Diario triestino

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di Alberto Brambilla

 

Ci sono più nonni che nipoti oggi:

Carnevale di Trieste, Piazza Unità.

Non trombette allegre o filanti stelle:

solo colorati coriandoli volanti

nel ciel che già fu detto piovorno.

 

 

Bianco enorme metallico cetaceo

come spiaggiato sulle tristi Rive

richiama centinaia di turisti.

Io sognavo di Conrad e di Salgari,

altri viaggi altri mostri marini.

 

 

Scendeva sul viso il sole, nella piazza,

e osservavo il mondo a un tavolino:

intorno scorreva senza fretta la noia

scivolando su fiumi di parole.

Quante vite ho vissuto in via Cavana,

panino prosciutto cotto (senape e rosmarino?),

scendendo sino a Piazza Hortis;

e davanti all’Istituto Nautico pioveva,

ricordi il nostro primo incontro?

Con te ho sparlato di quella coi capelli rossi

che mi aveva fulminato con lo sguardo

mentre in un nero cercavo buona sorte.

Noi leggevamo insieme un altro passo

mentre i piccioni imploravano insistenti

una briciola soltanto, che vi costa?

Poi scese il gabbiano e infine la cornacchia

la gerarchia sociale a ribadire.

 

E incontro per caso due vecchi di Savona

persi a Trieste, domenica mattina.

Lei è di qui? Cosa si può vedere, noi

però abbiamo un’ora solamente.

Ricapitolo veloce i monumenti

Piazza erbe il canale Spiridione

balbetto qualcosa in confusione:

non saprei scusate sono di Zagabria;

loro mi guardano io sono bambino.

 

In stazione lentamente verso il treno

però un caffè me lo farei, sicuro.

Saluto Sissi perduta fra i rifiuti

di feste notturne ormai svanite;

e poi gli occhi azzurri incrocio

di un tossico smarrito come un cane.

Ahi Trieste! Non è questo il commiato

che per te da te avevo immaginato.

 

marzo 2019.