“ESILIO”: UN GRANDE LIBRO DI ENZO BETTIZA
di Gianni Cimador
“Esilio” di Enzo Bettiza, scomparso a 90 anni, è uno dei più significativi romanzi del Novecento, colpevolmente trascurato da critica e antologie. Bettiza ha rappresentato nei suoi romanzi la difficoltà di essere “uomo di frontiera”, una condizione che si è sempre portato dentro e che gli ha dato una straordinaria capacità di comprendere tanti “altrove” rispetto al “centro” del mondo occidentale, penso alle acute letture della realtà russa e sovietica ma anche alla originale interpretazione della Rivoluzione Cinese del 1989 che noi occidentali abbiamo letto con i nostri parametri, mentre Bettiza ce l’ha raccontata dall’interno. Un uomo come lui, che ha vissuto la tragedia delle frontiere e l’impossibilità di riconoscersi in un’unica patria, ha saputo interpretare gli interstizi e le realtà “parallele” della Storia, al di là delle retoriche ideologiche. Anche per questo forse non ha mai avuto i riconoscimenti che si meritava, per l’appartenenza a un mondo che il Centro difficilmente comprende, perché la frontiera è lo spazio delle contraddizioni, delle appartenenze plurime e irriducibili: quello spazio che è stato ed è non solo la Venezia Giulia, ma ogni territorio dove la convivenza dei popoli diversi si rivela nello stesso tempo una risorsa e un problema e dove assumere una posizione univoca significa privarsi di una parte della propria identità, sebbene le parti politiche lo impongano, non tenendo conto di quanto “plurale” sia la vita vera che non è riducibile a nette definizioni politiche che risultano comunque false rispetto ai vissuti. In questo senso, bisogna sempre avere la cautela di collocare le parole nei contesti, senza giudizi affrettati o appunto ideologici. Bettiza poi segnala quanto sia feconda l’esperienza delle frontiere per capire la realtà e demistificarla rispetto alle rappresentazioni che vanno a senso unico. Ci mancherà il suo Sguardo, spesso proiettato ad Oriente, anche profeticamente, perché è da quel mondo che probabilmente arriveranno i grandi cambiamenti dei prossimi secoli: dobbiamo infatti sempre considerare che le forme culturali non sono assolute ed eterne, ma figlie del Tempo e relative, e che quindi anche il nostro sguardo dovrebbe di più relativizzarle per non ingabbiarsi e circoscriversi in mondi chiusi e autoreferenziali.