Famà: dove eravamo rimasti?

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“Aldo Famà. Opere 1992-2016” personale (purtoppo postuma) dell’artista triestino a Malborghetto

di Walter Chiereghin

 

La mostra “Aldo Famà. opere 1992-2016”, inaugurata il 1° luglio e visitabile fino al 28 nei locali del Palazzo Veneziano di Malborghetto (Udine) ha un antefatto risalente al 1994. allorché, nei medesimi prestigiosi spazi espositivi, si era realizzata un’altra personale dell’artista triestino, riguardante, com’è ovvio, la sua produzione precedente. Il percorso espositivo di queste due rassegne, a quasi trent’anni di distanza tra esse, prende avvio da un identico incipit: una serie di quattro dipinti, autonomi l’uno dall’altro, ma collegati tra loro da una fascia, un nastro di colore bruno che li percorre attraversandoli, suggerendo una lettura unitaria delle quattro opere, che sembrano accostate in maniera da comporne deliberatamente una soltanto. La cosa non è frutto di una mera coincidenza e quelle opere, disposte in quella maniera, sembrano – oggi come trent’anni fa – la rappresentazione di un’esplicita metafora che intende riassumere per intero l’itinerario creativo di Aldo Famà, una parabola evolutiva che procede per approfondimenti successivi, nessuno dei quali nega, contraddice né abbandona quelli che lo hanno preceduto.

Dalla non comune coerenza formale, perfettamente avvertibile anche nell’esposizione attuale, discende la limpida riconoscibilità delle opere di Famà, che da molti anni hanno abbandonato il naturalismo figurativo degli esordi, improntati a codici postimpressionisti, per avventurarsi nei non facili terreni di un astrattismo inizialmente analogo a quello di Lojze Spacal, nel quale sono sovente individuabili precisi riferimenti agli oggetti rappresentati. Tuttavia l’agire artistico di Famà si è ben presto progressivamente evoluto nella semplificazione del segno, sempre più essenziale, fino ad approdare a un’astrazione geometrica che dà corpo a un lirismo sofisticato e al contempo appassionato, di forme che si compongono in articolati percorsi sulla tela.

I singoli elementi di ciascuna composizione, figure piane raccordate tra loro che, disponendosi sulle larghe campiture piatte dello sfondo, risultano distinte ciascuna dalle altre non soltanto dalle contrapposizioni cromatiche – talvolta esibite in squillanti contrasti, in altri casi in accostamenti armonicamente raccordati tra loro – ma anche dalla ricorrente presenza di aree evidenziate da un materico rilevarsi della superficie, ottenuto mediante materiali eterogenei quali carte da parati, tessuti, fogli di sughero, cartoni ondulati o semplicemente da uno spesso strato di colore ad olio, che sembra preludere agli ultimi esiti di una ricerca formale che ha trovato nella tridimensionalità della scultura un approdo lungamente accarezzato nei dipinti.

Come mi raccontò in un’intervista dell’aprile 2019 (Geometrie della bellezza, in: Il Ponte rosso n. 44), l’esigenza di dare corpo alle sue figure piane rodeva come un tarlo, finche non gli fu messa davanti la possibilità tecnica di dare concretezza a quel suo sogno in apparenza quasi irrealizzabile: «Era una cosa che mi intrigava da tempo, già molti anni addietro avevo tentato la via della scultura, ma trasporre oggi le mie opere costruite esplorando la possibilità di far diventare dei solidi le figure piane è un’idea che mi ha attratto e che sto realizzando grazie all’aiuto che mi viene dato da chi dispone del software e degli strumenti hardware per creare lo scheletro, il supporto tridimensionale di quanto poi completo intervenendo con strumenti – pennelli, forbici e quant’altro – che riesco a padroneggiare per una consuetudine ormai antica».

Questo deciso cambio di passo nell’evoluzione del pensiero creativo di Famà ha finalmente trovato compimento grazie ad avanzate tecnologie che hanno consentito all’artista di conseguire un risultato formalmente allineato con la sua precedente produzione su carta e su tela e, al contempo, proiettato in uno spazio creativo rinnovato, che, pur raccordandosi alla precedente inesausta ricerca formale, segna un deciso salto in avanti nella sperimentazione, grazie alla disponibilità solo di recente accessibile e prontamente utilizzata, della stampante 3d che ha consentito all’artista di trasporre in forma di solidi le figure piane nelle quali si era per lunghi anni esercitato, continuando peraltro a farlo fino allo scadere fatale del tempo che gli è stato concesso.

 

Traccia del tempo

collage carta e cartone, 2002