Disertori in Adriatico

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Pagine sconosciute della Grande Guerra sotto la lente di Giacomo Scotti.

di Marina Silvestri

 

L’ultimo lavoro di Giacomo Scotti, napoletano di nascita e istriano di adozione, è una fonte preziosa di informazioni su aspetti della Grande Guerra solo all’apparenza ‘minori’ rispetto agli scenari bellici più conosciuti; in particolare gli scontri navali in Adriatico da cui il titolo del volume, Disertori in Adriatico. Vengono ripercorse le cronache delle diserzioni di marinari e ufficiali austroungarici dalla sponda orientale verso l’Italia, fughe con appresso i piani militari che gli italiani diffidenti non presero in considerazione, incarcerando i disertori, ma si parla anche del fronte di terra, ricostruendo congiure, moti, rivolte, passaggi nelle file italiane di interi battaglioni slavi schierati sul fronte occidentale. La rivoluzione d’ottobre accelerò queste sommosse e la ribellione di uomini sfiniti dal logoramento della guerra di trincea e dagli inutili massacri per guadagnare o perdere pochi metri di territorio che abbracciarono gli ideali di equità sociale e pace che arrivano dalla Russia, così che tante furono le bandiere rosse issate accanto a quelle nazionali.

Da ultimo, – ed è sicuramente la parte più interessate del volume – viene delineata con estrema chiarezza la posizione dei rappresentanti dei popoli slavi, la loro ricerca di dialogo con i Paesi dell’Intesa, gli abboccamenti diplomatici, l’opera dei servizi segreti e la spaccatura delle forze politiche italiane fra chi, seguendo l’insegnamento di Mazzini ne sosteneva la lotta per la creazione di uno stato indipendente rispetto ai nazionalisti italiani che nutrivano propositi di aggressione ed espansione imperialista nei Balcani. I comitati politici sorti per promuovere la costituzione di uno Stato degli Slavi del Sud consolidarono il loro progetto in un congresso che si svolse a Roma ad aprile del 1918 dove, basandosi sui 14 punti di Wilson, chiesero fosse riconosciuto uno stato ai popoli slavi oppressi all’interno della duplice monarchia. Scotti, come sottolinea lo storico Fulvio Salimbeni che firma la prefazione, mette in evidenza tanto la “diffidenza e l’avversione degli alti comandi militari e di Sonnino e Salandra, avversi all’idea della nascita di uno stato jugoslavo tale da ostacolare l’auspicata penetrazione italiana nei Balcani”, quanto la posizione degli interventisti democratici come Salvemini e Amendola, “che cercarono il dialogo con la controparte “jugoslava”, opponendosi, senza troppo successo alle mire espansionistiche oltre l’Adriatico, cercando di far passare, invece, il progetto, di matrice risorgimentale, dell’amicizia italo-slava.” In questo lavoro risulta evidente come da poche altre opere il ruolo giocato dai popoli slavi nella disgregazione o meglio nell’implosione dell’Impero asburgico e come le diserzioni facilitarono la vittoria sull’Austria paralizzando in alcuni casi la superiorità bellica che dava a tavolino un esito diverso al conflitto. Sono elementi che l’autore può fornire grazie alla lettura diretta della fonti. Come sottolinea sempre Salimbeni, “riprendendo temi già in parte accennati in Gente dell’Adriatico sono rifusi alcuni articoli apparsi in sedi diverse e pagine inedite, frutto di indagini puntigliose tanto nella memorialistica (lettere private, diari) quanto in archivi e biblioteche. Padroneggiando perfettamente anche il serbo, il croato e lo sloveno, lo studioso ha potuto, quindi, avvalersi pure dei non pochi lavori in materia degli studiosi “jugoglavi”, per ragioni linguistiche quasi inaccessibili, a parte rare eccezioni, ai nostri storici, oltre che di documentazione ufficiale austriaca, finora poco o niente conosciuta e utilizzata dalla storiografia nazionale, riuscendo così a fornire un contributo originale e di valore, di taglio divulgativo, ma scientificamente ineccepibile [..,.] che consente di riscoprire un versante soltanto in apparenza secondario e minore della quasi quinquennale tragedia europea…”.

Grazie a queste nuove fonti sono rivisitate le azioni di guerra della marina italiana nonché di quella austriaca e tedesca nei settori operativi di Venezia a nord e Taranto-Brindisi a sud. Storie di sommergibili, e motosiluranti, sabotaggi, affondamenti e salvataggi, e posa di micidiali mine subacquee, ma anche dei bombardamenti subiti da Trieste, Fiume e altre cittadine istriane. I nomi delle unità da guerra come la corazzata Garibaldi o l’incrociatore Nereide sono legati ai nomi dei caduti in mare e all’eroismo di equipaggi e comandanti di entrambi i fronti; fra le tante azioni ricostruite, anche nuovi particolari sulle più note come l’affondamento della corazzata austriache Szentv István uscita in convoglio dal porto di Pola per forzare il blocco anglo-francese del canale d’Oltranto da parte di un MAS – (motoscafo antisommergibile ovvero motoscafo armato silurante), mezzi veloci armati di mitragliatrice e bombe di profondità utilizzati dalla marina italiana – pilotato dal capitano di corvetta Luigi Rizzo, nonché l’affondamento della nuova ammiraglia Viribus Unitis il 1° novembre del 1918 a guerra finita, per un azione dell’ufficiale del genio Raffaele Rossetti e del medico Raffaele Paolucci che piazzarono esplosivi sotto la carena il giorno successivo la cerimonia di passaggio della flotta austro-ungarica al Comitato nazionale jugoslavo. L’autore ricorda anche che una mano ignota colloca ogni anno una corona di alloro sulla grande boa situata all’imboccatura del porto di Pola dove la Viribus Unitis era ancorata, perché la pietà è sempre presente e non ha nazionalità.

Un interessante capitolo è dedicato alla presa e all’abbandono dell’isola di Pelagosa (Pelagruža) posta fra l’isola di Lagosta (Lastovo) e la costa italiana, al centro del bacino adriatico, scoglio disabitato, fatto eccezione per il grande faro; un altro capitolo ripercorre l’evacuazione e il salvataggio fra novembre e dicembre del 1915 di quello che era rimasto dell’esercito serbo sconfitto, dello stesso re e dei civili in fuga, dall’Albania dove si erano rifugiati a Corfù e in Puglia.

Il libro ricostruisce poi la storia della Beffa di Buccari travisata da D’Annunzio, e la vicenda drammatica di Nazario Sauro. Pagine toccanti sono dedicate all’esodo forzato di sessantamila italiani dell’Istria dei quali 27mila polesi, trasportati nei campi profughi dell’Austria, della Boemia e dell’Ungheria, nei quali molti morirono per fame e malattie.

Nelle pagine di Scotti, che è narratore e poeta, è sempre presente la sofferenza delle popolazioni e la componente caratteriale e umana che sta dietro alle vicende che hanno segnato la storia. Questo fa si che il libro contenga anche momenti lirici toccanti in cui l’autore si mette in prima persona. Ad esempio dove parla della canzone serba Tamo daleko di cui scopre la genesi. Dopo la guerra, racconta Scotti: “Da Pola fui chiamato a Fiume per fare il correttore di bozze e poi il cronista presso l’unico quotidiano di lingua italiana esistente nel Paese. In quegli anni feci l’abitudine di assistere nei giorni festivi ai balli in tondo detti “kolo” che venivano eseguiti all’aperto da serbi, bosniaci, montenegrini, macedoni e croati che via via sostituivano nelle case e suoi posti di lavoro gli italiani, che andavano via. I danzatori eseguivano in coro canti di guerra e d’amore, canti popolari. La mia attenzione fu calamitata da uno di quei canti, uno dei meno monotoni al mio orecchio. I primi versi, che poi si ripetevano più volte nel corso del canto dicevano: Tamo daleko, daleko onkraj mora/ tamo je selo moje/tamo je ljubav moja (Laggiù lontano, laggiù al di là del mare/ laggiù c’è il mio villaggio,/ laggiù sta l’amor mio). Il motivo e le parole suscitavano in me commozione. Il canto, lento, accompagnato dai passi della danza in cerchio di uomini e donne, pieno di nostalgia, mi colpiva anche perché anch’io stavo lontano dal mio paese natale posto ai piedi del Vesuvio dalla parte in cui non si vede il mare. Era ed è un canto nel quale voci maschili e femminili si alternano: mentre i primi tre versi stanno in bocca agli uomini, altri vengono cantati dalle donne del “kolo” che rispondono in nome della ragazza (l’amor mio) evocata all’inizio. I versi dicono: Dogi moj dragi, da skupa živimo mo/jer mladost prolazi burno/ i život taj nesretni. (Vieni mio caro, insieme noi vivremo/perché passano tumultuosi la gioventù/ e questa vita infelice). Qualcosa di quel motivo – non le parole – mi pareva familiare. […] senza cambiar le note, ma affrettato mentalmente il tempo, mi parve di riconoscere in quello serbo un canto tutt’altro che serio e ancor meno nostalgico che avevo più volte sentito cantare alla radio, quando, bambino, vivevo nei pressi di Napoli. Veniva dalla Puglia, un canto pugliese frivolo e scherzoso, direi quasi comico.[…] A mettermi sulla strada delle origini furono tre versi: “Laggiù lontano, dove fiorisce il giallo limone,/ laggiù l’esercito serbo/trovò la via più breve…” Mi fu spiegato che quel canto nacque sull’isola greca di Corfù, dove i soldati di Karadordevič ebbero modo di ascoltare la melodia alla locale popolazione che a sua volta l’aveva ascoltata innumerevoli volte dai pescatori pugliesi. […] Le vie delle canzoni, come quelle delle favole e le altre del Signore sono veramente infinite”.

Un passo emblematico di tutto il lavoro di ricerca, studio e scrittura di Giacomo Scotti per restituire la consapevolezza dei rapporti fra le due sponde, dimenticata dopo il traumi delle guerre del Novecento, preziosa oggi per ridare all’Adriatico la sua anima multiculturale.

 

 

Giacomo Scotti

Disertori in Adriatico.

Pagine sconosciute della Grande Guerra

Hammerle Editori in Trieste, 2016

  1. 344, euro 18.00)