Gadda è un lollobrigido

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Carocci ha pubblicato un dizionarietto utile (e divertente) per guidare il lettore nell’esplorazione della prosa dell’«ingegnere della letteratura»

Irridente, parodistico e furioso è il rapporto di Gadda soprattutto con la lingua roboante e bugiarda della retorica

di Francesco Carbone

 

«Sono diventato una specie, di Lollobrigido,

di Sofio Loren, senza avere i doni

delle due impareggiabili campionesse»

(Carlo Emilio Gadda, Lettere agli amici milanesi)

 

Gaddabolario è una parola che non esiste, o almeno che non esisteva fino al novembre del 2022, quando ha dato il titolo al dizionario minimo – e divertentissimo – di alcune delle parole più saporose della scrittura di Carlo Emilio Gadda. Il vocabolarietto (174 pagine) sa a chi rivolgersi: con indispensabile ottimismo a chi di Gadda ha intravisto qualcosa restandone incuriosito; e a quelli che la contagiosa Introduzione di Paola Italia chiama gli «adepti».

Adepti è una parola sulla quale vale la pena inciampare: viene dal latino degli alchimisti per indicare quelli che sono stati iniziati, che hanno ottenuto (adeptus) l’accesso al segreto della pietra filosofale.

Il Gaddabolario (a cura di Paola Italia, Carocci 2022) è dunque un libro per innamorati potenziali e amanti di fatto di Gadda, enclave tenace e proliferante di cultori della letteratura che quando leggono il sottotitolo, Duecentodiciannove parole dell’Ingegnere, sanno che l’Ingegnere è lui e che il 219 è il numero civico del palazzo in cui fu uccisa Liliana Balducci: 219 vuol dire Quer pasticciaccio brutto de via Merulana.

Per scrivere i 219 lemmi, sono stati coinvolti più di 60 collaboratori coordinati da Paola Italia, la responsabile, con Giorgio Pinotti e Claudio Vela, della nuova edizione Adelphi di tutti gli scritti di Gadda.

Paola Italia CI avverte che «a leggere Gadda ci si diverte moltissimo. A volte fino alle lacrime». I seriosi stiano alla larga. La prima eccezionalità di Gadda è che è anche sfrenatamente comico, quasi una pecora nera nella «letteratura italiana, così poco familiare, salvo rare eccezioni, all’umorismo». Che il Tragico sia da sempre tenuto più in alto del Comico, è la tragedia della letteratura. Quando un autore comico nasce, ci si vendicherà classificandolo minore, stravagante, periferico, non canonico. Perché perfino l’Orlando furioso sarà sempre tenuto almeno un gradino sotto la Commedia di Dante? Perché fa ridere (e perché Dio ha appena una parte da non indispensabile caratterista).

Si potrà leggere il Gaddabolario saltando da una voce all’altra, o tutto di fila come un romanzo, oppure ritrovarsi a collegare le voci, come fa Pollicino con le sue pietruzze, per percorsi propri. Uno di questi potrebbe essere cercar di capire qualcosa del perché sia necessario e divertente perdersi in un glossario di Gadda e non, per esempio, di Moravia. I lettori di Moravia direbbero che è evidente che l’autore degli Indifferenti non ha alcun bisogno di un dizionario specifico. Per dire che è “diventato famoso”, Moravia avrebbe usato più o meno la frase appena scritta: Gadda scrive che è diventato «una specie di Lollobrigido» (accadde dopo la pubblicazione del Pasticciaccio nel 1957, quando aveva 64 anni). Quante cose ci suggerisce quel Lollobrigido… Questa constatazione potrebbe essere l’inizio di una serie di pensieri interessanti: ci sono dunque scrittori che scrivono in una specie d’italiano straniero e altri nell’italiano di tutti.

Del resto, la natura straniera della nostra lingua è un dato di fatto: quante parole abbia l’italiano non lo sa nessuno: forse 700.000. ma quasi tutto viene detto da quasi tutti con 2.000 parole. Un giorno un computer, se non l’ha già fatto, ci dirà di quante parole è fatta la scrittura di Gadda. Certo molto meno della nostra lingua desolatamente standard.

È dunque già comico il ritrovarsi in un libro dell’Ingegnere: si legge come se le parole fossero diventate bucce di banana sulle quali si scivola (finendo spesso col sedere per terra). Scrive Paola Italia che l’esperienza è quella di «leggere nella propria lingua e percepirne un’altra». Con Gadda l’italiano diventa una lingua inquieta, imprevedibile e sconfinata, piena di parole mai sentite, sempre pronta a germogliarne di nuove: una lingua che permette di congegnare frasi allo stesso tempo esatte e strane (con Gadda esatte proprio perché strane), dalla sintassi anche fluviale: frasi «a cavaturacciolo» (Interviste al microfono, Rai-ERI 2001).

Perché questo? Soprattutto, nel caso di Gadda, per un tentativo strenuo, anche ferito e furioso, di provarsi a dire le cose. Francesco Berni di Michelangelo scrisse che «e’ dice cose e voi dite parole». Gadda tutta la vita ha cercato di fare lo stesso. Per dire le cose, le cose del «mondo fuori sesto» di Amleto (figura essenziale, per la quale si veda la voce Shakeaspearizzare di Giuseppe Stellardi), la lingua sarà portata a gemere, contorcersi, a fari spastica. Gianfranco Contini per primo parlò di espressionismo: un espressionismo necessario per dire le cose: problematicissima faccenda.

Cos’è una cosa? Se un bicchiere d’acqua ci fa solo pensare se berlo o meno, in quel momento non siamo gaddiani. Se invece ci si accende nella mente la domanda (Gadda direbbe ci fa frullare l’ùzzolo) di cosa abbia reso possibile questo bicchiere adesso a portata della nostra mano, siamo finiti dalla parte dell’Ingegnere: eccoci benvenuti nel «gomitolo delle concause», in un mondo con un’infinità di entrate e nessuna uscita.

L’Ingegnere descrive una centrale elettrica, e subito ci dice che «la centrale elettrica, pensata da sola come banalmente la si pensa staccandola dal resto del mondo (oh che bella centrale elettrica! si dice volgarmente guardando l’edificio e le macchine) è un puro nulla» (Scritti vari e postumi, Garzanti, 1993). Già Plotino nelle Enneadi aveva scritto che «ogni cosa è tutte le cose», e in Eureka di Edgar Allan Poe, che Gadda conosceva, si legge che «non ci sono verità di per sé stesse». Il desiderio di dire le cose come sono è una fatica di Sisifo: proprio perché ogni cosa è un nodo (lo «gnommero» del Paticciaccio) in cui convergono e da cui si dipana una rete di relazioni infinite. Il destino di chi si sente chiamato da questo demone della precisione è l’incompiutezza. Incompiute sono la gran parte delle opere di Gadda.

Nel Gaddabolario si legga la voce Felicità – Facilità (di Serena Vandi), in cui si riporta il brano celebre del Pasticciaccio in cui sono descritti i gioielli ritrovati della vedova Menegazzi: «vertiginosa enumerazione» di preziosi, in cui gli orecchini diventano il cuore di «infinite relazioni storiche, analogiche, mineralogiche, al passato o al futuro, appese ai lobi di una donna». La descrizione dei gioielli prende cinque pagine del romanzo. Non potrebbe essere altrimenti.

L’ingegnere elettrotecnico Carlo Emilio Gadda (laurea nel 1920) si iscrisse nel 1924 alla facoltà di filosofia, finì tutti gli esami nel 1928 ma lasciò incompiuta la tesi su Leibniz. Leibniz è il filosofo dell’infinità del mondo, in cui ogni cosa è specchio di tutte le altre, dunque indagabile all’infinito. La tesi di Gadda diventerà la Meditazione milanese, pubblicata postuma nel 1974.

Di Leibniz a Gadda tutto appare necessario, in particolare l’idea del mondo come «sistema di sistemi» (I. Calvino, Lezioni americane, Garzanti1988); tutto tranne l’idea che l’universo risponda a un’armonia prestabilita. Uno dei saggi essenziali per leggere Gadda resta La disarmonia prestabilita di Gian Carlo Roscioni (Einaudi 1995).

Che il mondo sia un disarmonico «caravanserraglio» (Racconto italiano di ignoto del novecento, Einaudi, 1983) e un «campo oltraggioso di non-forme» (La cognizione del dolore, Adelphi 2017), è qualcosa che Gadda provò negli anni della Grande Guerra, a cui partecipò volontario e nella quale perse il fratello Enrico. La pagina del Giornale di guerra e di prigionia (Garzanti 1999) sulle scarpe degli alpini – scarpe mandate da «delinquenti» – può essere un esempio di come il mondo complicatissimo sia già raccolto in un solo semplice (?) oggetto: in quelle scarpe Gadda giovane già vedeva la «macchina» che dai piedi dei soldati arrivava ai vertici irraggiungibili dei sonnambuli che tutto ciecamente comandano.

Rispetto a questo, scrive ancora Paola Italia, «adottare la lingua comune per la rappresentazione di una realtà deformata e barocca è un atto immorale».

Nel Pasticciaccio, capolavoro dell’impossibilità di un cartesiano romanzo giallo alla Conan Doyle, il delitto, «Il fattaccio era l’effetto di tutta una rosa di causali che gli eran soffiate addosso a molinello […] e avevano finito per strizzare nel vortice del delitto la debilitata “ragione del mondo”».

Nessuna cosa, nessuna persona è uno (Gadda scrive un) Gnocco: «non è possibile pesare un grumo di relazioni come finito, come un gnocco distaccato da altri nella pentola» (Meditazione milanese). Non gnocco, ma gomitolo ingarbugliato, e cioè Gnommero: «le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare; ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti» (Quer pasticciaccio).

Con quale possibilità di venirne a capo? «Ogni ipotesi, ogni deduzione […] risultava offrire un punto debole, come una rete che si smaglia. E il pesciolino… addio! Il pesciolino della ricostruzione impeccabile» (Quer pasticciaccio, cit. nella voce Piscivùlvolo).

Principio euristico ed etico di questo Sisifo della verità sarà quello Santommasesco di ficcare il dito nella piaga «dei fenomeni centrifuganti» (Pagine di divulgazione tecnica): atteggiamento etico confermato dal Cristo che «induce […] a permettergli di toccarla» (Eros e Priapo). Mettere sempre il dito nella piaga, per non Vagolare, perché «la esperienza “deve” essere condotta a profitto: altrimenti si vagola bambocci sperduti verso una buia eternità» (Ibid.).

Irridente, parodistico e furioso è il rapporto di Gadda soprattutto con la lingua roboante e bugiarda della retorica: fatta di parole che a studiarle riveleranno «un guscio, senza più il lumacone di dentro» (I viaggi la morte, Garzanti 1999). Alla voce Pedagoghesco (di Marco Gaetani) leggiamo che in Gadda è sempre vivo «l’illuminista: la polemica si volge contro i cattivi maestri, i retori assertori zelanti di valori contronatura».

Agli antipodi dell’«ingegnere» è il D’annunziesco: «L’ingegnere progettista non è, beninteso, un eroe d’annunziesco intento a rimirar sé del continuo dentro allo specchio della propria esasperata vanità. Non vede sé, vede l’opera, vede “la cosa che dovrà essere”, il filo dell’atto, degli atti, che discende dalla conocchia del pensiero» (Scritti dispersi).

D’Annunzio è lo scrittore che si auto-idolatra; Gadda è un «autoiconoclasta» (Lollobrigido, di Milena Giuffrida) che scrive per mettere il mondo al posto dell’Ego («l’io, io,… il più lurido di tutti i pronomi!», La cognizione del dolore).

Il contrario di questa coscienza, è il fascismo: frode linguistica gigantesca che ha usurpato il posto del mondo «caravanserraglio» per mettervi un formulario elementare, fantastico e feroce. La sua lingua è un gergo di priapi millantatori, fatto di parole che squadrano da ogni lato e «a lettere di fuoco» (Gadda leggeva con cura Montale) non solo l’animo ma ogni cosa (vedi Priapare di Riccardo Gasparina Geroni).

Mussolini è bersaglio di furie geniali e irresistibili, soprattutto nel Pasticciaccio e in Eros e Priapo. Le voci del Gaddabolario che gli sono dedicate sono molte: tra le altre Predappiofezzo «Napoleone fesso e tuttoculo» (Eros e Priapo), Kuce «Una bugia sporca, su dalla tenebra delle anime. Dalle bocche, una bava maiala. Kù-cè. kù-cè. kù-cè,. kù-cè. Cuce il sacco delle sue frodi un gradasso […] pronto sempre da issù poggiuolo a dismentire ogni cosa, a rimentire ogni volta» (Ibid.).

E mentre il fascista si muove nel mondo che non conosce come a casa sua («Gli uomini che non si voltano» di Montale), con Gadda (vedi Zingaresco) si procede con la ragione, che pianta via via le proprie tende «in luoghi nuovi, e ad ogni stazione dice trionfando: “Vedete?” Questa è la mia città! Hic civitas mea. Ma è una città coi un anelito urge verso ogni oltre, è una zingaresca città» (Meditazione Milanese).

 

Gaddabolario

Duecentodiciannove

parole dell’ingegnere

a cura di Paola Italia

Carocci, 2022

  1. 176, euro 16,000