Ex libris horrificis

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Quattro maestri della calcografia illustrano altrettanti racconti di Howard Phillips Lovecraft

di Giuseppe O. Longo

 

Un magnifico omaggio a uno scrittore la cui notorietà, in larga misura – ahimè – postuma, è, a oltre ottant’anni dalla scomparsa, in continua crescita. Si tratta, ovviamente, di un libro, che peraltro costituisce anche una preziosa raccolta di calcografie: quattro ex libris che prendono lo spunto da altrettanti racconti di Howard Phillips Lovecraft, presentati sia nell’originale inglese sia in traduzione italiana. Il volume, edito a cura di Claudio Stacchi, è corredato da due testi poetici di Giuliano Avanzini ed è tirato in cinquanta esemplari, numerati in numeri arabi da 1 a 35 e in numeri romani da I a XV.

Già da questa prima descrizione sommaria si intuisce che non si tratta di un libro ordinario, di quelli che s’acquistano in libreria o addirittura in un supermercato o in un autogrill, ma di un prodotto artistico pregevole, che intreccia tra loro i tre ambiti dei quali il volume intende essere un paradigma: la sfera della creazione letteraria, quella della creazione artistica e, da ultimo ma non meno importante, l’amore per l’oggetto libro in sé, del quale l’ex libris testimonia il possesso e, proiettandosi in una dimensione storica, il transito per la biblioteca dell’intestatario.

Nella prefazione al volume, che nel titolo – Di questo e di molti altri mondi – riecheggia un saggio di Umberto Saba posto in premessa a un libro del 1950, Walter Chiereghin individua la ragione fondamentale del successo di pubblico della narrativa di Lovecraft, che “risiede probabilmente in primo luogo nella elevata qualità narrativa dei suoi racconti, basata principalmente sulla inesauribile vena della sua invenzione fantastica, che ha spaziato in ogni territorio che fosse segnato da ambigui incontri tra la realtà razionale, e le possibili deviazioni da essa, nel labile margine che evidenzia la contiguità, ad esempio, tra vita e morte, o tra un passato archeologicamente dissepolto e un futuro ipotizzabile.”

Partendo da tale assunto era inevitabile che l’alluvionale fantasia creatrice dello scrittore di Providence sollecitasse altre forme di rappresentazione artistica, prestandosi a sconfinamenti e a contaminazioni con altri generi, tra cui, sempre più spesso, opere musicali, dipinti, fumetti, film. Queste opere traggono spunto dagli allucinati paesaggi descritti da Lovecraft, dalle sue storie sempre in bilico sulla soglia che mette in comunicazione due o più mondi, uno dei quali è il mondo in cui viviamo e di cui cerchiamo di fornire una rappresentazione ordinata e razionale; tuttavia, al varcare della soglia, questo mondo è costretto a confrontarsi con altre realtà parallele, nelle quali il mistero non s’infittisce e non si dirada: semplicemente diventa altro rispetto a quello con cui dobbiamo fare i conti quotidianamente.

La breve antologia proposta da Stacchi comprende quattro racconti, appartenenti tutti alla prima stagione creativa di Lovecraft; si tratta infatti di testi scritti tra il 1917 e il 1921. Da ciascuno di essi è stato chiamato a ricavare un ex libris un artista, che nella progettazione ed esecuzione della sua opera si è naturalmente ispirato al racconto, ma interpretandolo in armonia con i propri parametri creativi e in sintonia con la propria storia.

Il primo e più breve tra i racconti, Memory, propone un paesaggio cupo e inquietante, in cui l’unico vestigio di presenza umana è dato da alcuni resti architettonici in rovina. Consegnata alla perizia calcografica del veneto Ivo Mosele, la narrazione trova puntuale corrispondenza nell’immagine proposta, ottenuta mediante il ricorso alla non facile tecnica della “maniera nera” – del resto usuale in questo artista – che procedendo in senso inverso rispetto alle più comuni tecniche incisorie, ricavando cioè le parti bianche del disegno dallo sfondo nero, fornisce un’immagine in cui lo sfumato e il chiaroscuro sono esaltati e conferiscono al risultato un’intensa drammaticità, del tutto in sintonia col testo illustrato.

L’illustrazione del racconto The cats of Ulthar è affidata a Laura Grusovin, che valendosi della sua consolidata esperienza di pittura e, anche, di calcografia, esercitata spesso nella produzione di ex libris, ci offre una composizione che si sviluppa verticalmente seguendo, dall’alto verso il basso, il procedere della narrazione di Lovecraft. Incontriamo così, a partire dalle ariose campiture del cielo, la raffigurazione di nuvole che prendono la forma dei mostri e delle sfingi evocati nel testo (secondo uno stilema già utilizzato dall’artista in opere pittoriche legate alla sua robusta vena surrealista); poi si scende, sempre seguendo e interpretando il contenuto del testo narrativo, focalizzando l’attenzione, per esempio, sulla casetta abitata dai due malefici vecchi che “era troppo piccola e buia, anzi sepolta sotto i rami delle querce che sbucavano dal retro di un cortile dimenticato dal tempo”. Un disegno finissimo e minuziosamente curato, che si conclude con l’immagine sorniona, a un tempo orrifica e serena, di un gatto placidamente acciambellato accanto alle ossa di un avambraccio umano, in sintonia con l’ambivalente conclusione del racconto, da un lato orripilante, dall’altro liberatoria, vista la repulsione che ispirano i due vecchi protagonisti della vicenda.

Bruno Missieri, artista e incisore piacentino, si direbbe assai distante dalle raccapriccianti visioni proposte da Lovecraft, per i temi trattati e per il gusto incline alla rasserenante contemplazione del reale che emerge in genere dai suoi lavori. In questo caso, tuttavia, si è cimentato con Dagon, uno dei racconti più angoscianti, in cui l’io narrante è sul punto di por fine alla propria esistenza, con la mente devastata dalla morfina e dal ricordo di un’avventura che l’ha visto sperduto nell’oceano a bordo di una minuscola imbarcazione arenatasi su una sterminata landa putrescente di fango nero. Si tratta solo dell’inizio di una vicenda che conduce il solitario naufrago alla scoperta di un piccolo mondo parallelo, orribile al punto di precipitarlo, per il terrore, nella pazzia che l’avrebbe portato sull’orlo del suicidio. La storia non è facile da inscrivere all’interno dell’agire artistico di Missieri, che infatti la trascura nei suoi sviluppi più sinistri per offrirci con la sua incisione l’immagine desolata ma composta, giocata nei toni del verde e del giallo, di un uomo immerso in una sconfortante solitudine sulla sua minuscola barca alla deriva sotto un sole fustigante, quasi un’allusiva metafora della solitudine di ogni essere umano.

La musica di Erich Zann, l’ultimo dei quattro racconti, ci presenta un brano allucinato e inaudito, eseguito sulla viola da un vecchio musicista muto, atterrito da un’oscura minaccia che sembra provenirgli dalla finestra della sua soffitta, e tuttavia obbligato a riprodurre col suo strumento quell’inquietante serie di accordi inconsueti in un crescendo ossessivo, dal quale soltanto la morte potrà alla fine liberarlo. È già difficile tradurre una musica in parole, e parrebbe addirittura impossibile rappresentarla in un’opera grafica, ma non sembra che ciò abbia costituito un impedimento per l’estro creativo di Franco Dugo, il secondo goriziano di questa piccola schiera di illustratori, che si è avvalso, oltre che dell’esperienza di incisore, del suo grande talento di ritrattista per restituirci non solo la diabolica dinamicità dello sconvolgente concerto ma anche, incombente sullo sconvolto violista in primo piano, un’immagine dello stesso Lovecraft che, con espressione stralunata, irrompe dalla finestra in secondo piano, avviluppato in una chioma di tentacoli che si apprestano a ghermire il disgraziato esecutore.

Con i loro ex libris, i quattro artisti hanno compiuto una suggestiva incursione nel fantastico universo creativo dello scrittore americano, restando tutti fedeli alle proprie modalità espressive e vincendo la sfida di un confronto tanto impegnativo.

 

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