Dal confine al confino

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Testimonianze lucane su Lojze Spacal

di Nicola Coccia

 

Ad Accettura, paese di 1800 abitanti in provincia di Matera, c’è ancora chi si ricorda di Lojze Spacal, il confinato politico triestino che dipingeva bare da morto. “Ero piccolo, ma lo rammento bene”, racconta Antonio Defina, 95 anni, passo da giovanotto e memoria di ferro. “Spacal ha lavorato in questa falegnameria che apparteneva alla mia famiglia dall’800. Lui e mio padre, Rocco, sembravano fratelli. Erano nati il medesimo giorno dello stesso mese, il 15 giugno. Mio padre era del 1895 e Spacal del 1907. Dodici anni di differenza. La prima guerra mondiale li aveva segnati tutti e due. Mio padre venne arruolato il 24 maggio. Il 13 giugno, due giorni prima dei suoi vent’anni, una scheggia lo ferì alla testa. Tornò a casa con molte medaglie, appuntate sul petto. Riprese a lavorare in questa falegnameria. Il padre di Spacal, Andrea, cavatore, di Kostanjevica, in Slovenia, morì combattendo durante il primo conflitto mondiale. Lojze, o Luigi come lo chiamavamo qui, rimase orfano e a sette anni dovette lasciare la scuola per aiutare la mamma, Maria, che per sbarcare il lunario faceva la lavandaia. Trovò lavoro, guarda caso, in una falegnameria e poi come disegnatore all’Arsenale di Trieste. Mi ricordo tutto perché di Spacal ho tenuto le sue foto e un suo disegno che ho attaccato al muro della mia falegnameria per anni”.

Lojze Spacal venne spedito al confino dal fascismo. Fu sospettato di aver partecipato il 10 febbraio 1930 all’attentato al giornale fascista Il popolo di Trieste nel quale morì una persona e altre tre rimasero ferite. Le indagini portarono all’arresto di decine di persone che si richiamavano alla organizzazione rivoluzionaria TIGR, acronimo sloveno di Trieste, Istria, Gorizia Fiume, che lottava contro la snazionalizzazione di sloveni e croati, voluta dal duce. Lojze venne catturato vicino al confine svizzero. Il dibattimento, passato alla storia come Primo processo di Trieste, si svolse velocissimamente, dal primo al 5 settembre. In questi cinque giorni il presidente del tribunale trovò anche il tempo per sostituire il pubblico ministero che era contrario alla pena di morte. Il dibattimento prese una nuova piega. I giudici del tribunale speciale per la difesa dello Stato condannarono a morte quattro imputati. Ad altri dodici vennero inflitti 147 anni di carcere. La mattina dopo, il 6 settembre 1930, i quattro antifascisti che si erano addossate tutte le responsabilità per scagionare gli altri, vennero portati a Basovizza e fucilati. Il regime non trovò le prove per rinchiudere Spacal che venne comunque condannato al confino in Lucania, una delle regioni più povere del paese e con scarsissime vie di comunicazione.

In Basilicata il regime invierà più di duemila antifascisti. Fra questi, quattro anni dopo, anche Carlo Levi, che racconterà i giorni e i mesi di quella prigione a cielo aperto nel Cristo si è fermato a Eboli. Il viaggio per arrivare a Accettura ha raccontato Spacal a Rai Storia durò quasi tre settimane. Venne tradotto da città a città, da carcere a carcere. Prima Trieste, poi Venezia dove rimase rinchiuso due giorni. Poi l’Emilia Romagna, le Marche e infine Matera. Da Matera a Grassano percorse quaranta chilometri a dorso di mulo e ammanettato. E poi altri 35 per arrivare ai 770 metri di Accettura con le mani libere, ma in pieno inverno e con le strade ghiacciate. Ammanettato venne poi portato dai carabinieri, dal segretario del partito fascista, dal podestà e dal segretario comunale. Gli dissero che non poteva oltrepassare i confini comunali. Il centro abitato più vicino si trovava e si trova a dodici chilometri di distanza ed è Oliveto Lucano. Nel mezzo solo bosco e niente stazione ferroviaria. D’altronde neanche Matera, quest’anno capitale europea della cultura, ha una stazione ferroviaria. Era il 7 febbraio 1931.

“Quando Spacal mise piede nella nostra bottega aveva ventiquattro anni. Io sei e mio padre trentasei”, continua mastro Antonio Defina. Era uomo serio. Abitava da solo in via Fratelli Dibiase, a un centinaio di metri dalla falegnameria che si trova in via Ospizio. Questa stradina è rimasta intatta. Venne costruita a misura d’uomo e di mulo. Vicino alle porte ci sono ancora gli anelli per attaccare asini e cavalli. Accettura gli ricordava il paese dei suoi genitori. Non solo per la povertà. Ma anche per le tradizioni. Aveva una grande passione per la fotografia. Ma qui il fotografo non c’era. Arrivava una volta l’anno per la festa del patrono, San Giuliano. In quell’occasione ci si faceva anche la foto del matrimonio, che era già stato celebrato, o della prima comunione. Si fece spedire la macchina fotografica che gli aveva regalato uno zio. Si costruì un piccolo laboratorio. Scattò foto a tutto il vicinato. Di Spacal è la prima foto del Maggio di Accettura”.

Quell’immagine porta la data del 26 maggio 1931. L’annotazione sul retro dice: Hanno piantato l’albero della cuccagna però non è ancora dritto perché aspettano San Giuliano che sta arrivando con la processione”. Quell’anno il Maggio era alto trentasei metri e in cima erano state legate dodici galline, cinque conigli, dieci piccioni e dieci fra capretti e agnelli. Una vera cuccagna. Una foto storica apre oggi il nuovo Museo dei riti arborei di Accettura. è la prima scattata durante la festa e datata. Anche in Slovenia c’è l’albero del Maggio. Significa fine dell’inverno, ma anche festa di libertà. L’albero viene tagliato nel bosco e issato in ogni paese. Il Maggio di Accettura ha origini longobarde. Antichi canti e riti magici servivano per propiziare il raccolto. E questo lo si faceva durante il matrimonio fra due alberi, la Cima, l’albero donna, un agrifoglio, prelevato nella foresta di Gallipoli e il cerro, l’albero maschio. Il Maggio non deve essere mai inferiore ai 25 metri, viene tagliato nel bosco di Montepiano e trasportato da decine di coppie di buoi. Il corteo nuziale della cima è composto dai cimaioli e quello del Maggio dai maggiaioli. Lo sposalizio viene celebrato al culmine della festa che dura tre giorni. Dalla metà del 1700 questo rito pagano si è trasformato in festa religiosa, in onore del santo protettore di Accettura, San Giuliano. I contadini o i boscaioli più bravi scalano il Maggio a mani nude. Il rito richiama ad Accettura migliaia di persone, ma anche studiosi, documentaristi e fotografi. L’antropologo Giovanni Battista Bronzini l’ha definita un “Unicum a livello europeo”. Spacal l’ha fotografata per primo. Questa foto, insieme ad altre cinque del periodo del confino, è esposta al Museo di arte moderna di Lubiana.

“Durante i mesi del confino – racconta Antonio Defina – Spacal non dimenticò l’uomo che lo aveva spedito in questa terra. E d’inverno, in mezzo alla strada, in un angolo sotto casa sua, fece un pupazzo di neve col volto di Mussolini. Qualcuno corse dal segretario del fascio e dal podestà. Ma non lo diffidarono. Anzi si congratularono con lui per la somiglianza. Spacal era intelligentissimo, ingegnoso, bravo nell’intaglio e nel disegno. Questo banco da lavoro lo ha realizzato lui insieme a mio padre. Sono passati quasi novant’anni ed è solido come allora. E come allora non ce n’erano uguali ad Accettura e forse in tutta la collina materana. Spacal ha realizzato anche un tornio a pedale che montava proprio sul bancone. I pezzi sono là sotto. Funziona ancora. Lui e mio padre facevano infissi, ma anche mobili. Questo suo ingegno destò invidia e gelosia. Un altro falegname presentò un ricorso al prefetto.”

Il documento, conservato all’archivio di Stato di Matera, è stato rintracciato da Angelo Labbate, studioso di Accettura, che lo ha pubblicato in un articolo apparso nel marzo 2011 sul periodico Paese. Vi si dice che «un confinante di nome Luigi Spazzarri di Trieste, ebanista” ha aperto una bottega di falegname insieme a Rocco Defina e “ci ha tolto molto lavoro”. Spacal aveva fatto “una mobilia alla levatrice” per un costo superiore a “tremila lire”, ma anche all’ufficiale postale per un importo “di circa 2000 lire”. E ancora: “Lui lavora tutti i giorni… e io, con otto persone sulle spalle, sto pagando la ricchezza mobile dal 1918, sono senza lavoro”. Chiedeva quindi alla “S.V. di provvedere a mandarlo da qualche altra parte”. Il prefetto chiese informazioni ai carabinieri. L’Arma rispose che Spacal “non risulta faccia alcuna concorrenza al reclamante che è stato indotto a reclamare perché questi si rifiutò di lavorare nella sua bottega. Non si ritiene proporre il trasferimento del prenominato che serba regolare condotta politica e non ha dato mai luogo a rimarchi sul suo conto».

Durante il confino Spacal scoprì la sua vocazione artistica. Lo rammenta bene mastro Antonio Defina, ma lo ha raccontato lo stesso Spacal in una intervista alla tivvù di Capodistria. “Negli anni trenta i bambini morivano come mosche”, dice con tristezza Antonio Defina. “E la bara era l’unica cosa che veniva richiesta con regolarità. Troppa regolarità. La mortalità infantile era molto alta“. Un giorno si presentò in falegnameria un giovane contadino, Giuseppe. Era sconvolto per la morte della sua figlioletta di quattro anni, divorata dalla febbre per giorni e giorni. Era impacciato, ma anche imbarazzato per la sua povertà. Voleva una cassa da morto per la sua bambina. Una cassa semplice, quattro assi, perché non sapeva neanche come poterla pagare. Se ne andò a testa bassa per nascondere le lacrime. Spacal si commosse profondamente. Forse per lacrime di quel padre. Forse per l’età della figlioletta, morta a quattro anni come sua sorella. Il triestino propose a Rocco di fare una bella cassettina. I due lavorarono fino a tardi. Spacal se la portò a casa. E durante la notte si mise a dipingerla. Prima una rosa, poi un angelo. Alla fine la dipinse tutta, con fiori e angeli. “Non so nemmeno io cosa ho fatto” disse Spacal a distanza di anni “ma quella cassettina era ricchissima. E bella”. La mattina dopo vi adagiarono il corpicino della bambina morta e a mano i genitori e i parenti la portarono in chiesa e poi al cimitero. “Forse nessun quadro è stato apprezzato e ammirato come quella cassettina. Questo è stato il mio inizio, la mia prima opera”, ha raccontato l’artista di origini slovene. Spacal lasciò il confino il 17 settembre 1932, un anno e mezzo dopo il suo arrivo a Accettura. Si diplomò all’Istituto superiore per l’arte decorativa di Monza dove fu allievo di Pio Semeghini e Raffaele De Grada. Frequentò anche l’Accademia di Brera. Espose alla Quadriennale di Roma, tre volte alla Biennale di Venezia. Rimane uno dei più importanti artisti del dopoguerra.

Ad Accettura non lo hanno dimenticato. Non lo ha dimenticato mastro Antonio Defina che nel togliere le travi alla bottega di falegname ha perso un ritratto a matita che Spacal aveva fatto a una giovane donna seduta su un panchetto. Non lo ha dimenticato l’attuale sindaco, Alfonso Vespe. Il 14 settembre, quando Accettura è stata capitale europea per un giorno (cosa che accade, quest’anno, a ciascun dei 131 comune della Basilicata) la giornata è stata dedicata a Lojze Spacal. L’attore e regista Francesco Siggillino, che si divide fra cinema e teatro, ha interpretato e raccontato Spacal durante il confino. Sono state proiettate anche le sei foto conservate al museo di Lubiana, ma anche le immagini delle opere dell’artista custodite nel castello di Stanjel, in mostra permanente. All’iniziativa erano presenti anche i familiari dell’artista sloveno. “Stiamo lavorando – ha detto il sindaco Alfonso Vespe – per intitolare a lui una strada. Forse proprio quella dove si trova la “sua” falegnameria”.