro? Nel libro hai citato alcuni produttori della vicina Istria, come Trapan, Clai, Roxanic, non è che c’è il progetto di un nuovo libro?

Assolutamente sì, sarebbe bello approfondire il discorso sul confronto con queste realtà: l’Istria croata e quella slovena sono diversissime, dal punto di vista dei vini e anche del marketing: Trapan è l’azienda croata più aggressiva sul mercato, vende molto negli Stati Uniti e in Giappone, lavorano tanto con vitigni internazionali e pratiche enologiche molto moderne.

Terminata l’intervista scopro che è la prima volta che Federico viene intervistato e gli confesso che è la prima intervista anche per me, incuriosita gli chiedo se fosse emozionato.”Non sono queste le cose che mi turbano. Invece, son certi vini ancora a emozionarmi.