Luigi che divenne Louis

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Toffoli: dalle umili origini triestine alla fama come pittore in Francia

di Roberto Curci

 

Nascere come suddito austroungarico, il 16 ottobre 1907, in un’assai umile famiglia triestina (padre cuoco sulle navi del Lloyd, madre stiratrice); morire a Parigi come cittadino francese, il 18 febbraio 1999, ricco, famoso e con un intero museo già dedicato alla propria opera di artista. Quasi incredibile, ma assolutamente vero.

È successo a Luigi Toffoli, figlio primogenito di Oscar Toffoli e della slovena Maria Starz, divenuto nel 1947 Louis Toffolì, prolificissimo autore di dipinti, litografie, arazzi e manifesti pubblicitari: tanto popolare oltralpe da meritarsi negli anni ’80 la riproduzione di due sue opere su altrettanti francobolli della Republique Française, nonché i titoli di Chevalier du Mérite National e di Chevalier de la Légion d’Honneur, oltre a una cospicua serie di premi e riconoscimenti.

Risale al 1930 la decisiva svolta esistenziale di quest’uomo che, al di là di un’innata e istintiva vocazione al disegno, era totalmente privo di educazione estetica, avendo troncato ben presto gli studi (all’Istituto nautico di Trieste) per dura necessità di sostentamento. E tuttavia, pur lavorando come fabbro, imbianchino o sarto, dipinse a vent’anni le sue prime tele e riuscì a esporne un paio, di sapore costruttivista, in una Mostra Sindacale, in cui riscossero curiosità e interesse. Era il 1928, ma Toffoli già soffriva di una totale idiosincrasia per la cappa oppressiva del fascismo, che avrebbe voluto “arruolare” e annettersi quel promettente giovanotto.

Due anni dopo – 1930 appunto –, approfittando di un dopolavoristico viaggio-premio a Parigi, Luigi saluta per sempre quella che comunque continuerà a ritenere “la sua città”: Trieste. Resta a Parigi, e ad essa rimarrà fedele sino alla fine. Qui però deve ripartire da zero, senza documenti personali e senza il becco di un quattrino, col solo conforto della “morosa” Sylvia, che lo raggiunge e diverrà poi sua moglie. Vivono nel quartiere povero della Goutte d’Or, e Luigi, non ancora Louis, si arrangia con cento lavori e lavoretti: finché la sua mano felice e versatile viene notata da un sarto alla moda, che lo assume nel suo atelier.

Di lì a poco Toffoli – che, analfabeta dell’arte, ha però “scoperto” nel frattempo il Louvre, rimanendone folgorato – potrà già mettersi in proprio e comincerà a produrre, assieme ai dipinti a olio su tavola, parecchi bozzetti per manifesti pubblicitari e, soprattutto, molti disegni per le rinomate tappezzerie d’Aubusson. Ma il vero decollo avverrà nel dopoguerra, quando – naturalizzandosi – Luigi diverrà appunto Louis e troverà una propria personalissima  “maniera” espressiva basata sulla luminosità coloristica (inconfondibili i suoi blu) e su tematiche ispirate al mondo del lavoro e alla suggestione di paesaggi lontani ed esotici.

Dal 1952 in poi si contano a decine le personali che le gallerie francesi gli allestiscono. Dal 1960 esporrà anche negli Stati Uniti, in Canada, Germania, Svezia,  Brasile, Giappone (e, nel 1991, finalmente anche in Italia, nella chiesa veneziana di San Basso). In tutti questi paesi, e in altri ancora, amerà viaggiare assieme alla sua compagna, che però verrà a mancare nel 1973. Da scene di vita vissuta, da immagini di lavoro e di fatica colte nelle sue “esplorazioni” (come le definisce) trarrà sempre linfa preziosa per una pittura vicina alla gente comune, sotto ogni cielo e ad ogni latitudine.

Il fascino della sua arte è ben sintetizzato nel Dizionario degli Artisti di Trieste, dell’Isontino, dell’Istria e della Dalmazia di Claudio H. Martelli: «Colorista intenso, attento a ogni possibilità luministica e ad ogni effetto, conserva della lezione futurista l’interesse per il movimento e del cubismo le caratteristiche di scomposizione spaziale e figurale, che gli consentono suggestioni ardite e piene di poesia».

Già negli anni ‘30, quando comincia a farsi notare nei Salons (d’Automne, des Indépendants, des Peintres Témoins de leur Temps…), Toffoli sceglie di metter su casa e studio in una cittadina della “cintura” parigina, Charenton-le-Pont, alla confluenza di Senna e Marna. Sarà appunto qui che nel 1995 sorgerà il Musée Toffoli, al quale l’artista contribuirà devolvendo un centinaio di proprie tele. E nella vicinissima Créteil si spegnerà, dopo una lunga malattia, quasi allo scadere del millennio.

È alquanto sconcertante che Trieste, “la sua città”, si sia totalmente scordata di quest’artista, benché sia vero che l’attenzione e gli studi critici sulla sua opera riguardano il solo ambito francese, con la pubblicazione, negli anni, di importanti ed eleganti volumi (uno dei quali con prefazioni illustri: Alain Peyrefitte, Jacques Chirac…). Va aggiunto che alla conoscenza di Luigi-Louis non ha affatto giovato una singolare coincidenza, un caso di quasi-omonimia che, oggi, si riflette persino nei siti di Internet, creando ambiguità e confusione. In effetti, prima di Luigi-Louis Toffoli, vi fu un altro triestino dal medesimo cognome ma di nome Giulio (1883-1973, dunque figlio della generazione precedente) che seguì il suo stesso percorso, lasciando la città natale per Parigi nel 1913, dopo studi d’arte compiuti con Eugenio Scomparini e quindi all’Accademia di Vienna.

Non vi era alcun legame di parentela tra i due Toffoli, che dunque divennero entrambi parigini di adozione forse senza neppure conoscersi e certamente seguendo itinerari espressivi affatto divergenti. Giulio Toffoli si specializzò nella grafica editoriale e pubblicitaria, sposando la poetica del Déco con risultati eccellenti e affini a quelli di illustratori quali Barbier, Lepape o Brunelleschi, e divenendo direttore artistico dell’Imprimerie Ars Nova, per la quale produsse un gran numero di manifesti, copertine, cataloghi e dépliant. Sennonché, al contrario di Luigi-Louis, Giulio decise nel 1940 di tornare a Trieste, dedicandosi da allora alla pittura pura, e per puro diletto.

Occhio dunque a non confondere Luigi-Louis con Giulio. Al quale ultimo la città natale riservò un pizzico di attenzione nel lontano 1977, al tempo della mostra “Dudovich & C. I triestini nel cartellonismo italiano”. Troppo poco, comunque, per lui e per il suo quasi omonimo.

 

 

Luigi-Louis Toffoli

L’orchestre

Tappezzeria d’Aubusson

1983