Fantasmi in bicicletta

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di Stefano Crisafulli

 

Il 23esimo ShortTS Film Festival è stato vinto da Fantasma Neon del regista brasiliano Leonardo Martinelli, che ha ricevuto il premio per il miglior cortometraggio. Due menzioni speciali sono andate a Techno, Mama del lituano Saulius Baradinskas e a Warsha di Dania Bdeir, il premio del pubblico a Branka dell’ungherese Akos Kovacs e il premio al miglior cortometraggio italiano a Lo chiamavano Cargo di Marco Signoretti; inoltre per il miglior montaggio ha vinto Cromosoma X di Lucia Bulgheroni, mentre i premi Shorts TV e MYmovies sono andati rispettivamente a Homebird di Ewa Smyk e all’iraniano Barter di Z. Karamali e E. Araad. Dopo l’elenco doveroso di premi e premiati (manca solo la sezione lungometraggi, che si può vedere sul sito del festival), va detto anche che quest’anno le scelte della giuria sono state piuttosto ardue a causa della gran mole di opere presenti in concorso, ben 81 da 45 paesi diversi, selezionate dal curatore Massimiliano Nardulli e proiettate nella splendida cornice del Giardino Pubblico dall’1/7 all’8/7. Un lavoro per accumulazione e ibridazione di generi che ha avuto il merito di riportare le persone al cinema, anche se tale eccesso di varietà ha forse perso qualcosa in identità e specificità. Una segnalazione positiva personale, infine, va data al corto Ruthless di M. McGulgan.

Meritato, comunque, il premio al corto brasiliano Fantasma Neon, della durata di 20 minuti, che la giuria ha definito, tra le altre cose, «Uno splendido e doloroso commento sulla società, che gioca perfettamente sul ritmo della vita dei suoi personaggi attraverso un mix di generi, in bilico tra realtà e fantasia». Chi scrive ha avuto la fortuna di vederlo sabato 2/7 e in effetti il tema è piuttosto attuale: Martinelli ha messo finalmente in primo piano quei lavoratori che vengono chiamati riders, con tutte le loro problematiche, girando un cortometraggio dal loro punto di vista. Anche qui l’ibridazione di generi mescola le carte e si passa da un docu-film ad un musical sino al dramma, senza soluzione di continuità. A scorrere sullo schermo, dunque, la vita dei riders, ovvero di coloro che, con mezzi propri (molto spesso biciclette, perché il motorino è un’utopia), portano il cibo a domicilio. Durante la pandemia le persone hanno cominciato a capire quanto importante poteva essere la loro funzione, essendo diventati, a loro rischio e pericolo, gli unici a poter girare la città portando cibo a tutti gli altri in lockdown. Poi, come succede spesso, ci si è dimenticati delle ingiustizie che subiscono ad opera di aziende sfruttatrici, che pagano poco e licenziano con facilità estrema, perché tanto l’offerta di lavoro è alta e di disperati se ne trovano sempre. Il regista brasiliano parla di queste ingiustizie, ma anche della maleducazione dei clienti e del rischio giornaliero di incidenti, visto che il tempo di trasporto è denaro e più veloce si va, più si è produttivi e meno si è nella lista nera dei prossimi ad essere licenziati. Ma, oltre a ciò, vi è anche un’iniezione di vitalità e una dichiarazione di identità, quando i riders ballano con il borsone delle pizze sulle spalle, lo sguardo fiero davanti a sé. Come per affermare una volta ancora che non sono i reietti della società, ma sono persone con le loro storie, che svolgono un lavoro onesto, malpagato e pesante e che cercano, magari, un riscatto personale. Nemmeno tanto velata è l’accusa all’Occidente di aver esportato in Brasile i propri modelli capitalistici di sfruttamento, cosa che, purtroppo, è vera: la diseguaglianza tra ricchi e poveri è un fatto globale e il sistema economico più adatto a mantenere tale diseguaglianza è il nostro. L’unico appunto, forse, che si può fare a Fantasma neon è quello di non aver concluso il corto con il momento tragico (che ovviamente non riveliamo), ma di aver voluto prolungare ulteriormente il musical anche dopo tale momento. Ma è un difetto marginale, in fondo.