Dai pittori un omaggio a Grisancich

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‘Quattro pittori per un poeta’ con opere Patrizia Bagarella, Paolo Cervi Kervischer, Claudia Cervo e Franco Vecchiet

Una mostra in onore di Claudio Grisancich per i suoi ottant’anni

di Stefano Crisafulli

 

Pittura e poesia. I due mondi si sono felicemente incontrati allo spazio Trart di viale XX settembre sabato 14 dicembre, a cura di Federica Luser, per festeggiare gli ottant’anni del poeta triestino Claudio Grisancich. I ‘Quattro pittori per un poeta’ (questo il titolo dato all’avvenimento) rispondono ai nomi di Paolo Cervi Kervischer, Patrizia Bagarella, Claudia Cervo e Franco Vecchiet: ognuno di essi, con il proprio stile, ha dedicato una serie di opere alla figura e alla poesia di Grisancich, disseminando le sale, che si potranno visitare sino al 25/1/2020 (orario: da martedì a sabato, 18-20). Nella serata d’apertura della kermesse erano presenti i pittori stessi, che hanno interagito con i visitatori, creando un prezioso cortocircuito, e, naturalmente, Claudio Grisancich, che ha letto alcune delle sue poesie a coronamento dell’iniziativa.

Il vagabondaggio tra le opere può iniziare dall’ultima stanza, quella di Paolo Cervi Kervischer. Qui si trova subito l’impronta stilistica dell’artista, con un paio di quadri di media grandezza, due tele molto grandi (una delle quali, ispirata da Giotti, a tutta parete) e due più piccole (tra queste spicca il ritratto del poeta). Nelle due opere di medie dimensioni, (ri)troviamo un elemento caratteristico della produzione di Paolo Cervi Kervischer: l’ombra. O meglio: le ombre. Vale a dire un gruppo di nere silhouettes che si distribuiscono in ordine sparso su campiture di colore: bianche, quasi argentee, ma anche gialle o rosse. Stanno raggruppate in eterni conciliaboli, forse in una piazza, ma con l’impressione, mai venuta meno, che ci guardino e ci riguardino. Come provenienti da un altrove, anzi, co-presenti nella nostra stessa dimensione. O forse siamo noi quelle ombre indifferenziate, ma anche separate le une dalle altre, come in una delle opere più grandi, quella dedicata alla poesia di Grisancich Inventario, che incedono verso un al di là della tela o si ergono a mute testimoni di un presente desertificato. Eppure c’è una luce che proviene da dietro le ombre.

Il vagare si sofferma, ora, sulle opere di Patrizia Bigarella, pittrice padovana, ma da molti anni stabilitasi a Trieste, che si lascia ispirare da alcune poesie della raccolta Conchiglie, come Noi (Me piasessi fossimo/aqua/ti mar e mi fiume) e Bora (Ti/te ga un zigo che spaura/che ga ‘l mio mistero…). I suoi quadri sembrano rocce dense attraversate da placidi torrenti, cartografie ancestrali di mondi paralleli, ma anche paesaggi drammatici, come nella tela più grande qui esposta, che evoca montagne innevate o ripiene di lava, incandescenti come la vita, eppure quasi immobili, ieratiche. Sparsi tra le pagine di un libro o sulle opere vi sono, poi, gli animali (gatti, cani…), tracce biografiche consuete della pittrice, come lei stessa ci racconta. Ed è così che un gatto appare su cime biancastre e forme di colori a olio stratificate. Ma colpiscono soprattutto quelle macchie di arancione che illuminano, dal basso, masse rocciose scure e permettono l’apertura di una finestra per far entrare l’aria.

C’è molta ironia nelle installazioni murali di Franco Vecchiet: ad esempio, un chiodo non è conficcato nel muro, ma solo incorporato, per dare una direzione, forse, dal quadro tradizionale all’oggetto misterioso fatto con fili di ferro intrecciati (quasi un punto di domanda o, ancora meglio, un Odradek kafkiano), alla sfera di gommapiuma messa tra parentesi assieme a un grumo di materia, per poi ritornare alla forma-quadro. Ma c’è anche una malinconia sottile, autunnale, come quella foglia rossa che pare isolata sul muro bianco, ma è invece il terminale di un altro percorso, fatto da due quadri ad angolo, altri tre più piccoli, un filo ritorto, una foglia.

Di tutt’altro genere le opere di Claudia Cervo. Lo stile si fa più rarefatto e l’atmosfera è più orientale, già dalla carta velina utilizzata dall’artista per i suoi quadri, composti da tonalità di grigio, bianco e nero. Eppure di notevole forza espressiva, soprattutto le grandi onde di piena che si stagliano sul biancore o i fiumi di lava abbacinante su sfondo nero. Giochi di luce e ombra che si offrono allo sguardo con eleganza formale e allo stesso tempo con sembianze informali. Su un tavolino, un quaderno aperto, con le parole di Grisancich: ‘Un diol eterno scrivo/ e speto l’onda che ribalta dolze’.