Gli sbilanciamenti di Venezia 76

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di Alan Viezzoli

 

Volendo fare il giochino di trovare un singolo aggettivo per descrivere la 76ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia che si è svolta dal 28 agosto al 7 settembre 2019, questo potrebbe essere “sbilanciata”.

Sbilanciata nella selezione principale, che ha favorito il concorso con nomi in gara estremamente forti e interessanti, salvo poi non riuscire a trovare una controparte altrettanto convincente nelle altre sezioni.

Sbilanciata nel concorso, dal momento che i registi più forti e i film risultati più degni di nota sono stati concentrati nella prima settimana di Mostra, lasciando i titoli più deboli tutti nella seconda parte della competizione.

Sbilanciata nei premi, che hanno visto trionfare film mediocri a discapito di quelli che invece sono stati i titoli più meritevoli. Vediamoli molto brevemente.

Il premio speciale della giuria è stato assegnato a La mafia non è più quella di una volta di Franco Maresco, film cialtrone e ipocrita in cui Maresco, potendo disporre della collaborazione della celebre fotografa Letizia Battaglia, anziché scavare con lei nelle motivazioni per cui Falcone e Borsellino sono ancora così mal visti da una parte della popolazione siciliana preferisce raccontarci la vita di un promoter da quattro soldi e di uno sconosciuto e insignificante cantante neo-melodico napoletano suo pupillo, beandosi dell’ignoranza di chi ha davanti e facendo domande davvero al limite del cretino.

Il premio per la migliore sceneggiatura è andato al regista cinese Yonfan per il film d’animazione No 7 Cherry Lane. Tale assegnazione ha stupito tutti, compreso lo stesso regista (l’ha dichiarato apertamente durante il suo discorso di ringraziamento), dal momento che la sceneggiatura non è minimamente il punto di forza di un film come questo basato sul disegno e sull’oniricità.

Le coppe Volpi per le interpretazioni sono state assegnate a Luca Marinelli per Martin Eden di Pietro Marcello e ad Ariane Ascaride per Gloria Mundi di Robert Guédiguian. Se la prima è più che legittima e consacra Marinelli nel firmamento dei grandi attori, la seconda appare curiosa dal momento che va a premiare un’attrice brava ma che recita in una parte secondaria di un film corale oltretutto non totalmente riuscito.

Il Leone d’argento per la miglior regia è stato assegnato a Roy Andersson per About Endlessness, film copia del suo Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza con cui aveva vinto il Leone d’oro nel 2014. Anzi, più che copia, è proprio la versione “for dummies” del precedente film: Andersson reitera il medesimo schema di messa in scena rendendolo però estremamente didascalico affinché possa essere più fruibile anche da un pubblico generalista.

La giuria – presieduta dalla regista argentina Lucrecia Martel e composta dal critico Piers Handling, dall’attrice Stacy Martin, dal direttore della fotografia Rodrigo Prieto e dai registi Mary Harron, Shin’ya Tsukamoto e Paolo Virzì – ha deciso di premiare questi film a discapito di pellicole ben più meritevoli di ricevere un riconoscimento. Penso, ad esempio, a Marriage Story di Noah Baumbach. Film magistrale che può vantare una sceneggiatura talmente curata da poter essere insegnata nelle scuole di Cinema, una regia che sa valorizzare i personaggi e degli attori come Adam Driver, Scarlett Johansson, Laura Dern, Ray Liotta e Alan Alda in stato di grazia.

Ma penso anche a La vérité di Kore-eda Hirokazu in cui il regista giapponese prosegue il suo percorso sulla famiglia (iniziato nel 2013 con Father and Son) riuscendo a cogliere sfaccettature sempre nuove dello stesso argomento e sfruttando nel modo migliore l’aver potuto girare fuori dal suo Paese con star del calibro di Catherine Deneuve, Juliette Binoche ed Ethan Hawke. Oppure a Il sindaco del rione Sanità in cui Mario Martone reinterpreta benissimo il testo di Eduardo De Filippo. O ancora a Guest of Honour di Atom Egoyan, con una struttura “gialla” che si dipana in modo non convenzionale.