Elogio alla bruttezza

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Loredana Frescura grida “viva i brutti!”

di Anna Calonico

 

Nessuno mi diceva mai che ero carina quando ero piccola.

Bisognerebbe dirlo a tutte le ragazzine, anche se non lo sono.

Marilyn Monroe

 

Maestra elementare e scrittrice, Loredana Frescura scrive storie che parlano al cuore degli adolescenti, e nel 2006 si è vista assegnare il Premio Andersen per il miglior libro sopra i dodici anni con Il mondo nei tuoi occhi. Due storie di un amore, scritto a quattro mani con Marco Tomatis e edito da Fanucci editore. Sempre con Marco Tomatis ha scritto il suo ultimo libro, Glauco e Lenina, uscito quest’anno per Giunti, mentre all’anno della vittoria risale Elogio alla bruttezza, storia che l’anno successivo verrà ripresa da La voce di noi due (entrambi con Fanucci), dove le prime attrici sono divenute diciassettenni.

La trama di Elogio alla bruttezza (Fanucci editore, collana Teens, 2006, pp. 176, € 11, dai 14 anni), molto semplice e realistica nei concetti, ha come protagonista Marcella, studentessa adolescente che, come moltissime ragazzine della vita reale, si considera brutta. Si procede alternando la narrazione in prima persona di Marcella a quella, sempre in prima persona, di Roberto, un ragazzo un po’ più grande, amico del fratello di lei, uno di quelli della comitiva dei belli senz’anima. E poi, incastrate nella storia, ci sono le pagine della tesina che Marcella sta scrivendo insieme alla sua amica Enterprise, che in realtà si chiama Giorgia, ma ha un apparecchio per i denti così grande e così pieno di ferraglia da farla sembrare, ahimè, un’astronave.

La tesina a cui le due ragazze lavorano si intitola, guarda un po’, Elogio alla bruttezza: entrambe, infatti, si vedono brutte, bruttissime, brutte tra i brutti. Perché quando si è brutti nella realtà non è come esserlo in una favola, non è come per il brutto anatroccolo che poi diventa un bellissimo cigno: nella realtà, i brutti non si trasformano, restano brutti. Quindi inutile negarlo, inutile aspettare che sia qualcun altro a dirlo, magari con battute e risatine alle spalle, magari fingendo di aver preso paura come per aver visto uno zombie. Marcella e Giorgia sanno di non essere carine, e, facendosi coraggio a vicenda, decidono di annunciarlo e di dichiarare in più capitoli di non preoccuparsene, scrivendo appunto quanto sia preferibile essere brutti. Perché sono i belli, in realtà, a doversi vergognare: i belli che non capiscono cosa si prova ad essere brutti e scherniti, i belli insensibili e senza cuore, i belli senz’anima, definizione prediletta dalle due amiche.

Ma non crediate che sia una cosa triste! Non dovete pensare a pagine e pagine di piagnistei: al contrario! Le due ragazze procedono nel loro lavoro con genialità e umorismo. Si ridono addosso, si prendono in giro da sole. Non si disperano, non si compiangono, non cercano risposte a lamentosi perché. Cercano piuttosto i lati positivi dell’essere brutte, come, ad esempio, l’obbligo del casco: ai brutti non rovina i capelli, non nasconde i lineamenti da fata, ma, anzi, regala la “bellezza” dell’anonimato, rendendo i brutti uguali ai belli.

Naturalmente, ci sono piccoli, grandi colpi di scena che animano la storia. Per esempio, Enterprise entra in crisi e si allontana da Marcella, che a sua volta risente della rottura: Mi ritrovo a battere pugni sul cuscino e a pensare cosa sta succedendo alla mia vita. Va bene, cambiano gli ormoni e puzzo di più. Mi prende il pianto all’improvviso e la voglia di ridere senza motivo. Mi prende un singhiozzo nel cuore e poi il desiderio di scomparire. Speravo di avere un’amica di sventure. Ecco cosa c’è. Non un’amica per essere amica, ma solo per condividere la parte brutta del mondo. E in questo ci trovavo una specie di respiro, una speranza. E adesso che mi ritrovo da sola mi faccio pena per questo. Perché criticando i belli ho anche io sfruttato qualcuno per la bellezza che mi dava. La sua amicizia. Quindi sono una brutta stratotale. Schifo. (p.49)

Giorgia si lascia abbindolare dalle riviste che promettono a tutti consigli miracolosi per diventare splendidi splendenti, cede al sogno e al desiderio di essere almeno carina, rinuncia alla tesina, stupida ed esagerata, che sta scrivendo con Marcella: perché, a suo parere, Marcella è forte e può permettersi di ridere perché non è brutta come lei, Marcella è più bellina, non ha un’astronave in bocca.

Povera Giorgia, e pensare che il bel Roberto, vedendola, comprende quanto possa sentirsi a disagio e infelice a causa di quell’arnese che, ironia della sorte, serve a farla diventare più graziosa.

Soprattutto, tra i colpi di scena, c’è Roberto, un personaggio ambiguo di cui le ragazze si accorgono soltanto quando, con una mossa sgraziata come al suo solito, Marcella gli tira un pugno in faccia. Roberto, bello e timido:

Le dico: Ehi, ciao.

Le dico: Salve, sono Roberto. E tu come ti chiami? Originalissimo.

Le dico: Sai che hai gli occhi a stella e i capelli di Tina Turner? Cretino, lo sa già.

Le dico: Strano questo maggio senza la fioritura dei tigli, non ti pare? Schifo!

Le dico: Quando ti vedo mi sento morire le gambe. Roba da pronto soccorso.

Le dico: Non ti preoccupare, non sono poi impossibili i compiti in classe di fine anno. Guardati solo dal dire troppi “cioè” quando sei interrogata. Forse lei usa “uhmmm” come intercalare.

Non le dico niente. La guardo e spero che si accorga di me.

Le dico qualcosa domani. Stanotte ci penso meglio. (p.47)

Semplice, sciocco, perfettamente adolescenziale. Terribilmente adolescenziale. Come sono giovanili certi timori, certi dubbi, certi desideri e certe timidezze.

Alla fine, riuscirà Marcella a sentirsi dire “sei bella quando respiri”?

E Marcella, man mano che la storia avanza, scopre con sorpresa che il suo bellissimo fratellone non è senz’anima, vede la bella di turno imbruttita da un’inaspettata caduta in piscina, e scopre di potersi confidare con sua madre: Io soffro tanto, mamma, perché mi vedo brutta. Non ho il viso largo come dovrebbe essere e neppure liscio e di pesca come tutti pubblicizzano ovunque. Vedi, mamma, neppure lo desidero, in fondo. Però soffro di più a sentirmi brutta dentro. (p. 75).

Cosa può rispondere una madre di fronte a tanta saggezza in erba?

– Perché, anche tu credi che io sia bella?

– Bellissima, Marcella.

– Ah, sì. E come mai nessuno me lo dice mai?

– Tu diresti al sole che scotta o al fiore che profuma o all’acqua che bagna? (p.75)

Ecco, la semplicità spiazzante di certi dialoghi è forse la caratteristica migliore di tutto il libro, che finisce in maniera un pochino scontata, ma non disturba.

Marcella non si trasforma in cigno (se non soltanto agli occhi di poche persone), ma diventa bella nei pensieri, accettando che qualcuno sia migliore di lei e diventando consapevole della sua persona, nel bene e nel male.

Alzi la mano l’adolescente che non si è mai sentito brutto.

Se avete alzato la mano, leggete questo libro. Se non l’avete alzata, leggetelo due volte, a voce alta!

 

copertina:

 

Loredana Frescura

Elogio alla bruttezza

Fanucci editore, Roma 2006

  1. 176, euro 11,00