Dettagli inutili

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Un libro che ci porta dentro gli apparati delle psichiatrie

di Silva Bon

 

ne prendo una per non

sentirmi dio

e un’altra per non sentirmi

una merda

e un’altra ancora

per non aver paura

di sentirmi una merda

o forse per non aver paura

di sentirmi dio.

non lo so,

non l’ho ancora capito.

 

Per me è impossibile leggere razionalmente, “dal di fuori”, questo libro: sono “della psichiatria”, “nella psichiatria”, “psichiatrica” da troppi anni, proprio come Alberto Fragomeni. Penso che restare indifferenti di fronte alle parole gridate dall’Autore, un giovane uomo di trentacinque anni, è una possibilità che riguarda solo gli ottusi. Fragomeni ha molto da dire alla società contemporanea, ai cosiddetti normodotati, come agli stessi psichiatri, agli psicologi, agli operatori dei Servizi di salute mentale.

Perché il libro è vero, lucido, graffiante, mai compiaciuto, mai sentimentale e parla una voce autentica, di chi ha vissuto, di chi ha esperimentato sulla propria pelle la sofferenza. La scrittura procede nitida, ironica, sorridente, addolorata e coglie aspetti, situazioni, vissuti, momenti di vita, processi intellettuali, personaggi, luoghi, spazi in tutta la loro luce esemplare: si potrebbe parlare di un tono agro-dolce, dolce-amaro, che investe tutto il testo, e che permette di parlare di situazioni al limite totalizzante anche a volte con distacco, con uno sguardo irriverente, scherzoso, giocoso, proprio di una persona trentenne, appartenente pienamente al contesto sociale e culturale attuale.

Lo humour un po’ scanzonato, un po’ malinconico, investe soprattutto la parte prima e la parte seconda del libro. Qui i capitoli sono anche brevi paragrafi, titolati spesso in modo allusivo, come flash folgoranti; essi fotografano incalzanti condizioni diffuse negli ambienti psichiatrici, situazioni che sono sotto gli occhi di tutti, quasi dei “luoghi comuni”, ma che l’Autore “vede” con una chiarezza che diventa denuncia empatica.

Così, alcuni possibili momenti condivisi di autocompiacimento e di autostigma dalla parte delle stesse persone in cura, quando esse, accusa con dolore Alberto Fragomeni, credono di trovare la propria identità nella malattia, nella diagnosi, che li fa sentirsi importanti, li fa diventare qualcuno (“io sono borderline, e tu?” “schizoaffettiva.” “sei mai stata in spdc, servizio psichiatrico di diagnosi e cura?” “sì.” “e ti hanno legata?” “no.” “a me sì …”).

E ancora l’altra diffusa problematicità di comportamento: la dipendenza dall’uso ed abuso di caffè, di sigarette, certamente dipendenza veniale, non compromissoria come quella da farmaci, e che comunque aiuta a segnare il ritmo dello spazio di tempo delle lunghe giornate ( “il caffè e le sigarette rappresentano la ragione di vita del malato psichiatrico …”).

Molte persone sofferenti cadono vittime di facili speculatori o speculazioni, quando si appigliano ad ogni via di salvezza fatta baluginare davanti a loro in una ricerca irrazionale e disperata di verità, di bisogni di chiarezza e di risposte, che credono a volte di trovare nei misticismi religiosi, a volte nelle letture ingenue di ponderosi testi di filosofie, orientali e/o occidentali. Come appunto è successo anche ad Alberto Fragomeni, che pur non ne è stato travolto, ma ha trovato in queste esperienze tratti di sostanziali apporti positivi, in alcuni passaggi esistenziali particolarmente drammatici della sua vita. Perché, è importante dirlo, ogni persona trova la propria strada, si serve di mezzi-di media diversi, fa il proprio singolare e irripetibile percorso verso la guarigione e le cose che fanno star bene sono diverse per ciascuno di noi.

Dall’osservazione pungente di Alberto Fragomeni emergono tanti rivoli sotterranei di vite: come lui rende visibili gli invisibili delle città metropolitane, i sofferenti, gli emarginati, quando li descrive con partecipazione fraterna, così porta alla luce le dinamiche relazionali, più o meno facili, più o meno compatibili, tra persone che vivono nelle comunità terapeutiche, nei centri diurni, nei luoghi di lavoro protetto.

Eppure, con ironia e un po’ di amarezza, Fragomeni commenta sarcastico anche il pregiudizio, visto dall’“esterno”, di sopravvalutazione, di ammirazione per la genialità, per le doti fuori dal comune, per le espressioni artistiche e creative, comunemente attribuite a chi sta “oltre le regole”, e che fa delle personalità eccezionali dei matti e viceversa.

La parte terza, conclusiva, è scritta da Alberto Fragomeni in forma narrativa più continuativa; è totalmente soggettiva, un coming out della propria storia che procede con un’analisi di “pensiero acuminato come un pugnale, che ben si accordava alla violenza della mia mente, impegnata a torturarmi all’infinito: non mi sono mai odiato tanto come in quel periodo, e più mi odiavo, più soffrivo, e più soffrivo, più mi odiavo.” È l’incessante lavorio della mente che a volte logora, a volte a distrugge… e questo lo può provare ogni essere umano che vive finché il cervello è in vita.

“L’invito ad assumere nella vita un atteggiamento minimalista” è il consiglio dato dal medico di riferimento ad Alberto Fragomeni, nel momento in cui si avvia per lui una fase positiva di ripresa. Ma io credo che gli si è aperta la possibilità di riconoscersi nella scrittura, di essere uno scrittore.

La possibilità di essere “normali”? Una domanda ridicola e ingenua. Da vicino nessuno è normale, recita uno slogan-verità del pensiero basagliano. Allora potremmo perfino accettare di stare tutti nella nave dei folli, quella dipinta da Hieronimus Bosch.

 

Copertina:

Alberto Fragomeni

Dettagli inutili

Prefazione di Massimo Cirri

Edizioni Alphabeta Verlag, Merano 2016

Collana 180

  1. 143, euro 12,00