Dalla Serbia all’Afghanistan in Topolino

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di Diego Zandel

 

C’è da chiedersi a cosa stava guardando in questi ultimi vent’anni la nostra grande editoria per farsi sfuggire un libro così ricco di fascino e avvincente, magnificamente scritto, come La polvere del mondo di Nicolas Bouvier, uscito originariamente in Svizzera, a Losanna, da Payot, nel 1998, e solo ora edito in Italia da Feltrinelli, seppur in seconda battuta. C’è da dire a riguardo, infatti, che il libro non era del tutto sconosciuto da noi: già nel 2004, una colta casa editrice come la Diabasis di Parma aveva scoperto, fatto tradurre e pubblicato il libro, scontando però il destino della piccole casa editrici, troppo periferiche rispetto alla grande distribuzione che, viceversa, consente ai libri di raggiungere la maggioranza dei lettori. Così, ora, eccoci qui a godere di una lettura straordinaria per quanti amano la letteratura di viaggio, per altro merito di una traduzione degna dell’autore del libro come quella di Maria Teresa Giaveri, già traduttrice del libro per Diabasis, e che in una postfazione racconta la sua avventura con il testo che lei ben definisce «viaggio nella scrittura, sicuramente, più che scrittura di viaggio» per l’estrema raffinatezza della pagina di Nicola Bouvier. Rispetto all’edizione Diabasis, l’unica cosa che cambia in questa di Feltrinelli, è la prefazione: in quella affidata a Jean Starobinski, in questa a Paolo Rumiz.

Chi era costui, cioè Nicolas Bouvier? Francesca Morale su la rivista Studi Francesi ne ha fatto un ritratto ampio, profondo, intenso, del quale riporto solo l’incipit: «Chi era Nicolas Bouvier? Un ginevrino fuori dal comune, uno scrittore dalla raffinatissima espressione, un infaticabile viaggiatore, un fotografo curioso, un documentarista serio ed affidabile. Era nato a Ginevra il 6 marzo 1929, in seno ad una famiglia borghese e fin dall’adolescenza aveva avuto un accesso privilegiato a tutte le espressioni visive, musicali e culturali della Ginevra colta del tempo».

E il suo libro La polvere del mondo – non certo l’unico che ha scritto, anche se tutti gli altri, a esclusione de Il pesce Scorpione, edito da Laterza, mai tradotti in Italia – è la testimonianza palpabile della capacità dell’autore di penetrare il mondo e di descriverlo nella sua multidimensionalità che mette a prova tutta la sua cultura e sensibilità. E lo mette raccontando un viaggio unico, in un tempo, gli anni 1953-54, durante i quali il mondo era in piena trasformazione, a cavallo tra la fine della seconda guerra mondiale in Europa, la divisione del mondo in due grandi blocchi, quello capitalista occidentale e quello comunista, e la sopravvivenza, ancora per un po’, delle tradizioni tribali, al netto delle trasformazioni politiche, sociali e militari impresse dalle guerre anticolonialiste che vedremo, fino ad oggi, diventare sempre più a matrice islamica anche quando fossero celate da un laicismo a carattere socialista come in certi paesi arabi e del centro Asia. Un aspetto che fa presente anche Paolo Rumiz nella sua prefazione in cui scrive, tra l’altro: «Che nostalgia. Ho fatto appena in tempo a vivere la coda di quel mondo – nei Balcani, in Turchia e in Afghanistan – e non so cosa ne sia rimasto. Oggi molte di quelle frontiere sono diventate difficili, impercorribili e ostili. Forse, dell’Oriente che cerchiamo è rimasto solo un mito tenuto in vita nelle sale da tè per turisti o nei compartimenti di lusso dell’Orient Express».

Il viaggio è quello di sedici mesi che Bouvier stesso e il suo amico pittore Thierry Vernet, i cui disegni accompagnano la narrazione, hanno fatto, dai Balcani, la Serbia allora stato della Repubblica Socialista di Jugoslavia, fino all’Afghanistan, attraverso la Macedonia, la Grecia, la Turchia, l’Arzeibagian, l’Iran e il Pakistan, a bordo di una Topolino, messa duramente alla prova del suo motore e carrozzeria. Un viaggio su un itinerario preordinato, ma senza tempo contingentato, con tappe più o meno lunghe a seconda del clima (si fermeranno sei mesi a Tabriz a causa dell’inverno che aveva reso le strade impraticabili per la neve e il freddo), degli eventi (a Teheran Vernet riuscirà a organizzare una mostra dei suoi quadri) dei guasti alla Topolino, degli incidenti e degli accidenti, inevitabili nel corso di un viaggio così lungo, vario, avventuroso, lungo strade pericolose, frequentata da tribù quasi sempre armate, rapine (la subirà Thierry), malattie (Bouvier soffrirà per molti giorni di diarrea) e anche ricoveri ospedalieri come quando si taglierà un dito fino all’osso subendone l’infezione, oppure quando, caricata la Topolino guasta su un camion, già con tre uomini a bordo e loro, invece, seduti sulla loro Topolino, si vedranno scendere a tutta velocità lungo la strada a causa della rottura dei freni del camion stesso, finendo contro una montagna in una confusione di vetri e teste rotte e lamiere contorte, per fortuna senza morti.

Tanti gli incontri, i personaggi singolari che incontreranno, tra questi molti europei, dalla vedova armena Chuchanik, presso la cui pensione alloggiavano a Tabriz, ai preti missionari, dai medici, per lo più europei, ai funzionari di Stato dei diversi paesi, dai mullah e imam ai militari alle prostitute, e così via, nel cuore di un mondo insieme precario e generoso, tanto ospitale quanto infido, e assai poco rigido. Arrivano in Pakistan che hanno il visto scaduto, temono un rifiuto a farli entrare, ma le guardie alla frontiera fanno spallucce, lasciandoli entrare. E attraverso le vicende personali, descritte a tutto tondo, nei colori, nei suoni, negli odori e sapori, ecco trapelare spaccati di vita sociopolitica, come, ad esempio, quando, sulla strada per Teheran conoscono un americano, Roberts, che si dà da fare per costruire una scuola e trova il mullah che si oppone, perché altrimenti il suo potere, che gli deriva dal saper leggere e scrivere, verrebbe meno. «Egli redige i contratti, scrive sotto dettatura le suppliche, decifra le ordinanze del farmacista. E fa questi piaceri per solo una dozzina di uova, un pugno di frutti secchi; e non ha certo voglia di perdere quelle piccole entrate. è troppo prudente per criticare apertamente il progetto, ma la sera, sulla soglie di ogni casa, dà il suo parere. Ed è ascoltato».

Il libro non manca di pagine struggenti, bellissime, che risonano come oniriche nella mente del lettore, tanto risultano essere evocative, traguardando oltre le parole, restituendo immagini, sensazioni, impressioni che fanno de La polvere del mondo uno tra i più bei libri di viaggio degli ultimi anni.

 

 

Nicolas Bouvier

La polvere del mondo

Feltrinelli, Milano 2021

  1. 425, euro 20,00