Due mondi: Gabriele Basilico e Letizia Battaglia

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A Spilimbergo e a San Vito al Tagliamento due mostre di rilievo

di Paolo Cartagine

 

Gabriele Basilico (Milano 1944-2013) e Letizia Battaglia (Palermo 1935), eccellenze internazionali della Fotografia italiana, sono presenti a San Vito al Tagliamento con “La progettualità dello sguardo” e a Spilimbergo con “Letizia Battaglia”, due mostre curate dal Centro per la Ricerca e l’Archiviazione Fotografica del Friuli Venezia Giulia visitabili fino ai primi di settembre, preziose occasioni per conoscerli da vicino.

Basilico con le ricerche sul paesaggio naturale antropizzato e su quello urbano, la Battaglia con i reportage sulla mafia in Sicilia per il quotidiano L’Ora e con l’indagine sociale sull’ordinaria quotidianità dei quartieri degradati di Palermo, si collocano agli antipodi nel grande arcipelago delle narrazioni fotografiche.

Approdato alla fotografia professionale dopo la laurea in architettura, Basilico è stato ricordato dal Corriere della Sera il giorno dopo la sua prematura scomparsa come “il fotografo che aspettava il vento”, ponendo l’accento sulla sua sistematica esigenza di cercare e attendere sempre il momento più consono per la ripresa.

Tornata a Palermo da Milano nel ’74, la Battaglia vi ha narrato soprattutto la cronaca dalla parte dei perdenti, inframmezzandola con i volti del potere e dei legami sotterranei di una città contraddittoria, rafforzandola con penetranti sguardi di donne e bambini, facendo appello agli intenti probatori delle immagini per suscitare nel lettore chiare prese di posizione.

Il reciproco raffronto spinge a incamminarsi verso due differenti personalità e modi di considerare il mondo, per riflettere sul significato della Fotografia oggi, dove l’emergente tecnocultura sembra privilegiare un consumo compulsivo di immagini prive di tattilità a rapida obsolescenza comunicativa.

In mostra stampe digitali bianconero di grandi dimensioni da scansione di negativi analogici (medio formato per Basilico, pellicola 35 mm per la Battaglia), in cui il lettore può immergersi e attraversarle in più direzioni per giungere a proficui investimenti interpretativi, immaginativi ed emotivi.

Cosa troviamo in Letizia Battaglia – donna e fotografa dotata di coraggio e intraprendenza non comuni – con le prese d’atto dell’ultimo trentennio del XX secolo?

Innanzitutto l’assenza di retorici compiacimenti estetici che avrebbero annacquato il messaggio. Nessuna sovrabbondanza, solo elementi necessari e sufficienti per metterci di fronte, con umanità e compassione, a povertà e miseria morale e materiale, a vite umane spezzate e senza valore, a gente abbandonata a se stessa, a prepotenza e sfrontatezza. Accanto a persone destinate a restare nell’anonimato, riaffiorano nomi noti della Storia della Repubblica, ma anche l’orrore della morte e il dolore di chi rimane, come nell’intenso ritratto luce-ombra di Rosaria Schifani. Una Mostra coinvolgente e spietata da cui non si esce così come si è entrati.

Gli argomenti affrontati da Basilico tra l’80 e il 2000 riguardano Gemona post-terremoto, esperimenti edilizi a Monte Carasso, la strada sul San Gottardo, paesaggi antropizzati in Europa. Qui le immagini dei porti sono ariose e aprono a spazi lontani. Più introverse invece tutte le altre, quasi a rimarcare che, se l’Autore è lo stesso, lessico e sintassi possono non essere costanti per dar luogo a differenti declinazioni.

Basilico si situa nella corrente fotografica concettuale in cui è l’autore a scovare i soggetti più idonei per trattare il tema scelto. È dunque “fotografia-specchio”, in quanto mezzo espressivo che parla in primis dell’autore stesso ed è originata da meticolosa disciplina deterministica.

Al contrario, la Battaglia ha agito tramite la straight photography (fotografia diretta) dove fatti ed eventi da documentare sono indipendenti dalla volontà del fotografo. Pertanto è “fotografia-finestra”, cioè mezzo esplorativo che parla del mondo esterno grazie a una sapiente gestione della casualità.

I paesaggi e le architetture di Basilico si condensano tra passato e presente. Sono visti da una certa distanza – per evidenziare otticamente il contesto (o forse era sottesa una latente forma di difesa/distanziamento/distacco dal contatto diretto con i complicati intrecci che avvolgono la nostra esistenza?) – in rigorose prospettive centrali di provenienza rinascimentale in cui, complice la rigidità del punto di ripresa, ogni scatto si solidifica fino a diventare un quadro, e la cornice diviene la misura di tutte le cose. Il fuori per sempre invisibile è qui invero temperato da alcune reiterazioni figurative, di solito non presenti nelle mostre.

Ne consegue che la scrittura di Basilico è elegante e raffinata, levigata, lenta, meditata e parzialmente ripetibile in virtù dei soggetti immobili; vi domina la stabilità e sono banditi caso e approssimazione nell’inseguimento del pieno possesso/controllo della situazione e della luce.

I tratti salienti dei reportage di Letizia Battaglia sono l’andare vicino con focali corte ricorrendo a punti di vista funzionali alla chiarezza e completezza della descrizione, frutto di ampia libertà di movimento della macchina fotografica.

La sua grafia è scabra, aspra, dura, senza ripensamenti, veloce, intuitiva e irripetibile. Fatto, soggetto e contesto sono mostrati senza barriere e in maniera esplicita nei canali informativi “chi, cosa, come, dove e quando” per puntare primariamente a ciò che è importante, a ciò che va detto con forza sopra al tutto, a ciò che deve creare memoria, quasi a suggellare il noema della fotografia secondo Roland Barthes del ça a été (esso è stato).

La collaborazione alla lettura dell’osservatore consapevole richiede accorgimenti di smontaggio diversificati, perché le foto della Battaglia sono di comprensibilità quasi istantanea anche non conoscendo ciò che le ha originate: attraggono e spaventano, producono impatti emotivi a cui non è possibile sottrarsi e nascondersi nell’indifferenza.

Per capire Basilico – e il suo modo di mettere ordine all’universo – si deve invece attingere agli elementi impliciti nelle raffigurazioni, sia dilatando la sospensione del momento dello scatto quasi nel tentativo di scalfire quell’attimo, sia cercando lo scarto fra la forma grafica dell’immagine e la parte infinitesimale di mondo (intesa come spazio euclideo) considerata in ripresa. Una sorta di allargamento dei confini spazio-temporali per avventurarsi nel dilemma essere-apparire, peraltro tipico dell’ineliminabile ambiguità insita nello statuto fotografico.

Il grande linguista goriziano Graziadio Isaia Ascoli sottolineava che “lo scrivere correttamente sa di miracolo” perché bisogna dar simultaneamente modo al lettore di comprendere appieno parole e frasi, di cogliere sfumature e implicazioni del discorso, specie se si usano forme e modi strutturati ed evoluti.

Gabriele Basilico e Letizia Battaglia, con l’inchiostro della luce e degli alogenuri d’argento, lo hanno fatto con esemplare maestria.