Una poetica notturna e celeste

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Mauro Sambi e l’approdo all’istroveneto

di Maurizio Casagrande

 

Nel secondo numero della rivista Inasprerime (Numero 2, Luglio 2018, De note, pp. 196-201), introdotti da un’imprescindibile chiosa critica di Nelida Milani (Ibidem, Tra l’aldila e l’aldiquà delle cose, pp. 202-207), hanno visto la luce un mannello di testi inediti nella variante istroveneta di Pola dell’istriano Mauro Sambi focalizzati su una solida piattaforma tematica di almeno quattro elementi, sottesa all’intera sua produzione in lingua, ma che si manifesta con particolare evidenza nei testi in dialetto: la notte, che dà il titolo anche alla silloge, valorizzata quale momento di raccoglimento e di scavo interiore sulla scorta di Petrarca; una visita al cimitero di Monte Ghiro (altrove, alle tombe degli artisti nell’isola di San Michele), ad innescare la riflessione sulla morte e il dialogo mai interrotto con i defunti; l’omaggio agli affetti più cari (i nonni, il padre, la madre, i figli), nel dominio dei vivi come dei trapassati; l’intenso legame con il cielo e il mare, icone delle radici (anche linguistiche: il cielo e il mare di Pola, infatti, parlano istroveneto nel cuore di Sambi e di tanti altri istriani con lui!), conosciuto nell’adolescenza e rivissuto più tardi sul terreno delle Lettere attraverso il filtro dell’opera di Zanini, in versi come in prosa (in particolare le prose ancora inedite in Italia della Togneta che Gino Belloni sta curando per l’editore Ronzani, mentre appartiene a Sambi la curatela per le stesse edizioni del Martin Muma, romanzo aurorale di Zanini, entrambi i volumi di prossima uscita. Sempre di Zanini le edizioni Il Ponte del Sale di Rovigo stanno approntando l’opera omnia in versi), o di Marin e di Giotti, veri numi tutelari nella poetica di Sambi, profondamente intrisa com’è di umanità e autentica religiosità.

Si tratta di sette liriche, ovvero lo stesso numero dei colli che fanno corona alla baia di Pola, giocate prevalentemente sulle misure del settenario e dell’endecasillabo, metri già cari a Giotti come a Leopardi, anche se la parentela più stretta è senza dubbio quella con il triestino, tanto nei temi quanto nella levità ed eleganza delle forme.

Si palesa in questi versi, sin dall’incipit delle due terzine di Lied, quella vocazione al canto innata in Sambi e alimentata, sulla scorta dei provenzali, dal distacco e dalla lontananza dalla terra materna: «el mio canto me vien / rente de novo, a pian. // Ancora le sue vosi / riva zo, de lontan» («il mio canto mi viene / vicino di nuovo, a piano. // Ancora le sue voci / arrivano giù, da lontano», ibidem, Lied, p. 196).

E in maniera anche più trasparente: «Questo xe el mio vero, e lo serco / e lo pianzo, e qualche volta lo canto / de rimando al suo canto che me ciama / tegnindolo sul palmo de la man / verta, ferma, legero» («Questo è il mio vero, e lo cerco / e lo piango, e qualche volta lo canto / di rimando al suo canto che mi chiama / tenendolo sul palmo della mano / aperta, ferma, leggero», De l’alto (Dell’alto), pp. 196-197).

I poli di questa geografia del cuore oscillano tra la natia Pola, con Monte Ghiro e il molo di Valcane, Lussino e il Quarnero, fino a toccare implicitamente l’opposta sponda dell’Adriatico nella lirica di chiusura dedicata al figlio Giulio tredicenne, attraversata dal senso della precarietà con un tono e una compostezza che ricordano l’intensità emotiva nella corrispondenza fra Virgilio Giotti e i figli perduti nella campagna di Russia: «de colpo me vedo davanti tuto / el tempo che te speta, e sento / l’infinida pena de no poder / vardarte come ‘desso fin in fondo // co vecio ti ciamarà mama e forsi / papà prima de ‘ndar nel scuro grande / e noi de tanti ani ormai no saremo / più là per darte un baso in fronte» («di colpo mi vedo davanti tutto / il tempo che ti spetta, e sento / l’infinita pena di non poter / guardarti come adesso fino in fondo // quando vecchio chiamerai mamma e forse / papà prima di andare nel buio grande / e noi da tanti anni ormai non saremo / più là per darti un bacio in fronte», De qua, de ‘desso (Da qui, da adesso), ibidem, pp. 200-201).

Su tutto, com’è naturale per chi abbia stabilito grande familiarità con la tradizione veneta, domina la luce, una luce quasi immateriale e metafisica che deve indubbiamente qualcosa alla lezione di Marin e che ha il potere di imporsi su ogni negatività, nel quotidiano come nella storia: «In questa luce neta / xe un fondo che me diol de sighi / de ordini cativi de navi ‘ndade via / per senpre prima de mi // … // Epur ‘desso vinsi la luce» («In questa luce pulita / c’è un fondo che mi duole di grida / di ordini cattivi di navi andate via / per sempre prima di me // … // Eppure adesso vince la luce», Sensa ieri e sensa doman (Senza ieri e senza domani), ibidem, p. 198).

A testimonianza del valore riconosciuto da Sambi all’amicizia nella luce soffusa della poesia stanno le dediche: almeno quattro, per altrettanti sodali che condividono l’amore per la poesia, tra i quali la poetessa di Dignano Loredana Bogliun.

Da segnalare, in chiusura, che le liriche in oggetto figureranno a breve, insieme ad altre nello stesso codice, nella sezione finale del volume di prossima pubblicazione per Ronzani, Quel tanto nella voce, che proporrà l’opera integrale in lingua del polese.

 

 

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Mauro Sambi

Nato a Pola nel 1968.

Completati gli studi liceali, si è iscritto alla Facoltà di Chimica dell’Università di Padova, dove ha conseguito la laurea nel 1993 e il dottorato di ricerca nel 1997 e dove attualmente è professore ordinario di Chimica generale e inorganica. Ha esordito come poeta in lingua italiana sulle pagine de La Battana, rivelando fin dai testi poetici aurorali il gusto per un periodare “dotto”, con frequenti inserti di testi poetici altrui, tradotti e rielaborati e anche con l’esplorazione di forme metriche talora volutamente imperfette.

Volumi pubblicati:

L’alloro di Pound, poesie, prefazione di Gabriella Musetti, Edit, Fiume 2009; Diario d’inverno, LietoColle, Faloppio (Como) 2015; Una scoperta del pensiero e altre fedeltà, Ronzani, Vicenza 2017, indi, con introduzione di Bruno Nacci, Ronzani, Monticello Conte Otto (Vicenza) 2018.

Bibliografia:

Nelida Milani e Roberto Dobran (a cura di), Le parole rimaste. Storia della letteratura italiana dell’Istria e del Quarnero nel secondo Novecento, Pietas Julia – Edit, Pola-Fiume 2010.