FILUMENA MARTURANO AL ROSSETTI DI TRIESTE

TEATRO

GRANDE FILUMENA

di Walter Chiereghin

 

i protagonistiIl testo di Filumena Marturano gode di una larghissima diffusione e una pluralità di grandi attrici con quel lavoro teatrale si sono cimentate da protagoniste con successo, a partire da Titina De Filippo, per la quale il fratello Eduardo aveva scritto la commedia nel 1946, per proseguire in seguito con Regina Bianchi, protagonista di una fortunata registrazione televisiva nel 1962, e ancora Pupella Maggio, Valeria Moriconi, Isa Danieli, Lina Sastri e Mariangela Melato. E poi, con Matrimonio all’italiana di Vittorio De Sica, l’arrembaggio a tutte le sale cinematografiche del pianeta, grazie all’interpretazione di una indimenticabile Sofia Loren cui faceva da contrappunto un Marcello Mastroianni altrettanto indimenticabile. Ma non basta il teatro di prosa, il cinema, la televisione. Un’altra Filumena fu interpretata da una straordinaria Carla Fracci in un balletto su musica di Nino Rota, andato in scena al San Carlo di Napoli nella primavera del 2000, rielaborazione di Finale danzato per Filumena Marturano, una pantomima scritta da Eduardo per la grande danzatrice nel 1978.

Con questi antecedenti, misurarsi nel ruolo dell’indomabile compagna e nemica di Domenico Soriano risulta per un’attrice un autentico azzardo, ma la cosa non ha intimidito, evidentemente, Mariangela D’Abbraccio, che ha potuto contare sulla regia di Liliana Cavani – per la prima volta impegnata nel teatro di prosa – e sul supporto in scena di Geppy Gleijeses, sobria reincarnazione di Domenico Soriano, attempato viveur partenopeo gabbato alla fine da Filumena, sua implacabile antagonista. La vicenda si apre sulla scena col fallito tentativo della donna di farsi sposare in articulo mortis dall’uomo che l’aveva tratta da un postribolo per relegarla poi in casa propria in un ruolo in parte ancillare, in altra parte di padrona di casa, convivente rassegnata alle assenze, alle intemperanze e ai tradimenti di don Mimì Soriano. Da tali antecedenti si sviluppa poi il resto della vicenda: la nullità del matrimonio certificata da un legale, l’avvocato Nucella, la rivelazione di Filumena a Soriano di esser segretamente madre di tre giovani, l’agnizione della donna agli stessi, l’ulteriore rivelazione al padrone di casa che uno dei tre Filumena lo ebbe da lui, il prevedibile lieto fine matrimoniale con la sposa che finalmente riesce a piangere e lo sposo fatto infine persuaso che i valori della sua vendemmiante età non possono essere più quelli di una scapestrata giovinezza protrattasi fin troppo a lungo.

Approdato al Rossetti dopo i successi delle due precedenti stagioni in giro per l’Italia, la commedia di De Filippo ha incassato nella versione della Cavani un largo consenso, compreso quello del pubblico più giovane che presumibilmente incappava per la prima volta in quel testo. Merito, evidentemente, della sua qualità teatrale e letteraria, dell’impeccabile regia, della professionalità di tutti i comprimari, ma ritengo soprattutto della vis drammatica della protagonista. Mariangela D’Abbraccio ha difatti saputo percorrere per intero la parte che il copione le assegnava, dall’impetuosa alterigia del primo atto, quando ancora riteneva di essere riuscita ad aver saziato la sua ambizione di divenire la signora Soriano, alla nauseata contemplazione di quella che era stata la vita del suo compagno («E chesto capisce tu: ‘e denare! E cu’ ‘e denare t’he accattato tutto chello ca he voluto! Pure a me t’accattaste cu’ ‘e denare! Pecché tu ire don Mimi Soriano: ‘e meglie sarte, ‘e meglie cammesare… ‘e cavalle tuoie currevano: tu ‘e ffacive correre… Ma Filumena Marturano ha fatto correre essa a te!»), alla trepidazione della rivelazione della propria identità ai figli, alla sfrontata arroganza paritaria con la quale racconta di essersi rivolta a un’immagine della Vergine per averne un consiglio nella prima non desiderata gravidanza. Una effervescenza che si stempera in toni meno perentori nella seconda parte della commedia (rappresentata senza interruzioni tra i tre atti), quando Filumena deve giocare d’astuzia per indurre alle nozze un recalcitrante Mimì, fino a esaurirsi del tutto nella dolcezza dell’ultima scena.

Un grande classico della drammaturgia contemporanea, che richiede interpreti di eccezionale levatura attoriale.