Giuseppe Tominz a Lubiana

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Di Alessandro Quinzi

 

Trieste, Gorizia o, più correttamente, Nova Gorica e Lubiana traguardando Vienna: sono questi i luoghi fisici e culturali, nei quali visse e operò Giuseppe Tominz (1790–1866) dopo l’apprendistato romano e che sono idealmente collegati nel piccolo omaggio reso all’artista goriziano dalla Narodna galerija di Lubiana, auspice l’Ambasciata d’Italia, e intitolato “Uno sguardo su Giuseppe Tominz pittore”. Nel concreto, nel c.d. Salone dorato, fanno bella mostra di se il piccolo ritratto di Giovanni Milost detto Zuan delle rose, della Galleria nazionale d’arte antica di Trieste, e due inediti ritratti di recente entrati a far parte delle collezioni del Goriški muzej di Nova Gorica, istituzione omologa dei Musei Provinciali sul versante sloveno del Goriziano. Ben noto al pubblico è lo Zuan delle rose, uno dei caposaldi della produzione tominziana degli anni Venti dell’Ottocento, esposto a Trieste nel 2002 e da ultimo a Gorizia nel 2011. All’aria scanzonata del dandy goriziano ben si attagliano le parole scritte nel 1934 da Silvio Benco, secondo il quale Tominz “ritrae l’uomo con una cera rubiconda e un sorriso da cuor contento, faceto, espansivo, pasciuto e pacione.” Al termine dell’esposizione lubianese il dipinto raggiungerà la Galleria del Belvedere di Vienna per essere esposto alla mostra “Ist das Biedermeier? Amerling, Waldmüller und mehr” (21 ottobre 2016 – 12 febbraio 2017 ) assieme ad altre due tele del nostro: il “Ritratto della famiglia Buchler” del 1829 e il “Ritratto dei coniugi Leva”, licenziato un decennio più tardi. Per una curiosa coincidenza anche la mostra viennese è stata realizzata con il contributo dell’ambasciata italiana.

Alla stessa altezza cronologica dello Zuan delle rose dovrebbero risalire pure i due ritratti inediti del Goriški muzej. Acquistati presso una collezione privata goriziana, le due tele provengono da Trieste e secondo i primi esiti dell’indagine condotta da Katarina Brešan, curatrice della collezione d’arte del museo sloveno, vi si dovrebbero riconoscere Carlo Sandrini e la moglie Matilde Hoffmann. Come in altri ritratti del genere, le due tele vanno lette assieme, abbinate a comporre un dittico coniugale, non solo per le identiche dimensioni delle tele e per la fattura delle cornici, quanto per il rapporto che lega i due effigiati leggermente rivolti l’uno verso l’altra. Ma è soprattutto lo sguardo di Matilde che, “bucando la cornice”, pare affidarsi al marito, saldo nella sua postura e non a caso ritratto con un vigoroso chiaroscuro.

Alla presentazione sono intervenuti la direttrice della Narodna galerija Barbara Jaki e l’ambasciatore d’Italia Paolo Trichilo, la già menzionata Katarina Brešan e il direttore del Polo museale del Friuli Venezia Giulia Luca Caburlotto che ha ricondotto il senso dell’operazione nell’alveo della collaborazione tra le istituzioni museali afferenti a due entità statali, ma unite da comuni radici culturali.