Giovane per sempre

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Il romanzo della breve ma intensissima vita di Carlo Michelstaedter

di Alberto Brambilla

 

A scuola non gli si dedica nemmeno una riga o un accenno en passant; e neppure all’Università; persino alla Facoltà di Lettere e Filosofia credo non si accenni al filosofo goriziano Carlo Michelstaedter (1887-1910). Eppure è tra gli autori più studiati all’estero, è diventato quasi una star per molti lettori a lui da sempre fedelissimi (forse perché “gli eroi son tutti giovani e belli”, con quel che ne consegue; forse perché è o potrebbe essere nostro fratello o figlio); ce lo ricorda Sergio Campailla, da sempre il suo maggiore studioso, e anzi scopritore e abilissimo regista della irresistibile ascesa di Carlo.

Ha incominciato con A ferri corti con la vita (1974), il Campailla, prima folgorante biografia consacrata a Michelstaedter. E ha poi proseguito negli anni curando le opere maggiori e minori, e minime (conservate nell’inesauribile Fondo Michelstaedter della Biblioteca Isontina guidata con intelligenza da Marco Menato), facendo in parallelo conoscere la straordinaria abilità di disegnatore e caricaturista di Michelstaedter (se ne veda il corpus curato dalla diligentissima Antonella Gallarotti: L’immagine irraggiungibile. Dipinti e disegni di Carlo Michelstaedter, 1992). Già autore di un affascinante libro dedicato ad una sconvolgente avventura amorosa ed esistenziale di Carlo (Il segreto di Nadia B. La musa di Michelstaedter tra scandalo e tragedia, pubblicato nel fervido centenario 2010), il Campailla ritorna ora in pista per regalarci un’altra, più completa e meditata, biografia del suo eroe (Un’eterna giovinezza. Vita e mito di Carlo Michelstaedter, Marsilio, 2019), frutto di approfondimenti, di nuovi documenti e persino del fortunoso e fortunato ritrovamento – dovuto anche al fiuto di Simone Volpato – di parecchi libri appartenuti a Carlo e alla sua famiglia.

Nato ai margini della Mitteleuropa, nella mite e accogliente Nizza asburgica, allora frequentata dai sudditi aristocratici dell’Impero, Carlo Michelstaedter incarna alla perfezione i dubbi e le ansie della sua epoca, ma anche l’entusiasmo e l’energia che si diffondono a cavallo dei due secoli. Figlio di un’agiata famiglia borghese di origine israelita, dopo aver frequentato il Ginnasio in patria, Carlo si reca a Firenze per seguire i corsi universitari. È attratto dagli studi letterari e filosofici – e in quanto tale si iscrive al prestigioso Istituto di studi superiori del capoluogo toscano, dove ha maestri del calibro di Girolamo Vitelli, Pio Rajna e Pasquale Villari, ma anche del più modesto Guido Mazzoni, filocarducciano e in buoni rapporti con il padre di Carlo –; ma ha anche un talento straordinario per il disegno e dunque frequenta corsi di disegno e si immerge con trasporto nelle opere d’arte offerte a profusione dalla città. È un ragazzo affascinante Carlo; è atletico e sportivo, curioso, pieno di vita ed assetato di esperienze. Firenze gli dona tutto quanto un giovane può desiderare: arte, natura, bellezza, cultura, incontri d’ogni tipo, comunque mai banali. E naturalmente gli offre amore. È la tenera e struggente passione per Nadia, ricca e colta aristocratica russa; o il trasporto amoroso per la compagna di studi Jolanda. Per il giovane goriziano è l’incontro con un mondo nuovo, un’ondata di sentimenti che mettono in crisi i valori familiari, incarnati dal padre Alberto, un uomo che si è fatto dal nulla, che ha saputo far convivere affetti, affari e interessi culturali.

Ma il destino comincia ad accanirsi con Carlo, che incontra per la prima volta la malattia e il dolore. È la vergogna della sifilide, è il suicidio inspiegabile di Nadia e il senso di colpa che ne deriva. La cultura, gli studi accademici, non bastano più a consolare Carlo. Resta però la filosofia e una sete inesauribile di trovare una via d’uscita, di giustificare comunque il senso della vita. Il figlio intanto entra i conflitto con la famiglia, in particolare con il padre Alberto, contrario al legame con una gentile (ossia Jolanda). Alberto è un ambizioso intellettuale di provincia che sogna per il figlio un’agiata vita borghese, un matrimonio sicuro, una famiglia serena, un lavoro ben retribuito. Non è però un ingenuo, sa che ogni tanto bisogna piegare la testa, adattarsi, indossare una maschera. Lui ha fatto così. Carlo però non riesce a fingere e ad adeguarsi a una società che giudica ipocrita, non ha la forza di abbandonare i suoi sogni, è innamorato della verità e dell’autenticità dell’esistenza.

Intanto la malattia contratta a Firenze gli succhia a poco a poco la linfa vitale e incominciano a serpeggiare tentazioni suicide – non per debolezza, s’intende, ma piuttosto per forgiare una vita più piena – a imitazione del fratello maggiore Gino, che si è tolto la vita a New York. Non è tanto importante la durata di una vita, quanto la sua intensità. Così scrive Carlo, difficile non farsi attrarre da questa affermazione; egli, nonostante la coscienza della malattia, vivrà giorni di straordinaria e incessante attività, tra disegni, scritti e disordinate quanto intensissime letture, che spaziano dai filosofi presocratici a Tolstoj alle dottrine orientali, non trascurando Schopenhauer e persino il vecchio Carducci. Tornato nella piccola Gorizia, Carlo si chiude a riccio per ascoltare sino in fondo la sua voce interiore; e si isola da tutti per mettere a punto la sua tesi di laurea, che diventerà il suo capolavoro, La persuasione e la rettorica. Un lavoro, come non è difficile immaginare, che sarebbe stato rifiutato dal meticoloso Vitelli: si trattava di una bomba destinata a deflagrare, non del solito compitino erudito per accedere alla carriera accademica Come nelle tragedie greche, la storia personale di Carlo precipita verso il suo fine ultimo e necessario, il suicidio. Si spara un colpo di rivoltella alla tempia il 17 ottobre 1910, a poco più di 23 anni. Ma il suo pensiero, la sua disperata ricerca della verità non muoiono e continuano ad interrogarci.

Dobbiamo essere grati a Campailla, che da quasi mezzo secolo si dedica con intelligente affetto a ricostruire e a valorizzare la biografia e l’opera di Michelstaedter, per quest’ultimo libro; scritto con calibrata competenza e con una qualità di scrittura avvincente come un romanzo. Avremmo però forse desiderato qualche inserto fotografico per fissare nella memoria alcuni passaggi del libro. E in appendice sarebbe stato utile un percorso bibliografico per consentire ai lettori di ripercorrere e magari approfondire i singoli fili della tela complessa che Campailla ha avuto la forza e la capacità di intessere.