Una “24 ore” di…Teatro La Contrada

| | |

Per i quarant’anni di una popolare istituzione culturale

di Claudio Grisancich

 

Il 10 maggio, al Teatro Bobbio di Trieste, è andato in scena un inedito talk-show teatrale condotto da Pierluigi Sabatti per ricordare i quarant’anni del Teatro La Contrada. Il conduttore, ironizzando sulla somiglianza dello spettacolo con quello televisivo di Porta a porta, ha intrattenuto il pubblico intervistando alcuni dei protagonisti della straordinaria esperienza culturale, avendo cura di ricordare anche coloro che non ci sono più, ma che hanno fatto il Teatro, primi fra tutti Francesco Macedonio e Orazio Bobbio. Per celebrare a modo nostro l’evento, abbiamo chiesto alla cortesia di Claudio Grisancich, coautore con Roberto Damiani dello spettacolo inaugurale del ’76, A casa fra un poco, di fornire ai nostri lettori un suo ricordo, al solito “speciale”.

 

 

La “24 ore”. Fa sorridere eppure nei primi anni ’70, quando ci si aspettava che la generazione appena sfornata dal ’68 s’apprestasse a manovrare le leve del nuovo potere in sandali e, nella tasca posteriore dei blu jeans, infilato un unico foglietto dove – utopico e perentorio – era vergato l’odg “la fantasia al potere”; ebbene lo status symbol di una società che doveva reinventarsi nuove e dirompenti modalità di crescita etica e materiale, fu (o sembrò essere) la valigetta “24 ore”.

Progettata oculatamente per trasferte di lavoro che prevedessero una sola notte fuori piazza, ci si stipava all’uopo: cartella di lavoro, agenda, boxer pigiama, necessaire igiene personale, rasoio elettrico, ricambio di calzini, pantofole e, a soccorrere un’eventuale necessità, la cauta bustina di un profilattico.

La “24 ore” ispirava dinamismo, indipendenza con un non so che di gioiosa autorevolezza.

In un afoso pomeriggio nella primavera del 1976, Orazio Bobbio, giovane attore, trentenne, ma di provveduta esperienza teatrale (sedicenne già, in palcoscenico) insieme ad Ariella Reggio, interprete già di buona sprezzatura brillante e battagliera (precoci anche i suoi esordi, diciottenne) e a Francesco Macedonio, (sin da ragazzo assieme agli amici realizzava con i burattini recite che poi presentava agli adulti), classe 1927, applauditissimo regista stabile del Teatro del Friuli-Venezia Giulia, giunse, per incontrarsi con due sprovvedutissimi autori di teatro poiché (pur con alcune esperienze di sceneggiatura radiofonica) Roberto Damiani ed io eravamo – si può dire – neanche alle prime armi, al Caffè Tommaseo (*) impugnando, per il coacervo dei suggestivi messaggi subliminali che poteva suggerire, la fatidica “24 ore”.

Espletati i convenevoli d’uso e declinati nomi e sorrisi, il tempo di accomodarci all’interno del caffè nella benefica ombra di una sala ventilata, allorché Orazio, rimasto in piedi, davanti al tavolino dove noi quattro ci eravamo seduti, posò su quel marmetto del ripiano, con studiata e consumata gestualità d’attore, la “24 ore” e annunciò con la solennità che la circostanza imponeva: “Qui dentro – e noi tutti fissammo affascinati il totem emblematico – stilato dinanzi al notaio, ho l’atto costitutivo del Teatro Popolare La Contrada”.

(Il 20 maggio del 1976 la nuova Compagnia avrebbe esordito con la commedia, scritta da Roberto Damiani e Claudio Grisancich, dal titolo A casa tra un poco – 1902: i foghisti del Lloyd.

Questo, se devo dire, è il mio ricordo di quella che all’inizio parve a quei cinque un’avventura: unico bagaglio per il fortunoso viaggio una “24 ore” che all’interno serbava – Orazio mai la aperse – forse con un “dopobarba” e un ricambio di calzini anche il piccolo sogno di un grande teatro.

 

——————————————————————————————————-

*per chi ci legge fuori Trieste: sulle Rive del porto, di fianco alla chiesa della comunità greco orientale intitolata a San Nicolò e a poche centinaia di passi dalla piazza dell’Unità d’Italia.