Eterni Promessi sposi

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di Anna Calonico

 

Sono sicura che se chiedessi quanti di voi, durante gli anni di scuola, hanno amato Manzoni e il suo capolavoro vedrei soprattutto facce perplesse che non osano dire “io non lo sopportavo”. Perché poi siamo cresciuti, e abbiamo capito tante cose, e abbiamo dato alla storia di Renzo e Lucia il rispetto e l’ammirazione che merita.

Ma questo è successo dopo, e se pongo davvero quella domanda credo che le mani alzate non siano più di una o due.

Quindi sono lieta di annunciare che da adesso le cose potrebbero cambiare, perché è appena uscito, per i tipi della Lapis, I promessi sposi, ma uno nuovo. Certo, la storia è sempre la stessa, ma questa volta è scritta da Sara Marconi, le immagini sono nuove, disegnate da Desideria Guicciardini, e vi assicurano che contribuiscono notevolmente a rendere questo volume un piccolo gioiello.

La trama la conosciamo tutti, e non è cambiata di una virgola, solo è più leggera e scorrevole, e questo aiuta sicuramente a proseguire la lettura. Naturale che qualcosa dell’atmosfera di Manzoni venga a mancare: per esempio, la dolce e timorosa Lucia prega molto meno che nell’edizione tradizionale, ma si capisce egualmente il suo carattere delicato e timoroso (di Dio ma non solo), Renzo rimane un adorabile scemotto con troppi diavoli per ogni capello, don Abbondio un inguaribile vigliacco (se potessi utilizzare un linguaggio più “giovane” userei una parola un po’ più volgare ma ben comprensibile), Perpetua una pettegola simile alla vicina di casa di quasi tutti… e così via. Credetemi: pur semplificati e accorciati, sono proprio I promessi sposi!

Per esempio, i pensieri angoscianti di don Abbondio dopo l’incontro con i bravi descrivono perfettamente il famigerato Don Rodrigo: «Il padrone di quei due, don Rodrigo, era il nobile il cui palazzotto sovrastava il paese, quello che faceva il buono e il cattivo tempo (ma soprattutto il cattivo) in tutta la zona. Aveva al suo servizio decine di bravi e centinaia di contadini quasi altrettanto violenti. Potente, ricco e viziato, offenderlo era impensabile: per onore uccideva senza sforzo e senza dubbi. Don Abbondio non sapeva perché quel signore tanto potente non voleva che lui sposasse quei due, ma di certo non avrebbe potuto disobbedirgli» (p.19).

Forse sarebbe bastata l’ultima frase a farci capire di che tipo d’uomo si sta parlando, ma tutto il flusso di pensieri dell’anziano parroco risulta come un climax di orrore per il povero religioso che, suo malgrado, è finito in mezzo ad una brutta storia che non può neanche concepire. Invece la paura reverenziale di Lucia ci mostra una fotografia di suor Gertrude: «una giovane donna, bella ma stanca, con un velo nero in testa. Pallida, inquieta, con uno sguardo strano che Lucia non riusciva a capire: sembrava che cercasse affetto e chiedesse pietà, ma anche che fosse molto arrabbiata» (pp.87-88): se non sapessi di chi si sta parlando, capirei subito che si tratta di un’anima martoriata. La sventurata rispose, diceva Manzoni, ponendo in un solo aggettivo tutta la pietà e la comprensione possibili per una donna travolta dal destino e dalle volontà più forti della sua. In questo libro cambiano le parole ma il concetto rimane lo stesso: «la chiamò, e lei, poverina, gli rispose» (p.100). Sventurata diventa poverina: comunque, un essere fragile che non può nulla contro gli altri.

Se vogliamo continuare a parlare di personaggi in crisi esistenziale non possiamo dimenticare l’Innominato, ricordando immediatamente i suoi tentennamenti di fronte alla dolce, timida, innocua Lucia: «“Dio, Dio!” la interruppe lui “Pensi di farmi paura parlandomi di Dio?”» (p.144). Certo che gli stava facendo paura: ha ripetuto il nome dell’oggetto del suo terrore, ha bloccato il discorso della sua vittima, è passato al contrattacco ribadendo (a se stesso) che non ha paura invece di dire qualcosa di nuovo e sensato. Come i bambini, come le persone quando non sanno cosa dire perché sono in preda al panico.

Nessuno vuole togliere nulla alla prosa del buon Manzoni, ma alcuni brani, anche brevi, sono dei piccoli capolavori di psicologia dei personaggi: «Lui si calmò subito. / “Prometti che verrai?” / “Prometto.” / Chissà se Lucia in fondo infondo non fosse contenta di essere stata costretta ad accettare; e chissà se Renzo non avesse fatto apposta quella scenata» (p.61). Stiamo parlando dei dubbi di Lucia a presentarsi davanti al parroco a sua insaputa, per sposarsi. E davvero sembra di trovarsi davanti una donnetta titubante che trema all’idea di dire di sì ma aspetta solo di farlo.

Altri passi, invece, sono quasi delle istantanee della vita di paese dell’epoca: «Era l’ora in cui tutti tornavano a casa: le donne che venivano dai campi con in braccio i bambini più piccoli e per mano quelli più grandi; gli uomini con le zappe sulle spalle, stanchi. In ogni casa brillava un fuoco, si preparava una cena. La gente si salutava e si augurava la buona notte. Le porte si chiudevano. Scendeva il silenzio» (p.64). Meglio che in un film: la sintassi spezzettata ci fa notare i piccoli grandi particolari e ci fa entrare nel pieno della scena, come fossimo una di quelle donne accaldate dal lavoro e dal peso dei bambini, o un uomo stanco che agogna la pace del focolare. Spettacolare come le parole possano trasportarci in un’epoca così lontana nel tempo e nello spazio.

L’intenzione della casa editrice Lapis era di celebrare il centocinquantesimo anniversario della morte dell’autore, ma la cosa assurda è che questo libro ne celebra la vita e il lavoro di una vita! In questo Promessi sposi c’è tutto Manzoni, il suo spirito è intatto, e anche se all’inizio fingiamo indifferenza per rimanere fedeli al nostro io bambino, presto o tardi l’empatia verso le vicende infinite degli sfortunati innamorati viene a galla, e ci troviamo ad illuderci che la sventurata Gertrude faccia la cosa giusta, a sperare che l’Innominato abbia il coraggio di cambiare vita, che la piccola Cecilia sia solo addormentata…

Sappiamo che è inutile, ma questo è il potere della letteratura: farci sognare che la storia non sia già scritta, o perlomeno che sia scritta come vogliamo noi. Ahimè, la monaca di Monza è debole come ce la ricordiamo, e la peste non risparmia nemmeno i bambini.

A proposito della peste, bisogna dire che le immagini sono alquanto efficaci nell’infondere sgomento e drammaticità, a cominciare da quella che ritrae le orde di Lanzichenecchi in arrivo: un fiume nero con lance rosso fuoco, fatto di tante teste indistinguibili una dall’altra se non i primi due della fila, con grandi cappelli piumati e visi sfumati dal contrasto luce/ombra tanto da sembrare due inquietanti maschere veneziane. E che dire dei morti abbandonati per strada, o accumulati a lato del passaggio, come in una predizione dell’olocausto? Per fortuna, arriva poi una pioggia fitta fitta che porta via tutto, e la sua rappresentazione, pur cupa, infonde una sorta di interminabile calma, con quei colori monotoni, quelle righe verticali che fanno pensare ad un quadro di Hiroshige, e una sola figura umana che si muove in tutto quel freddo, immutabile volere divino.

Non che i disegni siano tutti così tristi: il cardinale Borromeo che va incontro all’Innominato in lacrime con le braccia aperte ispira tanta pace e tanta sicurezza, come se il lettore fosse accolto in un abbraccio materno; Agnese che fila è una scena tranquilla come la serenità domestica di una buona casa; quando la vediamo chiacchierare con Perpetua ci viene quasi da tendere l’orecchio per sentire di chi stanno sparlando, e che dire del tondo finale? Vale più di mille E vissero felici e contenti!

Se ancora non vi ho convinti non vi resta che provare a prendere in mano questa piccola opera d’arte, curata in tutti i particolari, a partire dalla copertina: un oggetto delizioso per le mani, per la vista, per la mente e per il cuore.

 

 

 

I promessi sposi

raccontati da Sara Marconi

illustrati da Desideria Guicciardini

Lapis, 2023, pp.244, euro 14,90

età:+8