Dipingere al tempo della fotografia

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A Ferrara una mostra sull’arte di Giuseppe De Nittis pone l’accento sulle reciproche influenze tra la pittura e la fotografia, all’epoca ai suoi primordi

di Walter Chiereghin

 

Palazzo dei Diamanti a Ferrara ospita, dal 1 dicembre 2019 al prossimo 13 aprile la mostra “De Nittis e la rivoluzione dello sguardo”, curata da Maria Luisa Pacelli, Barbara Guidi (entrambe conservatrici delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara) e Hélène Pinet (già responsabile delle collezioni di fotografia e del servizio di ricerca del Musée Rodin di Parigi). L’esposizione è frutto del rapporto di collaborazione e interscambio culturale instauratosi tra due istituzioni civiche simili per storia, natura e vocazione: il Museo Giovanni Boldini di Ferrara e la Pinacoteca De Nittis di Barletta, la quale più o meno nel medesimo periodo (7 dicembre 2019 – 3 maggio 2020) ospita la rassegna “Boldini. L’incantesimo della pittura”, allestita con dipinti provenienti dal Museo ferrarese. Lo scambio tra le due istituzioni museali di Ferrara e di Barletta pone implicitamente l’accento tra le assonanze dei due autori, quasi coetanei ed entrambi attivamente presenti nella Parigi della Belle époque, come pure furono Federico Zandomeneghi (Venezia, 1841 – Parigi, 1917) ed altri importanti autori italiani nel medesimo periodo.

Giuseppe De Nittis (Barletta, 1846 – Saint-Germain-en-Laye, 1884) espulso per indisciplina al secondo anno della sua frequentazione dell’Istituto di Belle arti di Napoli, proseguì da autodidatta il suo apprendistato artistico, che si svolse dagli inizi sotto il segno di una pittura verista, conseguendo presto un successo di carattere anche commerciale, dopo l’acquisto di due suoi paesaggi da parte di Vittorio Emanuele II, che li destinò alla reggia di Capodimonte. Dopo un soggiorno a Firenze, dove entrò in contatto con Telemaco Signorini, Giovanni Fattori e altri artisti di ambito macchiaiolo, esponendo anche alla “Promotrice” fiorentina del 1867, approdò alfine, dopo una lunga peregrinazione per la Penisola, una prima volta a Parigi, che rimarrà il fulcro della sua vita e della sua attività per tutti gli anni a venire – ahimè solo dieci –, intervallati, a partire dal 1874 da altri frequenti soggiorni a Londra, come testimonia più di un dipinto presente alla mostra ferrarese, e a periodici ritorni in Italia, dove continuò ad attingere ai paesaggi del suo primo manifestarsi figurativo, connotati da visioni di luminosità più solare, se confrontati a molti scorci paesaggistici parigini e londinesi, spesso improntati da atmosfere umide di pioggia o di nebbia, elementi che si palesano altrettanto congeniali all’artista pugliese.

A Parigi visse in ambienti di elegante modernità, frequentando importanti salotti e luoghi di vivace mondanità e stringendo relazioni con diverse personalità dell’ambito artistico e intellettuale, tra cui Édouard Manet, Edgar Degas, Gustave Caillebotte, i fratelli Edmond e Jules De Goncourt, Alphonse Daudet, Émile Zola. A partire dagli anni parigini, accanto alla produzione a olio, si produsse anche in tecniche all’acquerello e soprattutto a pastello, tecnica utilizzata prevalentemente nella ritrattistica.

Dai soggetti affrontati dalla sua pittura si evidenzia la sua predilezione per la messa in scena di personaggi e ritualità dell’alta borghesia, ma anche la capacità di raffigurare paesaggi urbani immersi in atmosfere di suggestiva luminosità, colte in differenti situazioni atmosferiche che testimoniano della perizia dell’artista nel cogliere le variazioni cromatiche della luce. L’interesse di De Nittis per quest’ultimo aspetto di resa delle impressioni suggerite dalla luce in ambiti naturali si manifesta anche nei paesaggi extra urbani e in particolare nelle marine e nei cieli, nelle nuvole che ricorrono in tanta parte della sua produzione, “les merveilleux nuages”, le “nuvole meravigliose” di cui parla Baudelaire e, molto più tardi, Françoise Sagan. All’abilità nel rendere attraverso l’articolazione della gamma tonale e i sapienti effetti luministici alcune caratteristiche del soggetto rappresentato corrisponde – e qui si entra nel tema di quella “rivoluzione dello sguardo” evocata nel titolo della rassegna di Palazzo dei Diamanti – una nuova sensibilità per il disegno, che si traduce in ardite inquadrature, in prospettive inconsuete, quali possono essere suggerite dalla lezione di una nuova giovane arte, la fotografia, che si affacciava in quegli anni a contendere – così parve in un primo tempo – spazi e occasioni alla pittura.

Assieme al richiamo a stilemi e forme mutuate da uno specifico interesse per l’espressione artistica giapponese, di gran moda nell’ultimo scorcio dell’Ottocento, a partire dall’apertura dell’Impero del Sol levante al mondo occidentale, realizzatasi nel 1853, la fotografia ebbe in quegli anni, anche per quanto attiene alla produzione di De Nittis, un posto di rilievo nel compimento di un disegno innovatore che progressivamente si materializzò nella sua pittura.

La mostra di Ferrara si apre con l’esibizione di un registro contenente l’inventario di quanto rinvenuto nello studio del pittore, redatto per iniziativa della vedova; in esso si fa menzione di una scatola contenente un centinaio di fotografie, delle quali tuttavia non si sa altro, essendo andate disperse. Con qualche azzardo filologico, la rassegna esibisce allora una serie di belle immagini fotografiche, opera di pionieri quali Edward Steichen, Gustave Le Gray, Alvin Coburn, Charles Marville e Alfred Stieglitz, che sono accostate ai dipinti per sottolineare analogie tematiche e compositive.

L’ampia selezione di opere presentate nell’esposizione rendono l’idea di una nuova modalità di confrontarsi con la realtà rappresentata, sottolineando l’apporto di De Nittis a un’evoluzione figurativa che ne fa un innovatore, in un contesto artistico e culturale, quello della pittura degli impressionisti, che si confronta dialetticamente con una società in rapido mutamento, con orizzonti creativi avanzati, caratterizzati da un interscambio che sempre più si viene configurando su basi ormai internazionali, che hanno trasformato il giovane autodidatta pugliese in un maestro di valenza europea.